italo calvino
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Italo Giovanni Calvino Mameli
Lezioni americane - esattezza
La
precisione per gli antichi Egizi era simboleggiata da una piuma che
serviva da peso sul piatto della bilancia dove si pesano le anime.
Quella piuma leggera aveva nome Maat, dea della bilancia. Il
geroglifico di Maat indicava anche l’unità di lunghezza, i 33
centimetri del mattone unitario, e anche il tono fondamentale del
flauto.
Queste notizie provengono da una conferenza di Giorgio de Santillana
sulla precisione degli antichi nell’osservare i fenomeni celesti:
una conferenza che ascoltai in Italia nel 1963 e che ebbe una
profonda influenza su di me. Da quando sono qui ripenso spesso a
Santillana, perché fu lui a farmi da guida nel Massachusetts al
tempo della mia prima visita in questo paese nel 1960. In memoria
della sua amicizia, apro questa conferenza sull’esattezza in
letteratura col nome di Maat, dea della bilancia. Tanto più che la
Bilancia è il mio segno zodiacale.
Cercherò prima di tutto di definire il mio
tema. Esattezza vuol dire per me soprattutto tre cose:
1) un disegno dell’opera ben definito e ben calcolato;
2) l’evocazione d’immagini visuali nitide, incisive, memorabili; in
italiano abbiamo un aggettivo che non esiste in inglese, «icastico»,
dal greco eikastikòs;
3) un linguaggio il più preciso possibile come lessico e come resa
delle sfumature del pensiero e dell’immaginazione.
Perché sento il bisogno di difendere dei valori che a molti
potranno sembrare ovvii? Credo che la mia prima spinta venga da una
mia ipersensibilità o allergia: mi sembra che il linguaggio venga
sempre usato in modo approssimativo, casuale, sbadato, e ne provo un
fastidio intollerabile. Non si creda che questa mia reazione
corrisponda a un’intolleranza per il prossimo: il fastidio peggiore
lo provo sentendo parlare me stesso. Per questo cerco di parlare il
meno possibile, e se preferisco scrivere è perché scrivendo posso
correggere ogni frase tante volte quanto è necessario per arrivare
non dico a essere soddisfatto delle mie parole, ma almeno a
eliminare le ragioni d’insoddisfazione di cui posso rendermi conto.
La letteratura – dico la letteratura che risponde a queste esigenze
– è la Terra Promessa in cui il linguaggio diventa quello che
veramente dovrebbe essere.
Alle volte mi sembra che un’epidemia pestilenziale abbia colpito
l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso della
parola, una peste del linguaggio che si manifesta come perdita di
forza conoscitiva e di immediatezza, come automatismo che tende a
livellare l’espressione sulle formule più generiche, anonime,
astratte, a diluire i significati, a smussare le punte espressive, a
spegnere ogni scintilla che sprizzi dallo scontro delle parole con
nuove circostanze.
Non m’interessa qui chiedermi se le origini di
quest’epidemia siano da ricercare nella politica, nell’ideologia,
nell’uniformità burocratica, nell’omogeneizzazione dei mass-media,
nella diffusione scolastica della media cultura. Quel che mi
interessa sono le possibilità di salute. La letteratura (e forse
solo la letteratura) può creare degli anticorpi che
contrastino l’espandersi della peste del linguaggio.
lezioni americane - 1988 -
prom.it.rai
.
L’eccessiva ambizione dei propositi può essere
rimproverabile in molti campi d’attività, non in letteratura. La letteratura
vive solo se si pone degli obiettivi smisurati, anche al di là d’ogni
possibilità di realizzazione: solo se poeti e scrittori si proporranno imprese
che nessun altro osa immaginare la letteratura continuerà ad avere una funzione.
Da quando la scienza diffida delle spiegazioni generali e delle soluzioni che
non siano settoriali e specialistiche, la grande sfida per la letteratura è il
saper tessere insieme i diversi saperi e i diversi codici in una visione
plurima, sfaccettata del mondo.
