Il caro Eugenio pare un figliolo buono a nulla Eugenio è il più affettuoso di tutti: ha un carattere focoso e una gran
passione per il disegno», ma non ha neppure un briciolo di pazienza e a
volte ha degli scatti che presso le persone lo fanno passare per
cattivo.
Che cosa sarà di questo ragazzo così inadatto alla vita pratica, così
sdegnoso e orgoglioso, così bambino e assetato di tenerezza? Che non si
adatta mai a una vita mediocre e comune? E d’altra parte soffrirà di una
vita solitaria . 11
marzo 1917 marianna - sorella di EM da
lettere di casa montale ilgiornale.it
preferiva dire di aver interrotto gli studi piuttosto che essere
chiamato ragioniere
EUGENIO MONTALE - BIO
nato a Genova IL 12 OTTOBRE 1896 e morto a Milano
IL 12 SETTEMBRE 1981.
Trasferitosi a Firenze nel 1929, diresse il gabinetto di Vieusseux,
donde fu poi allontanato per non aver aderito al fascismo.
Nel secondo dopoguerra, si iscrisse al Partito d’Azione e fu tra i redattori del
giornale "Il Mondo". Nel 1965 gli è stato conferito il premio Nobel.
Fin dalla più antica lirica di
"Ossi di seppia" (1925),
"Meriggiare pallido e assorto", si configura già nell’aspro simbolo della
"Muraglia", la solitudine
dell’uomo, prigioniero di un mondo ostile.
Non rimane al poeta che la lucida proclamazione della "divina indifferenza",
frutto di una stoica
apatia (spesso il male di vivere), cui però si alterna la disperata
constatazione dell’insanabile frattura
tra noi e il nostro passato.
Al centro della successiva raccolta, "Le Occasioni"
(1939), sta la serie dei
"Mottetti", che assumono la forma di un colloquio d’amore con Clizia, la donna
lontana, la cui
immagine il poeta tenta fino all' ultimo di sottrarre alla rovina della "memoria
che si sfolla", ma
nella parte finale del libro, la vicenda d'amore si salda con il preannuncio
della tragedia della guerra. Cerniera verso il terzo libro montaliano è Finisterre
(1943), il cui titolo allude al confine
dell'imbarbarimento umano segnato dalla guerra.
Nella Bufera e altro (1956) tale
follia omicida
ha il suo cupo scenario in uno specchio scuro, privo di immagini.
Il lavoro poetico successivo alla Bufera, dal 1962 al
1970, è raccolto in Satura.
Finissimo traduttore, Montale ha raccolto in volume i suoi articoli di costume,
le sue prose di viaggio, le sue confessioni e annotazioni, i suoi saggi
letterati.
Dopo un breve intervallo di politica militante nel Partito d'Azione, Montale
diventa collaboratore
del "Corriere della sera" e si stabilisce l'anno dopo a Milano, dove muore nel
1981.
MOTTETTI Al primo chiaro, quando subitaneo un rumore
di ferrovia mi parla
di chiusi uomini in corsa
nel traforo del sasso
illuminato a tagli
da cieli ed acque misti al primo buio, quando il bulino che tarla
la scrivanìa rafforza
il suo fervore e il passo
del guardiano s'accosta
al chiaro e al buio, soste ancora umane
se tu a intrecciarle col tuo refe insisti. le occasioni - 1939
'grazie alla musica di debussy ho
scoperto la poesia' - intervista rai 1966 - raicultura.it
. Quando cominciai a scrivere le prime poesie degli Ossi
di seppia avevo certo un’idea della musica nuova e della
nuova pittura .
Avevo sentito i Minstrels di Debussy, e nella prima edizione
del libro c’era una cosetta che si sforzava di rifarli
:
Musica sognata ...
Negli Ossi di seppia tutto era attratto
e assorbito dal mare fermentante, più tardi vidi che il mare
era dovunque, per me, e che persino le classiche
architetture dei colli toscani erano anch’esse movimento e
fuga. E anche nel nuovo libro ho continuato la mia lotta per
scavare un’altra dimensione nel nostro pesante linguaggio
polisillabico, che mi pareva rifiutarsi a un’esperienza come
la mia … Ho maledetto spesso la nostra lingua, ma in essa e
per essa sono giunto a riconoscermi inguaribilmente
italiano: e senza rimpianto.
rai letteratura
libro : montale debussy and modernism -
gian paolo biasin
Minstrels
Ritornello, rimbalzi tra le vetrate d’afa dell’estate. Acre groppo di note soffocate riso che non esplode ma trapunge le ore vuote e lo suonano tre avanzi di
baccanale vestiti di ritagli di giornali con istrumenti mai veduti simili a strani imbuti che si gonfiano a volte e poi
s’afflosciano. Musica
senza rumore che nasce dalle strade s’innalza a stento e ricade e si colora di tinte ora scarlatte ora biade e
inumidisce gli occhi, così che il mondo si vede come socchiudendo gli
occhi nuotar nel biondo. Scatta ripiomba sfuma poi riappare soffocata e lontana: si consuma. Non s’ode quasi, si respira. Bruci tu pure tra le lastre
dell’estate, cuore che ti smarrisci ! Ed ora
incauto provi le ignote note sul tuo
flauto. .
LA POESIA
Dagli albori del secolo si discute
se la poesia
sia dentro o fuori. Dapprima vinse il dentro
poi contrattaccò duramente il fuori
e dopo anni si addivenne a un
forfait che non
potrà durare perché il fuori è armato fino ai denti.
tutte le poesie - 1984
Posso dire che ho fatto quello che mi pareva
vicino al mio temperamento, alle mie possibilità - diciamo
- Ma che poi possano esserci delle
riuscite in altri campi o anche nello stesso campo, delle riuscite più
importanti - questo non c'è dubbio insomma.
ho sempre fatto quello che mi pareva più
vicino al mio temperamento e alle mie possibilità e non mi sono mai
montato la testa . letteratura.rai.it - raiscuola.rai.it
"L'argomento della mia poesia (e credo di ogni possibile poesia) è la condizione
umana in sé considerata; non questo o quello avvenimento storico. Ciò non
significa estraniarsi da quanto avviene nel mondo; significa solo coscienza, e
volontà, di non scambiare l'essenziale col transitorio.