.
La parola collega la traccia
visibile alla cosa invisibile, alla cosa assente, alla cosa
desiderata o temuta, come un fragile ponte di fortuna gettato sul
vuoto.
.
Il millennio che sta per chiudersi ha visto nascere ed espandersi le
lingue moderne dell'Occidente e le letterature che di queste lingue
hanno esplorato le possibilità espressive e congnitive e
immaginative . Ci si interroga sulla sorte della
letteratura e del libro nell'era tecnologica cosiddetta
postindustriale . La mia fiducia nel futuro della
letteratura consiste nel sapere che ci sono cose che solo la
letteratura può dare coi suoi mezzi specifici .
Vorrei dunque dedicare queste mie conferenze ad alcuni valori o
qualità o specificità della letteratura che mi stanno
particolarmente a cuore .
.
Il cosmo può essere cercato anche all'interno d'ognuno di noi, come
caos indifferenziato, come molteplicità potenziale .
.
Certo la letteratura non sarebbe mai esistita se
una parte degli esseri umani non fosse stata incline ad una forte introversione,
ad una scontentezza per il mondo com’è, a un dimenticarsi delle ore e dei giorni
fissando lo sguardo sull’immobilità delle parole mute.
.
Ogni volta
l'inizio è questo momento di distacco dalla molteplicità dei possibili:
per il narratore l'allontanare da sé la molteplicità delle storie possibili, in
modo da isolare e rendere raccontabile la singola storia che ha deciso di
raccontare questa sera; per il poeta l'allontanare da sé un
sentimento del mondo indifferenziato per isolare e connettere un accordo di
parole in coincidenza con una sensazione o un pensiero.
L'inizio è anche l'ingresso in un mondo completamente diverso:
un mondo verbale.
.
Sono convinto che scrivere prosa non dovrebbe
essere diverso dallo scrivere poesia . in entrambi i casi è ricerca
d'un'espressione necessaria, unica, densa, concisa, memorabile .
lezioni americane |
leggerezza
Dice Calvino
parlando delle vocazioni opposte fra loro che si contendono il campo della
letteratura attraverso i secoli:
l'una tende a fare del linguaggio un
elemento senza peso che aleggia sopra le cose come una nube o, meglio, un
pulviscolo sottile, o meglio ancora come un campo di impulsi magnetici; l'altra
tende a comunicare al linguaggio il peso, lo spessore la concretezza delle cose,
dei corpi, delle sensazioni ...
La leggerezza
per me si associa con la precisione e la determinazione, non con la
vaghezza e l'abbandono al caso
.
Paul Valéry ha detto
:
Il faut etre léger
comme l'oiseau, et non comme la plume -
Bisogna essere leggeri come
un uccello, e non come una piuma -
teknemedia.net - filosofico.net
resta ancora un filo,
quello che avevo cominciato a svolgere all'inizio: la letteratura
come funzione esistenziale, la ricerca della leggerezza come
reazione al peso di vivere. lezioni
americane - pag 33
forse stavo scoprendo
solo allora la pesantezza, l'inerzia, l'opacità del mondo: qualità
che d'attaccano subito alla scrittura, se non si trova il modo di
sfuggirle. lezioni
americane - pag 8
Esiste una leggerezza della pensosità, così come
tutti sappiamo che esiste una leggerezza della frivolezza; anzi, la leggerezza
pensosa può far apparire la frivolezza come pesante e opaca.
Prendete la vita con leggerezza
che leggerezza non è superficialità
ma planare sulle cose dall’alto
non avere macigni sul cuore ...
La leggerezza per me
si associa con la precisione
e la determinazione
non con la vaghezza
e l’abbandono al caso
attribuzione non certa :
illibraio.it/leggerezza
-
sololibri.net/citazioni-piu-belle-false
raicultura.it/Citazioni-letterarie-sbagliate
-
kobo.com/it/blog/leggerezza-calviniana
frase del 2007
di mattea rolfo - cuneese - scrittrice - blogger
insegnate presso istituto superiore Bosso
Monti Torino info al
2023
.
Paul Valéry ha detto
Il faut etre léger comme l’oiseau
et non comme la plume
bisogna essere leggeri come l'uccello e non come la piuma
.
Se volessi scegliere un simbolo augurale per l’affacciarsi del nuovo millennio
sceglierei questo: l’agile salto improvviso del poeta-filosofo che si solleva
sulla pesantezza del mondo, dimostrando che la sua gravità contiene il segreto
della leggerezza, mentre quella che molti credono essere la vitalità dei tempi,
rumorosa, aggressiva, scalpitante e rombante, appartiene al regno della morte,
come cimiteri d’automobili arrugginite .
.
Così, a cavallo del nostro secchio, ci affacceremo
al nuovo millennio, senza sperare di trovarvi
nulla di più di quello che saremo capaci di
portarvi . La
leggerezza, per esempio, le cui virtù questa
conferenza ha cercato d’illustrare .
.
Nei momenti in cui il regno dell’umano mi sembra condannato alla
pesantezza, penso che dovrei volare come Perseo in un altro spazio. Non sto
parlando di fughe nel sogno o nell’irrazionale. Voglio dire che devo cambiare il
mio approccio, devo guardare il mondo con un’altra ottica, un’altra logica,
altri metodi di conoscenza e di verifica. Le immagini di leggerezza che io cerco
non devono lasciarsi dissolvere come sogni dalla realtà del presente e del
futuro.
2* parte - lucrezio e ovidio
.
Quella speciale modulazione lirica ed
esistenziale che permette di contemplare il proprio dramma come dal di fuori e
dissolverlo in malinconia e ironia.
.
Lezioni americane
Questo libro di Italo Calvino raccoglie cinque conferenze tenute
all'università di Harvard negli Stati Uniti. Queste conferenze
svoltesi nel 1985, parlano delle qualità letterarie più importanti
che lo scrittore proietta nel nuovo millennio. Il libro è stato
pubblicato postumo nel 1988.
‘valori letterari per il prossimo millennio’
-
leggerezza
-
rapidità
-
esattezza
-
visibilità
-
molteplicità
SONO RIMASTI APPUNTI SULLA SESTA LEZIONE RELATIVA ALLA
‘CONSISTENZA’.
Leggerezza
Dopo quarant'anni che scrivo fiction, dopo aver esplorato varie
strade e compiuto esperimenti diversi, è venuta l'ora che io cerchi
una definizione complessiva per il mio lavoro; proporrei questa: la
mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso
- ho cercato di togliere peso ora alle figure umane,
ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di
togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio.
Rapidità
Mi limiterò
a dirvi che sogno immense cosmologie, saghe ed epopee racchiuse
nella dimensione
di
un epigramma.
Tra le molte virtù di Chuang-Tzu c’era l’abilità nel disegno. Il re
gli chiese il disegno d’un granchio. Chuang-Tzu disse che aveva
bisogno di cinque anni di tempo e d’una villa con dodici servitori.
Dopo cinque anni il disegno non era ancora cominciato. ‘Ho bisogno
di altri cinque anni’ disse Chuang-Tzu. Il re glieli accordò. Allo
scadere dei dieci anni, Chuang-Tzu prese il pennello e in un
istante, con un solo gesto, disegnò un granchio, il più perfetto
granchio che si fosse mai visto.
... Dato che in ognuna di queste conferenze mi sono proposto di
raccomandare al prossimo millennio un valore che mi sta a cuore,
oggi il valore che voglio raccomandare è proprio questo: in un’epoca
in cui altri media velocissimi e di estesissimo raggio trionfano, e
rischiano d’appiattire ogni comunicazione in una crosta uniforme e
omogenea, la funzione della letteratura è la comunicazione tra ciò
che è diverso in quanto è diverso, non ottundendone bensì
esaltandone la differenza, secondo la vocazione propria del
linguaggio scritto.