Non sono stato
indifferente a quanto è accaduto negli ultimi trent'anni; ma non posso dire che
se i fatti fossero stati diversi anche la mia poesia avrebbe avuto un volto
totalmente diverso. Un artista porta in sé un particolare atteggiamento di
fronte alla vita e una certa attitudine formale a interpretarla secondo schemi
che gli sono propri Gli avvenimenti esterni sono sempre più o meno
preveduti dall'artista; ma nel momento in cui essi avvengono cessano, in qualche
modo, di essere interessanti. Fra questi avvenimenti che oso dire esterni c'è
stato, e preminente per un italiano della mia generazione, il
fascismo"
augustea.org/dgabriele/italiano/lett_montale2.htm
Montale è una delle massime voci della poesia mondiale di questo secolo
insignito del premio Nobel nel 1975.
La sua lunghissima carriera di poeta, scrittore,
critico letterario e giornalista è da anni oggetto di attenti studi che hanno prodotto una sterminata bibliografia;
ciò perchè egli ha saputo dare un'originalissima interpretazione alle inquietudini dell'uomo contemporaneo,
ispirandosi ai maestri del Simbolismo e del Decantendismo, ma forse ancor più a Leopardi, e rendendo al contempo
estremamente attuali le loro innovazioni. Allo stesso tempo, la sua influenza sui poeti italiani successivi è
stata immensa e capillare.
Nato a Genova nel 1896, dove compie gli studi classici, trascorre infanzia e
giovinezza tra la città natale e lo splendido paese di Monterosso, nelle Cinque Terre.
Dopo la prima guerra mondiale inizia a frequentare i circoli culturali liguri e torinesi, attirando
l'attenzione di noti intellettuali. Nel 1927 si trasferisce a Firenze, prima collaboratore di Bemporad e in seguito direttore
del Gabinetto Scientifico Letterario Vieusseux, posto da cui viene allontanto nel '38 per antifascismo. Mentre
la sua fama di poeta cresce, si dedica anche a traduzioni di poesie e testi teatrali, in prevalenza inglesi.
Dopo la guerra si iscrive al Partito d'Azione e inizia un'intensa
collaborazione con varie testate giornalistiche,
tra cui il Corriere della Sera, per conto del quale compie molti viaggi e si occupa di critica musicale. Montale ha
ormai raggiunto fama internazionale, come attestano le numerose traduzioni di sue poesie in svariate
lingue; nel 1967 viene nominato senatore a vita e nel 1975 ottiene il Nobel per la letteratura. Muore a Milano
nel 1981.
La prima raccolta, intitolata Ossi di Seppia, esce nel 1925. Essa dà già la
misura delle possibilità del giovane poeta e mostra la sua distanza da altri grandi
poeti italiani, come Ungaretti, di poco più vecchi di lui. Tema centrale delle poesie di Ossi di seppia (titolo
quanto mai allusivo di cose diverse: gli ossi di seppia come gusci vuoti, morti, che il mare riporta a riva;
come nuvole di inchiostro che le seppie emettono per difendersi; come oggetti da incastrare nelle voliere perchè
gli uccelli vi affilino il becco) è il male di vivere, la coscienza della sconfitta dell'uomo irrimediabilmente
prigioniero di un mondo di cui gli sfuggono le premesse e le conseguenze.
E' l'angoscia, dunque, che spinge Montale a scrivere. L'angoscia e la coscienza
dell'inutilità di ogni battaglia; ciò che, d'altra parte, non gli fa assumere un
atteggiamento pietistico e rassegnato. La certezza della sconfitta non presuppone l'abbandono della speranza, che
anzi sopravvive e si fa più evidente nel versi dedicati al mare, laddove questo è visto come termine positivo,
come autentica lezione di vita. Se non è possibile trovare una risposta all'inutilità del vivere,
allora è necessario conservare almeno l'aspirazione a che questo possa un giorno avvenire.
Che può offrire all'uomo, allora, la poesia? Qualche storta sillaba e secca come
un ramo, dice Montale.
Non certo risposte, nè tantomeno certezze. Tutt'al
più la coscienza di ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. La poesia ha valore in quanto documento
di un male di vivere dalle proporzioni cosmiche. Da queste premesse scaturiscono le scelte e le
intuizioni tecniche del poeta; il quale, rifuggendo ovviamente da uno stile alto e aulico, abbandona allo stesso
modo l'ermetismo di Ungaretti, fatto di versi spezzati e parole accostate per il loro valore analogico. Il
linguaggio di Montale mira a una "naturalistica precisione", fa uso di tecnicismi o anche termini dialettali; il
tono è discorsivo, e lascia spazio a descrizioni paesaggistiche che colgono l'ambiente ligure nella sua asprezza.
Con ciò egli intende trovare una rappresentazione simbolica al dato oggettivo, ossia riuscire a evocare
un'emozione attraverso la precisa descrizione di fatti e oggetti del mondo reale (come, ad esempio, nei famosi versi di
Meriggiare pallido e assorto: E andando nel sole che abbaglia / sentire con triste meraviglia / com'è
tutta la vita e il suo travaglio / in questo seguitare una muraglia / che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia).
"L'accordo con la ruota della negazione" (Fortini), la coscienza del nulla che è
l'uomo - nella sua dimensione esistenziale prima che storica - di fronte a un
mondo di fatti e cose incomprensibili: sono queste le costanti, introdotte come abbiamo visto con Ossi di seppia,
della poesia montaliana; che si ritrovano anche nella seconda raccolta, Le occasioni, pubblicata nel
1939. Già dal titolo questa nuova fatica permette di intuire le novità introdotte da Montale: le occasioni sono le
situazioni contingenti dalle quali scatta la memoria di persone, incontri, eventi della vita passata. Dalla
contemplazione dell'aspro paesaggio ligure, dunque, si passa al recupero di un vissuto personale tramite
il quale le poesie si popolano di ricordi di viaggi o di volti talvolta immaginari.