Esattezza
Come
Hofmannsthal ha detto: ‘La profondità va nascosta. Dove? Alla
superfice’. E Wittgenstein andava ancora più in là di Hofmannsthal,
quando diceva:
‘Ciò
che è nascosto, non ci interessa’
...
Vorrei
aggiungere che non è soltanto il linguaggio che mi sembra colpito da
questa peste. Anche le immagini, per esempio. Viviamo sotto una pioggia
ininterrotta d’immagini; i più potenti media non fanno che
trasformare il mondo in immagini e moltiplicarlo attraverso una
fantasmagoria di giochi di specchi: immagini che in gran parte sono
prive della necessità interna che dovrebbe caratterizzare ogni
immagine, come forma e come significato, come forza d’imporsi
all’attenzione, come ricchezza di significati possibili. Gran parte
di questa nuvola d’immagini si dissolve immediatamente come i sogni
che non lasciano traccia nella memoria; ma non si dissolve una
sensazione d’estraneità e di disagio.
Ma forse l’inconsistenza non è nelle immagini o nel linguaggio
soltanto: è nel mondo. La peste colpisce anche la vita delle persone
e la storia delle nazioni, rende tutte le storie informi, casuali,
confuse, senza principio né fine. Il mio disagio è per la perdita di
forma che constato nella vita, e a cui cerco d’opporre l’unica
difesa che riesco a concepire: un’idea della letteratura.
ESATTEZZA E INDETERMINATEZZA
l’ignoto è sempre più attraente del noto, la
speranza e l’immaginazione sono l’unica consolazione dalle delusioni
e dai dolori dell’esperienza. L’uomo proietta dunque il suo
desiderio nell’infinito, prova piacere solo quando può immaginarsi
che esso non abbia fine. Ma poiché la mente umana non riesce a
concepire l’infinito, anzi si ritrae spaventata alla sola sua idea,
non le resta che contentarsi dell’indefinito, delle sensazioni che
confondendosi l’una con l’altra creano un’impressione d’illimitato,
illusoria ma comunque piacevole.
Visibilità
C’è un verso
di Dante nel Purgatorio (XVII, 25) che dice: ‘Poi piovve dentro a
l’alta fantasia’. La mia conferenza di stasera partirà da questa
constatazione:
la
fantasia è un posto dove ci piove dentro.
Il pericolo che
stiamo correndo è quello di perdere una facoltà umana fondamentale: il potere di
mettere a fuoco visioni ad occhi chiusi, di far scaturire colori e forme
dall'allineamento di caratteri alfabetici neri su una pagina bianca, di pensare
per immagini ...
Nell’ideazione d’un racconto la prima cosa che mi viene alla mente è
un’immagine che per qualche ragione mi si presenta come carica di
significato. Appena l’immagine è diventata abbastanza netta nella
mia mente, mi metto a svilupparla in una storia, o meglio, sono le
immagini stesse che sviluppano le loro potenzialità implicite, il
racconto che esse portano dentro di sé. Attorno a ogni immagine ne
nascono delle altre, si forma un campo di analogie, di simmetrie, di
contrapposizioni. Nell’organizzazione di questo materiale che non è
più solo visivo ma anche concettuale, interviene a questo punto
anche una mia intenzione nell’ordinare e dare un senso allo sviluppo
della storia. Nello stesso tempo la scrittura, la resa verbale,
assume sempre più importanza; direi che dal momento in cui comincio
a mettere nero su bianco, è la parola scritta che conta: prima come
ricerca d’un equivalente dell’immagine visiva, poi come sviluppo
coerente dell’impostazione stilistica iniziale, e a poco a poco
resta padrona del campo. Sarà la
scrittura a guidare il racconto
nella direzione in cui l’espressione verbale scorre più felicemente,
e all’immaginazione visuale non resta che tenerle dietro.