Ciò, tuttavia, non
sposta di molto il
pessimismo del poeta
Egli si sente il prodotto, l'effetto di una serie
di occasioni assolutamente incontrollabili e caotiche, alle quali non è possibile dare nessuna
spiegazione. L'irruzione del ricordo nella poesia provoca uno spostamento del linguaggio e dello stile in senso
più ermetico; il rifiuto di ogni abbandono sentimentale e lirico, tanto più presente in quanto il poeta
attinge ora alla propria storia personale, lo porta infatti "nel chiuso cerchio di un'esperienza tutta individuale… quasi
volutamente, aristocraticamente ermetica" (Manacorda).
La memoria, pur sollecitata, viene tenuta sotto
controllo e ridotta a "niente più che un pretesto per tendere a metafisiche significazioni" (Guglielmino).
Durante gli anni della seconda guerra mondiale Montale compone i versi raccolti
ne La bufera, che secondo Fortini sono tra i più difficili (in virtù di un
recupero di Mallarmé e dei simbolisti francesi). L'eco del conflitto, qui, arriva a malapena; sembra che gli orrori e le
morti non possano incidere in nulla su un
pessimismo esistenziale
già portato alle sue estreme
conseguenze. Ciò non ha mancato di deludere quanti si attendevano dal poeta un impegno civile decisamente più
vistoso, dato che durante la dittatura la sua poesia era stata considerata da molti una via di scampo ai
trionfalistici e retorici strombazzamenti del regime. Ma Montale non abbandona il suo cammino solitario e si arrocca
anzi su posizioni, se possibile, ancora più negative nelle quali fanno però capolino accenni nuovi; soprattutto
l'ironia, probabilmente legata alla sua età. Col distacco di un vecchio, infatti, Montale può ora cedere il passo
ai toni sarcastici con cui stigmatizza la moderna società,
imbevuta di falsi miti e chiacchiere inutili. La
sua lezione morale, dunque, resta sino alla fine lucida e coerente: da un mondo di ombre e parvenze, immaginiamo, il
poeta si accomiata senza rimpianto
autore più vicino ai giorni nostri, che vive l’orrore delle due guerre mondiali.
E’ una visione negativa data dalla sfiducia in una vita che non può essere
controllata, più simile a Svevo che a Leopardi o Foscolo. Tema fondamentale
della sua poesia è l’insanabile crisi del rapporto fra l’uomo contemporaneo e il
reale. Per Montale si parla di poesia antieloquente e in negativo, senza
certezze da rivelare, che si limita a registrare l’angoscia profonda del poeta.
A immagine di queste considerazioni bisogna citare la poesia “Non chiederci la
parola”, che apre la raccolta “Ossi di seppia”. Talvolta si intravede una
possibilità di salvezza (“l’anello che non tiene, / il filo da disbrogliare che
finalmente ci metta / nel mezzo di una verità” da “I limoni”) ma si risolve
sempre con uno scacco. Anche lo stile richiama questi temi: le frasi ipotetiche
(in una sintassi complessa e ricca di subordinate) vanno intese come traduzione
linguistica della crisi di conoscenza presente nel poeta interware.it/TsR/scuole/percorsi/gaia/italiano.htm
Montale's first book of poems Ossi di seppia - 1925 Cuttlefish Bones
expressed the bitter pessimism of the postwar period
In this book he used the symbols of the desolate and rocky Ligurian coast to
express his feelings. A tragic vision of the world as a dry, barren, hostile
wilderness not unlike T.S. Eliot's The Waste Land inspired Montale's best early
poems.
The works that followed Ossi di seppia included La casa dei doganieri e altre
poesie http://literature.nobel.brainparad.com/eugenio_montale.html
montale
Although it has been suggested that the closed and
difficult style of hermetic poetry was a direct result of "inner
emigration" during fascism, there is no doubt that artistic tenets played a
dominant role in shaping it. Montale, who is one of the virtuosos of its
contrived technique of obscuration, found in the resulting bare and arid style
an apt vehicle for his pessimistic views of life that only in his later work
show signs of moderation. The subject of Montale's poetry is the human condition, considered by and in
itself, not this or that historical event.
To treat such events would mean for
Montale to mistake the essentials for their transitory aspects. Thus, his is the
poetry of a man who extricates himself from the accidentals of human existence
to perceive its essence. This notion no doubt contributed considerably to the "abstract"
and intellectual aspect of his poetry. answers.com/topic/eugenio-montale
CONTRADDIZIONE DELL' "IO" E DEL "SE" PER UN ARTE MAGGIORE
... Eugenio Montale, come persona, appariva
scettico nella sterile perplessità umana che non raccoglie l'occasione
improvvisa di salvezza; però nella poesia invoca la compagnia, anche se della
tristezza, auspicando all'uomo una discesa senza viltà; e pure cerca nelle
immagini poetiche, create dal suo "IO" quella coesione necessaria per continuare
a vivere, per sé e per gli altri, nelle "Ombre Evanescenti" che l'immersione
delle mani nel secchio, colmo d'acqua, tirato su dal pozzo, evocano alla sua
memoria.
.
Cigola la
carrucola del pozzo, l'acqua sale alla luce e vi si fonde.
Trema il ricordo nel ricolmo secchio
nel puro cerchio un'immagine ride.
Accosto il volto a evanescenti labbri :
si deforma il passato, si fa vecchio
appartiene ad un altro ...
Ah che già stride
la ruota, ti ridona all'altro fondo
visione, una distanza ci divide.
.
Già in "Ossi di
seppia" del 1925, colpisce in Eugenio Montale il
conflitto per l'equilibrio tra creatività e ragione,
un conflitto che è astrazione radicale del tempo, con le determinazioni più
urgenti di una storia segnata da traumi dolorosi:
Nasceva In Noi
Volti Dal Cieco Caso
l'oblio Del Mondo
Un conflitto che definiremmo antidrammatico che ritorna alla memoria,
nel voluto silenzio di quel mondo sovrastato dalle leggi meccaniche:
Non domandarci le formule che mondi possa aprirti
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo
Ma l'uomo continua ad andare sicuro, convinto di essere amico a sé
stesso e agli altri:
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro
Ossi di seppia non ebbe sicuro successo, era
poesia troppo nuova per il gusto del tempo, ma nel 1989 con "Occasioni", in cui
si nota subito il sostanziale mutamento conflittuale, va oltre il senso
ottico-spaziale, per allargare il paesaggio oltre lo scenario immobile della
riviera ligure.