Molteplicità
Chi siamo noi, chi è ciascuno di noi se non
una combinatoria d’esperienze, d’informazioni, di letture,
d’immaginazioni? Ogni vita è un’enciclopedia, una biblioteca, un
inventario d’oggetti, un campionario di stili, dove tutto può essere
continuamente rimescolato e riordinato in
tutti i modi possibili.
skuola.tiscali.it - michelmartone.org - uxmagazine.it
-
archimagazine.com
- istitutobrunofranchetti.gov.it
giorgiopozzieditore.it/pdf/Lezioni-americane-inizio.pdf
-
pangea.news/italo-calvino-le-nuove-lezioni-americane
.
melanconia è la tristezza diventata leggera
cosi lo humour
è il comico che ha perso la pesantezza
corporea (quella dimensione della carnalità umana che pur fa grandi
Boccaccio e Rabelais) e mette in dubbio l'io e il mondo e tutta la
rete di relazioni che li costituiscono. Melanconia e humour
mescolati e inseparabili caratterizzano l'accento del Principe di
Danimarca che abbiamo imparato a riconoscere in tutti o quasi i
drammi shakespeariani sulle labbra dei tanti avatars del personaggio
Amleto. Uno di essi, Jaques in As You
Like It, cosi definisce la melanconia
- atto IV, scena I:
...
but it is a melancholy of my own,
compounded of many simples, extracted from
many objects, and indeed the sundry
contemplation of my travels, which, by
often rumination, wraps me in a most
humorous sadness.
|
...
è la mia peculiare malinconia
composta da elementi diversi, quintessenza
di varie sostanze, e più precisamente di
tante differenti esperienze di viaggi
durante i quali quel perpetuo ruminare mi
ha sprofondato in una capricciosissima
tristezza.
|
Non è una
melanconia compatta e opaca, dunque, ma un velo di particelle
minutissime d'umori e sensazioni, un pulviscolo d'atomi come tutto
ciò che costituisce l'ultima sostanza della molteplicità delle cose.
lezioni americane
*
giorgio albertazzi - lezioni
americane - 2013/2014
-
https://youtu.be/1Cex0-IA8Kg - promo
www.rai.tv/dl/RaiTV
- dal teatro san babila - milano
ovunque stiamo andando
cerchiamo di andarci con leggerezza -
giorgio albertazzi
https://youtu.be/mbPowkWd704
- https://youtu.be/lw6VnGqo5NQ
- https://youtu.be/0Ipq1sk4FPw
.
Le Lezioni americane
sono cinque conferenze scritte nel 1985 per «Charles Eliot Norton
Poetry Lectures » della Harvard University. Calvino era il primo
italiano invitato a tenere quelle conferenze.
morì qualche mese prima della partenza per l’America e le Lezioni
restarono allo stato di manoscritto inedito.
Solo
alcuni anni dopo sua moglie Ester le fece pubblicare
e da
qualche anno queste conferenze sono diventate teatrali grazie a
Giorgio Albertazzi.
Sul palcoscenico una scrivania di libri e macchina da scrivere -
quadri accatastati e lui nei panni di un professore che assistito da
una giovane allieva prepara una conferenza sul tema della
leggerezza.
la parola è in primo piano - il tono discorsivo si fa più incalzante
- Albertazzi
da vero mattatore alterna - cambia registro e a poco a poco diventa
Calvino.
torinospettacoli.it - lastampa.it tlg -
baritoday.it - 2013/2014
Giorgio Albertazzi
ha mostrato tutto il suo fascino oratorio, la sua indiscussa
capacità di dominare il palco, di tenere viva l'attenzione del
pubblico senza un momento di flessione, reggendo per circa due ore
uno spettacolo non facile, dando prova di una memoria eccezionale,
restituendo significato e bellezza alle parole, recitando a memoria
poesie di D'Annunzio - Montale e Shakespeare. Forse non tutti gli
spettatori hanno colto integralmente quanto veniva con grande
leggerezza illustrato.
' Ma l'importante non è capire ma sentire ' .
E tutti, anche i più stanchi e non del tutto preparati culturalmente
hanno comunque "sentito" che stava andando in scena "una lezione"
eccezionale che ha fatto alzare in piedi tutto il pubblico presente
in una standing ovation.
redazione - trcgiornale.it - 2014
ALBERTAZZI/YOURCENAR - ADRIANO
ALBERTAZZI/CALVINO -
LEZIONI AMERICANE
ALBERTAZZI/FO - TEATRO IN
ITALIA
giorgioalbertazzi.it
|
L'atteggiamento scientifico e quello poetico coincidono
Entrambi sono atteggiamenti insieme di ricerca e di progettazione
di scoperta e di invenzione
una pietra sopra
|
COSMICOMICHE
Racconti di Italo Calvino che prendono il via da
uno spunto scientifico esplicitamente citato come apertura del
testo. L'enunciato scientifico evoca il contesto in cui la
narrazione si svolge con una funzione molto simile alla
descrizione della messa in scena di un copione teatrale.
Il mio intento era dimostrare come il
discorso per immagini tipico del mito possa nascere da qualsiasi
terreno: anche dal linguaggio più lontano da ogni immagine
visuale come quello della scienza d'oggi. Anche leggendo il più
tecnico libro scientifico o il più astratto libro di filosofia si
può incontrare una frase che inaspettatamente fa da stimolo alla
fantasia figurale … ne può scaturire uno sviluppo fantastico
tanto nello spirito del testo di partenza quanto in una direzione
completamente diversa .
da lezioni americane
- visibilità - 1985
Il nome tradisce l'intento : cosmicomiche o
comicosmiche deriva dai due termini
cosmico e comico . Per cosmico
deve intendersi soprattutto assoluto e dunque in grado di avere
la grandezza del mito . Il termine comico, invece, non si
riferisce tanto al genere letterario, quanto al temine inglese
comics, che indica la striscia di vignette .
torinoscienza.it
http://it.wikipedia.org/wiki/Le_cosmicomiche
www.skuola.net/cosmocomiche.html
https://youtu.be/ZgbCrn7g-bc
- tae teatro
https://youtu.be/V5rLXk0vg_c
- premio strega 1966
.
Le Cosmicomiche – lo confesso – mi erano giunte come
una cosa irreale e interlocutoria . Adesso egli mi
riappare, non solo vero, ma più vero che mai, col suo ultimo libro, che non
solo è il suo più bello, ma bello in assoluto .
pier paolo pasolini
.
Le Cosmicomiche 1965
appartengono al vedere dell’immaginazione . Ho scritto le prime
vent’anni fa partendo dalla constatazione che la scienza moderna, la fisica, la
cosmologia, la biologia molecolare, non offrono immagini visive e possono essere
comprese solo concettualmente, astrattamente.
La letteratura costruisce i ponti tra i modelli della logica scientifica e
l’esperienza e il linguaggio quotidiani:
più la scienza va avanti più c’è lavoro per la letteratura.
.
Non esisteva né un prima né un dopo né un
altrove da cui immigrare.
.
Alle volte alzo lo
sguardo alla Luna e penso a tutto il
deserto, il freddo, il vuoto che pesano sull’altro piatto della bilancia, e
sostengono questo nostro povero sfarzo. Se sono saltato
in tempo da questa parte è stato un caso. So che
sono debitore alla Luna di quanto ho sulla Terra, a quello che non c’è di quel
che c’è.
la luna come un fungo - la memoria del mondo e altre storie
cosmicomiche - 1968
...