Le diverse sensazioni che provengono dal di fuori assillando un "IO" creativo
muto, per scelta propria lascia al "SE"' l'apertura dello sguardo sulla
desolante tristezza e le incorpora nei colori abbrunati dello stesso paesaggio,
costruito razionalmente.
Questa rissa cristiana che non ha
se non parole d'ombra e di lamento
che ti porta di me ? Meno di quanto
t'ha rapito la gora che s 'interra
dolce nella sua chiusa di cemento
Finisterre completa l'opera conflittuale preannunciata da
"Ossi di seppia" e continuata da "Occasioni". Lo stesso Poeta, chiarifica il
concetto dicendo che, mancava a quei limoni, uno spicchio.
La sua vita è statauna
evoluzione continua, che è andata sempre più acquistando e conquistando
l'equilibrio pratico dell'" IO" e del "SE' ", senza
mai raggiungere la "Catarsi", anzi in questa lotta continua e problematica viene
a verificarsi di colpo uno spettacolo che fa paura, cosa che evidenzia nella
poesia
Vento sulla mezzaluna
II gran ponte non portava a te
t'avrei raggiunta anche navigando
Nelle chiaviche, a un tuo comando. Ma
già le forze, col sole sui cristalli
delle verande, andavano stremandosi
L'Uomo che predicava sul Crescente
Mi chiese "Sai dov'è Dio?" Lo sapevo.
E glielo dissi. Scosse il capo. Sparve
nel turbine che prese uomini e cose
e li sollevò in alto, sulla pece.
l'acqua sale verso
la luce: al suono si sovrappone l'immagine. Un ricordo tremulo appare
sulla superficie dell'acqua del secchio pieno che per un attimo funge da
specchio, sul cerchio d'acqua s'intravede un'immagine ridente. Mi
avvicino al volto al volto sorridente che si dissolve: si scompone
l'immagine, diventa irrecuperabile il passato, appartiene ad un altro
tempo. Ah,già la ruota cigola di nuovo, ti conduce nel fondo cupo
- pozzo=passato - o cara
immagine una distanza incolmabile ci divide .
Introverso, restio ad
espansività e a forme scenografiche di autoesaltazione, si muove con
circospezione, attento a tutto ciò che accade attorno dove ogni singolo elemento
può essere espressione di una realtà nascosta, da rivelare.
Intelligenza profonda, critica e nello stesso tempo intuitiva e analogica, sente
gli oggetti come ostili, simboli indicanti l’immobilità e la negatività
della propria natura che non ha speranza di accedere
alla salvezza.
(“cerca una maglia rotta nella rete che ci stringe…”tratto dalla
raccolta Gli Ossi di Seppia)
Secondo la tipologia Junghiana le funzioni predominante e
ausiliaria sono l’Intuizione - Pensiero nell’apparato psichico introverso e dove
la parte Ombra è la Sensazione ...
novecentopoesia.it
Il filo tenace
della memoria come preziosa
ma improbabile occasione di vita
Il tema della memoria
in Montale è centrale
soprattutto nella raccolta "Le occasioni". Le cose non svelano il
segreto della loro presenza, rinviano piuttosto a un'incessante
vicenda di vita e di morte, di gioia e di dolore, che
costantemente ritorna e si chiude su se stessa, lasciando come
unico conforto l'immagine viva ma fragile di una speranza di
felicità. Neppure la memoria, oscurata e cancellata
dall'inesorabile scorrere del tempo, riesce a recare conforto. La memoria ruota attorno
all'impossibile recupero di eventi cui è attribuito un particolare rilievo, in
quanto potrebbero mutare il corso uniforme e monotono dell'esistenza: ma il
miracolo non può compiersi per il poeta, al quale non resta che affidare ad
altri, ad enigmatiche figure femminili, la sua esile speranza.
La poesia di Montale legata al ricordo e al suo impossibile recupero ingloba
dunque presenze ed incontri e non si limita al puro tema della natura. Ma
l'attesa di un'apertura, di un varco, di un recupero del passato , reso
possibile dall'attivazione del ricordo, risulta deludente. Infatti, nel
complicarsi delle relazioni umane, anche gli elementari simboli di una vita
gioiosa, ( un luogo, un incontro, un "occasione"....) prima nettamente
percepibili, vedono offuscare la loro luce, appannata dallo scorrere inesorabile
del tempo. Si approfondisce invece il solco che la memoria scava fra i momenti
di un passato felice e un presente sempre più vuoto e smarrito.
Milano
dicembre 1975 in casa del Poeta - luciano simonelli_diario del
novecento
INCONTRO CON EUGENIO MONTALE ALLA
VIGILIA DELLA SUA PARTENZA
PER STOCCOLMA DOVE GLI VIENE CONSEGNATO IL PREMIO NOBEL
ma dopo il frac potrò mettere la giacchetta?
Le confidenze del poeta mentre nella sua casa
milanese di via Bigli si stava preparando all'avventuroso viaggio
destinato a concludersi davanti al re di Svezia.
Eugenio Montale pochi giorni prima del «grande volo» a Stoccolma.
E' finita la «bagarre» delle interviste, sono terminati gli
assalti dei fotografi, dei cineoperatori alla ricerca
dell'espressione nascosta, dell'immagine «vera» di un
premio Nobel. Montale solo, come sempre. Tra le pareti del
suo appartamento in via Bigli, nel silenzio irreale di una Milano
che pudicamente resta fuori, quasi non lo lambisce. Come
non lo lambiscono neppure i toni alti, un po' striduli, della
vice imperiosa di Gina, la donna che da trent'anni è alle sue
dipendenze. Montale fatto di silenzi interrotti dal clic di un
accendino che dà il via a una nuova sigaretta; Montale nella
geografia di quella poltrona dove trascorre molto del suo
tempo, immobile, con gli occhi di un disperato celeste che
guardano nel vuoto, che inseguono immagini, pensieri, che
non conosceremo mai: occhi che non sorridono più, da anni. Il
Nobel per la letteratura viene assegnato a lui ma non gliene
importa molto. E' troppo caustico, disincantato, al di sopra
delle umane avventure per lasciarsi sorprendere da un diploma, un
assegno da novantasette milioni e uno show interpretato in
frac davanti al re di Svezia. In fondo, se non fosse condizionato
da certe convenzioni, naturalmente «borghesi», avrebbe
risposto così alla notizia della vittoria: «Chi era poi questo
Nobel? Ha inventato la dinamite, e allora?». Ma invece ha
commentato: «Questo premio non mi rende meno infelice di
quanto non lo sia di già». Qualcuno ha scritto che, se Eugenio
Montale fosse un animale col guscio, dentro quel guscio lui si
rinserrerebbe sempre per pudore, ritrosia, diffidenza,
insofferenza. Ed è così che lo incontriamo una mattina
stranamente luminosa, piena di sole. Se ne sta là, immobile sulla
poltrona, nella sala rettangolare, gustando l'aroma di una
sigaretta a brevi e lente boccate mentre un aggio di sole gli
accarezza i capelli bianchi. E' nel suo «guscio» di sempre quando
incontra qualcuno per la prima volta. Un saluto cortese, la
leggera stretta di mano della presentazione, eppoi ecco che il
volto di Eugenio Montale sembra tendersi, i suoi occhi rivelano
uno sguardo pieno di curiosità. Sta osservando, analizzando,
giudicando quell'atro uomo che è di fronte a lui. E' il suo
cerimoniale consueto, fatto di un lungo, imbarazzante silenzio.
E' il suo primo colloquio, muto, con chi ha preteso di entrare
nella sua casa. Sono frasi silenziose, dette con
l'espressione degli occhi, con impercettibili tic del volto,
anche con il modo di aspirare il fumo della sigaretta. In questi
momenti non si capirà mai se Montale faccia sul serio o giochi un
po', come nessuno saprà il giudizio che ha formulato sul nuovo
arrivato. E' troppo timido per rivelarlo. Ma lo farà
comprendere, lentamente, dal tono della sua voce, bassa,
profonda, da frasi apparentemente innocue, dette con studiato
candore e che invece ti colpiscono, ti feriscono: gli bastano due
parole per annientarti.
HO VIAGGIATO MOLTO POCO
Noi, forse, abbiamo superato il suo esame. Forse,
perché, improvvisamente sembra uscire dal «guscio» e diventare
loquace. Come lo può essere lui, con brevi discorsi e tante pause
di meditazione. Stamani, in questi giorni, Eugenio
Montale sente poi il bisogno di parlare con qualcuno. E' in
procinto di andare a Stoccolma per ritirare il «famoso»
Nobel e questo fatto lo mette in agitazione. «Quando si
hanno 79 anni e una salute che non è più delle migliori, un
viaggio in aereo di alcune ore può sconvolgere la quiete di una
vita molto ordinata», confessa pacatamente. Ed ecco allora
affiorare in lui tutte le curiosità, le attese, le
preoccupazioni che sollecita quel grande volo. Diventa l'uomo
Eugenio Montale che ha bisogno d'informazioni, di risolvere
dubbi e perplessità: «Lei che è già stato a Stoccolma, mi
dica: è una bella città? E' molto fredda? Non c'è grande chiasso,
vero? E neppure tante macchine? Come ci si veste là? Bisogna
essere sempre eleganti? Pensa che dopo la cerimonia della
premiazione potrò stare un po' con la mia giacchetta di tutti i
giorni?».
Tante, semplici, candide domande alle quali pretende una risposta
precisa, puntuale. Non gli importa che lo sia veramente,
gli basta che lo sembri perché ha bisogno di questa solidarietà
per mitigare l'agitazione della vigilia. «Sa, io ho viaggiato
molto poco», si giustifica Montale. Emerge la sua ironia e lui
rivela un cruccio, quasi una invidia che non ha mai
dimenticato. Come giornalista del "Corriere della Sera", Eugenio
Montale avrebbe voluto viaggiare molto ma non è mai riuscito a
fare questo e ha invidiato tanto chi correva da una parte e
dall'altra del globo. Anche lui, sì, li ha fatti i suoi viaggetti:
Francia, Gran Bretagna, Grecia, Spagna, Medio Oriente e un
po' di Stati Uniti. Ma gli sono sembrati poca cosa, briciole
quasi. E' il suo cruccio di giornalista, anzi di redattore
ordinario come ama precisare. «Ho sempre considerato questa la
mia professione», dice. «Sui documenti che cosa dovrei mettere:
professione, poeta? Sarebbe ridicolo». Ora che il
discorso è caduto sul giornalismo Eugenio Montale non esita ad
esprimere giudizi, a valutare, sottolineare anche un certo
malcostume che esiste nella «sua» professione. «Non arrivo a
capire perché le donne che fanno il giornalismo non riescano a
scrivere altro che articoli pieni di pettegolezzi», osserva.
«Forse è un difetto tutto femminile ...» E sorride
soddisfatto. Da quando Eugenio Montale ha ricevuto il premio Nobel per la
letteratura, non è cambiato nulla nella sua vita di tutti i giorni. Dopo una
settimana di congratulazioni e omaggi da parte di tanti «amici» che si
erano dimenticati di lui da anni si è ritrovato solo, come sempre, nella sua
casa silenziosa, protetta dalla fedele Gina. E come sempre ha continuato a
combattere con la sua insonnia di tutte le notti, a svegliarsi, si fa per dire,
ogni mattina alle sette, a consumare il rito di quel primo e unico caffè
quotidiano, a trascorrere ore in silenzio sulla poltrona del salotto, davanti
alla libreria colma di libri. «Quei volumi in realtà non li guardo mai, sono
soltanto un ornamento», confessa. «Faccio come quelle persone che comprano i
libri solo per arredamento». MI HANNO SCRITTO TANTI
BAMBINI Qualche ora della sua giornata Eugenio
Montale la trascorre poi nella sala da pranzo. E' là che lavora,
sul tavolo quadrato coperto da una tela cerata a scacchi verdi,
battendo lentamente sui tasti di una piccola macchina per
scrivere. deve rispondere alle tante lettere sincere che ha
ricevuto da gente semplice, comune, che si congratula per il suo
Nobel. «Mi hanno scritto i bambini di una intera classe
elementare e hanno inviato tanti loro disegni ispirati dalle mie
poesie», racconta con una punta di commozione. Lì, in quella
stanza, Montale ha appena finito di scrivere il breve discorso
che farà a Stoccolma. «Dirò soltanto poche parole», precisa. «Non
avrei voluto parlare ma poi hanno insistito tanto ...»