Ciò che i genitori m’hanno detto d’essere in
principio, questo io sono : e nient’altro. E nelle istruzioni
dei genitori sono contenute le istruzioni dei genitori dei genitori alla
loro volta tramandate di genitore in genitore in un’interminabile catena
d’obbedienza . tutte le cosmicomiche
...
... Ed ecco che la linea
invisibile che percorrevo io e quella che lei percorreva sarebbero
diventate una sola linea, occupata da una
mescolanza di lei e di me dove quanto di lei era morbido e segreto veniva
penetrato, anzi, avvolgeva e quasi direi risucchiava quanto di me con più
tensione era andato fin lì soffrendo d’essere solo e separato e asciutto
.
...
Quello che veramente ognuno di noi è ed ha, è il
passato - quello che siamo e abbiamo è il catalogo delle
possibilità non fallite, delle prove pronte a ripetersi . Non
esiste un presente, procediamo ciechi verso il fuori e il dopo, sviluppando
un programma stabilito con materiali che ci fabbrichiamo sempre uguali .
Non tendiamo a nessun futuro, non c'è niente che ci aspetta,
siamo chiusi tra gli ingranaggi d'una memoria
che non prevede altro lavoro che il ricordare se stessa .
Quello che ora porta me e Priscilla a cercarci
non è una spinta verso il dopo : è l'ultimo atto del passato che si
compie attraverso di noi . Priscilla, addio, l'incontro,
l'abbraccio sono inutili, noi restiamo lontani, o già vicini una volta per
tutte, cioè inavvicinabili . La separazione,
l'impossibilità d'incontrarsi è già in noi da principio .
Siamo nati non da una fusione ma da una
giustapposizione di corpi diversi .
...
Mi ero insomma innamorato.
Vale a dire: avevo
cominciato a riconoscere, a isolare, i segni di una
da quelli delle altre, anzi li aspettavo, questi segni che avevo
cominciato a riconoscere, li cercavo, anzi rispondevo a questi segni
che aspettavo con altri segni che facevo io, anzi ero io a
provocarli, questi segni di lei ai quali io rispondevo con altri segni
miei, vale a dire io ero innamorato di lei e lei di me,
cosa si poteva desiderare di più dalla vita ?
...
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COSMICOMICHE - TI CON ZERO
|
LA DISTANZA DALLA LUNA
Non
pensavo che alla Terra.
Era la Terra a far sì che ciascuno fosse proprio quel
qualcuno e non altri; quassù, strappati alla Terra, era come se io non fossi più
quell'io, né lei per me quella lei. Ero ansioso di tornare sulla Terra, e
trepidavo nel timore d'averla perduta. compimento del mio sogno d'amore era durato solo quell’istante in cui
c'eravamo congiunti roteando tra Terra e Luna; privato del suo terreno
terrestre, il mio innamoramento ora non conosceva che la nostalgia straziante di
ciò che ci mancava; un dove, un intorno, un prima, in poi.
Questo era ciò che io provavo. Ma lei? Chiedendomelo, ero diviso nei miei
timori. Perché se anche lei non pensava che alla Terra, poteva essere un buon
segno, d'un'intesa con me finalmente raggiunta, ma poteva anche essere segno che
tutto era stato inutile, che era ancora solo al sordo che miravano i suoi
desideri. Invece, nulla. Non levava mai lo sguardo al vecchio pianeta, se ne
andava pallida fra quelle lande, borbottando nenie e carezzando l'arpa, come
immedesimata nella sua provvisoria (io credevo) condizione lunare. Era segno che
avevo vinto sul mio rivale? No; avevo perso; una sconfitta disperata. Perché
ella aveva ben compreso che l'amore di mio cugino era solo per la Luna, e tutto
quel che lei voleva ormai era diventare Luna, assimilarsi all'oggetto di
quell'amore extraumano …
Ed ecco: era chiaro che la punta di quell'asta avrebbe toccato la Luna, e la
vedemmo sfiorare e premere il suolo squamoso, appoggiarvisi un momento, dare
quasi una piccola spinta, anzi una forte spinta che la faceva allontanare di
nuovo, e poi tornare a picchiare in quel punto come di rimbalzo, e di nuovo
allontanarsi. E allora lo riconobbi, anzi, tutti e due - io e la signora - lo
riconoscemmo, mio cugino, non poteva essere che lui, era lui che faceva il suo
ultimo gioco con la Luna, un trucco dei suoi, con la Luna sulla punta della
canna come se la tenesse in equilibrio. E ci accorgemmo che la sua bravura non
mirava a nulla, non intendeva raggiungere nessun risultato pratico, anzi si
sarebbe detto che la stesse spingendo via, la Luna, che ne stesse assecondando
l'allontanamento, che la volesse accompagnare sulla sua orbita più distante. E
anche questo era da lui: da lui che non sapeva concepire desideri in contrasto
con la natura della Luna e il suo corso e il suo destino, e se la Luna ora
tendeva ad allontanarsi da lui, ebbene egli godeva di questo allontanamento come
aveva fino allora goduto della sua vicinanza.