Ora che ci conosciamo già un po' meglio, Eugenio Montale sembra
dimenticare la sua ritrosia, diffidenza, insofferenza. Accetta
quasi di sorridere davanti all'obiettivo di Dino Jarach e
osservando i suoi potenti flash elettronici esclama: «Mi sembrano
gli strumenti per un'esecuzione capitale». Poi si lascia
sorprendere mentre fa un gorgheggio con una voce baritonale
ancora buona, ben impostata, come quando, molti anni fa, era
deciso a diventare un cantante lirico. Sono attimi bellissimi e
indimenticabili questi di Eugenio Montale diventato
improvvisamente allegro, che ha dimenticatogli anni, le noie
della salute e che annuncia, in maniera quasi provocatoria, che
fumerà un'altra sigaretta. Una in più di quelle che gli concedono
quotidianamente il medico e la fedele Gina. E per qualche minuto
resta in silenzio ben deciso a gustare, a godere fino in
fondo quella ulteriore porzione di «vizio» che ha conquistato con
un colpo di mano.
in reality
art is always for everyone and for no one
in realtà l'arte è sempre per tutti e per nessuno
em
E' ANCORA
POSSIBILE LA POESIA ?
...Avevo
pensato di dare al mio breve discorso questo titolo: potrà
sopravvivere la poesia nell'universo delle communicazioni di
massa? ...Se invece ci limitiamo a quella che rifiuta con
orrore il termine di produzione,
quella che sorge quasi per miracolo e sembra imbalsamare
tutta un'epoca e tutta una situazione linguistica e
culturale, allora bisogna dire che non c'è morte possibile
per la poesia...
Ma ora per concludere debbo una risposta alla domanda che ha
dato un titolo a questo breve discorso. Nella attuale
civiltà consumistica che vede affacciarsi alla storia
nuove nazioni e nuovi
linguaggi, nella civiltà dell'uomo robot, quale può
essere la sorte della poesia?
Le risposte potrebbero essere molte. La poesia è l'arte
tecnicamente alla portata di tutti: basta un foglio di carta
e una matita e il gioco è fatto. ...Oggi nemmeno un
incendio universale potrebbe far sparire la torrenziale
produzione poetica dei nostri giorni...
Diversa è la questione se ci si riferisce alla reviviscenza
spirituale di un vecchio testo poetico, il suo rifarsi
attuale, il suo dischiudersi a nuove interpreta-zioni. E
infine testa sempre dubbioso in quali limiti e confini ci si
muove parlando di poesia.
Molta poesia d'oggi
si esprime in prosa. Molti versi d'oggi sono prosa e cattiva
prosa. ...come si spiega il fatto che l'antica poesia
cinese resiste a tutte le traduzioni mentre la poesia
europea è incatenata al suo linguaggio originale? Forse il
fenomeno si spiega col fatto che noi crediamo di leggere Po Chü-i e leggiamo invece il meraviglioso contraffattore
Arthur Waley? Si potrebbero moltiplicare le domande con
l'unico risultato che non solo la poesia, ma tutto il mondo
dell'espressione artistica o sedicente tale è entrato in una
crisi che è strettamente legata alla condizione umana,
al nostro esistere di esseri
umani, alla nostra certezza o illusione di crederci esseri
privilegiati, i soli che si credono padroni della loro sorte e
depositari di un destino che nessun'altra creatura vivente
può vantare. Inutile dunque chiedersi quale sarà il destino
delle arti. E' come chiedersi se l'uomo di domani, di un
domani magari lontanissimo, potrà risolvere le tragiche
contraddizioni in cui si dibatte fin dal primo giorno della
Creazione (e se di un tale giorno, che può essere un'epoca
sterminata, possa ancora parlarsi) ...
In ogni modo io sono
qui perché ho scritto poesie, un prodotto assolutamente
inutile, ma quasi mai nocivo e questo è uno dei suoi titoli
di nobiltà. Ma non è il solo, essendo la poesia una
produzione o una malattia assolutamente endemica e
incurabile .
La poesia ha un’entità di cui si sa poco. La poesia è frutto
di solitudine e accumulazione. La poesia è come certi quadri
di cui si ignora l’autore. Il poeta ignora il suo vero
destinatario. L’arte è sempre per tutti e per nessuno. La
poesia è quella che sorge per miracolo. Non c’è morte
possibile per la poesia. La poesia resterà sempre una delle
vette dell’anima.
...
Sotto lo sfondo così cupo dell’attuale civiltà del benessere
anche le arti tendono a confondersi, a smarrire la loro
identità. Le comunicazioni di massa, la radio e soprattutto
la televisione, hanno tentato non senza successo di
annientare ogni possibilità di solitudine e di riflessione.
Il tempo si fa più veloce, opere di pochi anni fa sembrano «
datate » e il bisogno che l’artista ha di farsi ascoltare
prima o poi diventa bisogno spasmodico dell’attuale,
dell’immediato. Di qui l’arte nuova del nostro tempo che è
lo spettacolo, un’esibizione non necessariamente teatrale a
cui concorrono i rudimenti di ogni arte e che opera sorta di
massaggio psichico sullo spettatore o ascoltatore o lettore
che sia.
...
Ho scritto
poesie e per queste sono stato premiato, ma sono stato anche
bibliotecario, traduttore, critico letterario e musicale e
persino disoccupato per riconosciuta insufficienza di
fedeltà a un regime che non poteva amare . Pochi giorni fa è venuta a
trovarmi una giornalista straniera e mi ha chiesto: come ha
distribuito tante attività così diverse? Tante ore alla
poesia, tante alle traduzioni, tante all'attività
impiegatizia e tante alla vita? Ho cercato di spiegarle che
non si può pianificare una vita come si fa con un progetto
industriale. Nel mondo c'è un largo spazio per l'inutile, e
anzi uno dei pericoli del nostro tempo è quella
mercificazione dell'inutile alla quale sono sensibili
particolarmente i giovanissimi. In ogni modo io sono qui
perché ho scritto poesie, un prodotto assolutamente inutile,
ma quasi mai nocivo e questo è uno dei suoi titoli di
nobiltà. Ma non è il solo, essendo la poesia una produzione
o una malattia assolutamente endemica e incurabile. Sono qui
perché ho scritto poesie: sei volumi, oltre innumerevoli
traduzioni e saggi critici. Hanno detto che è una produzione
scarsa, forse supponendo che il poeta sia un produttore di
mercanzie; le macchine debbono essere impiegate al massimo.
Per fortuna la poesia non è una merce . discorso
premio nobel
Per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità
artistica
ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una
visione della vita priva di illusioni
motivazione nobel 1975
GIORGIO
LOTTI DOVEVA FARE UN SERVIZIO FOTOGRAFICO A CASA
DI MONTALE
E SCATTA IN SEQUENZA NOVE FOTO MENTRE IL POETA PARLA AL
TELEFONO
GLI STAVANO ANNUNCIANDO IL
PREMIO NOBEL 1975
panorama.it
ENZO BIAGI Scendo in via Bigli. È buio. Ogni
tanto il silenzio rotto da qualche automobile, da qualche passo. Di Montale, mi
viene in mente un verso :
Volarono anni corti come giorni.
Ma alla fine, di
questo poeta solitario, che conosce tutte le piante dei boschi, i pitosfori, gli
eucalipti, le agavi, i sambuchi, e riconosce il canto di tutti gli uccelli, le
ghiandaie, le upupe, i merli d’acqua, e quello che c’è nel cuore dell’uomo, la
disperazione e la speranza, qualcosa, certo, rimarrà.
Quando lo conosci, qualcosa in te
nasce, e qualcosa muore. da L’ITALIA DEL ‘900
di enzo biagi e loris
mazzetti– 2007 -
pagg
206/209 luciano nota - lapresenzadierato.com
È
ancora possibile la poesia?
... si chiedeva Montale
... «In un mondo nel quale il
benessere è assimilabile alla disperazione e l’arte, ormai diventata bene di
consumo, ha perso la sua essenza primaria?».
Questa domanda, rivolta
all’Accademia di Svezia il 12 dicembre del 1975, durante la cerimonia di
consegna del premio Nobel, lo colloca quale spirito antesignano rispetto ad un
futuro, oggi reale, inquietante e problematicamente terrificante, da lui
individuato e scandagliato con anticipo impressionante.
italialibri.net/autori/montalee.html
.
esiste un pubblico
della poesia? Forse
no. Forse no perché i poeti sono così tanti che formano un
pubblico. Escono migliaia di libri di versi all’anno. È
probabile che questi poeti siano anche i clienti di se
stessi; cioè che comprino essi stessi i libri di poesia. Ma
dubito che esista veramente un pubblico per la poesia
moderna. Forse esiste più in Italia che altrove. intervista per
arte & scienza 1959 - letteratitudine.blog.kataweb.it - 2018
SUL LESSICO
DIALETTALE - LINGUA STRANIERA IN PATRIA SI AVVERERÀ COSÌ, PER ALTRI VERSI, LA
PREMONIZIONE DI EUGENIO MONTALE, QUANDO RECENSENDO ANNI FA UN’EDIZIONE DI TESTI
DI CARLO PORTA EBBE AD ANNOTARE CHE PRESTO AVREMMO LETTO IL POETA DELLA
«NINETTA» COME I CLASSICI GRECI, VALE A DIRE COME QUALCOSA CHE NON APPARTIENE
PIÙ ALLA NOSTRA ESPERIENZA ESPRESSIVA DIRETTA.
cdt.ch
miraggi Ma ora
se mi rileggo penso che solo l’ inidentità
regge il mondo
lo crea e lo distrugge
per poi rifarlo sempre più spettrale
e inconoscibile.
Resta lo spiraglio del quasi fotografico pittore
ad ammonirci che se qualcosa fu
non c’è distanza tra il millennio e l’istante
tra chi apparve e non apparve
tra che visse e chi non giunse al fuoco
del suo cannocchiale.
È poco e forse è tutto
Molti anni e uno più duro sopra
il lago straniero su cui ardono i tramonti . Poi scendesti dai
monti a riportarmi San Giorgio e il Drago . Imprimerli potessi sul
palvese che s’agita alla frusta del grecale in cuore … E per te
scendere in un gorgo di fedeltà immortale occasioni 1939
I PRIMI DI LUGLIO Siamo ai primi di luglio e già il pensiero è entrato
in moratoria. Drammi non se ne vedono se mai disfunzioni. Che
il ritmo della mente si dislenti questo inspiegabilmente crea serie
preoccupazioni. Meglio si affronta il tempo quando è folto mezza
giornata basta a sbaraccarlo. Ma ora ai primi di luglio ogni secondo
sgoccia e l’idraulico è in ferie diario del ’71 e del ’72
fine del '68
Ho contemplato dalla luna, o quasi il modesto pianeta che contiene filosofia, teologia, politica pornografia, letteratura, scienze palesi o arcane. Dentro c’è anche l’uomo ed io tra questi. E tutto è molto strano. Tra poche ore sarà notte e l’anno finirà tra esplosioni di spumanti e di petardi. Forse di bombe o peggio ma non qui dove sto. Se uno muore non importa a nessuno purché sia sconosciuto e lontano satura 1971
Mediterraneo Antico, sono ubriacato dalla voce
ch'esce dalle tue bocche quando si schiudono come verdi campane e
si ributtano indietro e si disciolgono. La casa delle mie estati
lontane, t'era accanto, lo sai là nel paese dove il sole cuoce
e annuvolano l'aria le zanzare. Come allora oggi in tua presenza
impietro mare, ma non piú degno mi credo del solenne ammonimento
del tuo respiro. Tu m'hai detto primo che il piccino fermento del
mio cuore non era che un momento del tuo; che mi era in fondo la
tua legge rischiosa: esser vasto e diverso e insieme fisso:e
svuotarmi cosí d'ogni lordura come tu fai che sbatti sulle sponde
tra sugheri alghe asterie LE INUTILI MACERIE DEL TUO ABISSO
La sua vita è stata anche ricchissima di incontri,
collaborazioni, affetti con altri poeti. C’è una poesia che ha impressa nella
memoria?
“Certo, e parlo del vangelo della poesia del Novecento: la prima parte degli
“Ossi di seppia”, “Mediterraneo” è di una
intensità, di una concentrazione, un’illuminazione mai detta. Non è possibile
andare oltre. Lo ribadisco, “Mediterraneo” di Montale sarà il vangelo del
Novecento. Bisognerebbe farla leggere ai bambini, non perché la imparino, ma per
far capire loro cosa dice la poesia. Leggere la poesia
significa, alla lunga, saperla, non impararla. Quando ero a scuola sapevo
“Piemonte” di Carducci, poema a saffiche che dura 14 pagine. La so ancora tutta
a memoria. Come la prima ecloga di Virgilio o alcuni epodi di Orazio, e Dante.
In quinta elementare una maestra meravigliosa ci fece studiare l’ultimo canto
della Divina Commedia. Mi è rimasto sempre dentro, per il suo ritmo interno ed
esterno. Quella poesia è diventata musica”. marianna natale - intervista - gazzettadasti - premio asti d'appello 2012
- maria
luisa spaziani
giorno e notte
Anche una piuma che vola può disegnare
la tua figura, o il raggio
che gioca a rimpiattino
tra i mobili, il rimando dello specchio
di un bambino, dai tetti. Sul giro delle mura
strascichi di vapore prolungano le guglie
dei pioppi e giù sul trespolo
s'arruffa il pappagallo
dell'arrotino. Poi la notte afosa
sulla piazzola, e i passi, e sempre questa dura
fatica di affondare per risorgere eguali
da secoli, o da istanti, d'incubi che non possono
ritrovare la luce dei tuoi occhi nell'antro
incandescente - e ancora le stesse grida
e i lunghi
pianti sulla veranda
se rimbomba improvviso
il colpo che t'arrossa
la gola e schianta l'ali, o perigliosa
annunziatrice dell'alba
e si destano i chiostri e gli ospedali
a un lacerìo di trombe ...
Il sogno del prigioniero Albe e notti qui variano per pochi segni.
Il zigzag degli storni sui battifredi
nei giorni di battaglia, mie sole ali
un filo d'aria polare
l'occhio del capoguardia dello spioncino
crac di noci schiacciate, un oleoso
sfrigolio dalle cave, girarrosti
veri o supposti - ma la paglia é oro
la lanterna vinosa é focolare
se dormendo mi credo ai tuoi piedi. La purga dura da sempre, senza un perché. Dicono che chi abiura e sottoscrive
puo salvarsi da questo sterminio d'oche
che chi obiurga se stesso, ma tradisce
e vende carne d'altri, affera il mestolo
anzi che terminare nel patée
destinato agl'Iddii pestilenziali. Tardo di mente, piagato dal pungente giaciglio mi sono fuso
col volo della tarma che la mia suola
sfarina sull'impiantito
coi kimoni cangianti delle luci
scironate all'aurora dai torrioni
ho annusato nel vento il bruciaticcio
dei buccellati dai forni
mi son guardato attorno, ho suscitato
iridi su orizzonti di ragnateli
e petali sui tralicci delle inferriate
mi sono alzato, sono ricaduto
nel fondo dove il secolo e il minuto - e i colpi si ripetono ed i passi e ancora ignoro se saro al festino
farcitore o farcito. L'attesa é lunga
il mio sogno di te non e finito conclusioni provvisorie - bufera e altro - 1956
Gli uomini che si voltano Probabilmente non sei più chi sei stata ed è giusto che cosí sia.
Hai raschiato a dovere la carta a vetro
e su noi ogni linea si assottiglia.
Pure qualcosa fu scritto
sui fogli della nostra vita.
Metterli controluce è ingigantire quel segno
formare un geroglifico più grande
del diademache ti abbagliava.
Non apparirai più dal portello
dell'aliscafo o da fondali d'alghe sommozzatrice di fangose rapide per dare un senso al nulla. Scenderai
sulle scale automatiche
dei templi di Mercurio
tra cadaveri in maschera
tu la sola vivente
e non ti chiederai
se fu inganno, fu scelta
fu comunicazione
e chi di noi fosse il centro
a cui si tira con l'arco dal baraccone.
Non me lo chiedo neanch'io. Sono colui
che ha veduto un istante e tanto basta
a chi cammina incolonnato come ora
avviene a noi se siamo ancora in vita
o era un inganno crederlo. Si slitta 1969 satura II
1971
Ora sia
il tuo passo più cauto: a un tiro di sasso di qui ti
si prepara una più rara scena. La porta corrosa d’un tempietto
è rinchiusa per sempre. Una grande luce è diffusa sull’erbosa
soglia. E qui dove peste umane non suoneranno, o fittizia doglia
vigila steso al suolo un magro cane. Mai più si muoverà in
quest’ora che s’indovina afosa. Sopra il tetto
s’affaccia una nuvola grandiosa ossi
di seppia - movimenti
Dissipa tu se lo vuoi questa debole vita che si lagna come la spugna il frego
effimero di una lavagna. M’attendo di ritornare nel tuo circolo
s’adempia lo sbandato mio passare. La mia venuta era testimonianza
di un ordine che in viaggio mi scordai giurano fede queste mie parole
a un evento impossibile, e lo ignorano. Ma sempre che tradii la
tua dolce risacca su le prode sbigottimento mi prese quale d’uno
scemato di memoria quando si risovviene del suo paese. Presa la
mia lezione più che dalla tua gloria aperta, dall’ansare che
quasi non dà suono di qualche tuo meriggio desolato a te mi rendo
in umiltà. Non sono che favilla d’un tirso. Bene lo so:
bruciare questo, non altro, è il mio
significato