Cosa doveva fare, di fronte a questo, la signora Vhd Vhd? Solo in quel momento
ella mostrò fino a che punto il suo innamoramento per il sordo non era stato un
frivolo capriccio ma un voto senza ritorno. Se quel che ora mio cugino amava era
la Luna lontana, lei sarebbe rimasta lontana, sulla Luna. Lo intuii vedendo che
non faceva un passo verso il bambù, ma solo rivolgeva l’arpa verso la Terra alta
in cielo, pizzicando le corde. Dico che la vidi, ma in realtà fu solo con
l'angolo dell'occhio che captai la sua immagine, perché appena l'asta aveva
toccato la crosta lunare io ero saltato ad aggrapparmici, e ora rapido come un
serpente m'arrampicavo per i nodi del bambù, salivo a scatti delle braccia e
delle ginocchia, leggero nello spazio rarefatto come da una forza di natura che
mi comandava di tornare sulla Terra, dimenticando il motivo che m'aveva portato
lassù, o forse più che mai cosciente d'esso e del suo esito sfortunato, e già la
scalata alla pertica ondeggiante era giunta al punto in cui non dovevo fare più
alcuno sforzo ma solo lasciarmi scivolare a testa avanti attratto dalla Terra,
fino a che in questa corsara canna si ruppe in mille pezzi e io caddi nel mare,
tra le barche.
Era il dolce ritorno, la patria ritrovata, ma il mio pensiero era solo di dolore
per lei perduta, e i miei occhi s'appuntavano sulla Luna per sempre
irraggiungibile, cercandola. E la vidi. Era là dove l'avevo lasciata, coricata
su una spiaggia proprio sovrastante alle nostre teste, e non diceva nulla. Era
del colore della Luna; teneva Tarpa al suo fianco, e muoveva una mano in arpeggi
lenti e radi. Si distingueva bene la forma del petto, delle braccia, dei
fianchi, così come ancora la ricordo, così come anche ora che la Luna è
diventata quel cerchietto piatto e lontano, sempre con lo sguardo vado cercando
lei appena nel ciclo si mostra il primo spicchio, e più cresce più m'immagino di
vederla, lei o qualcosa di lei ma nient'altro che lei, in cento in mille viste
diverse, lei che rende Luna la Luna e che ogni plenilunio spinge i cani tutta la
notte a ululare e io con loro.
...
C’erano delle notti di plenilunio basso basso e d’alta
marea alta alta che se la Luna non si bagnava in mare ci mancava un pelo
- diciamo pochi metri. Se non abbiamo mai provato a salirci
? E come no ? Bastava andarci proprio sotto con la
barca, appoggiarci una scala a pioli e montar su.
la distanza dalla luna - cosmicomiche
.
C’era la Luna proprio sopra
e la città mi parve fragile, sospesa come una ragnatela, con tutti i suoi
vetrini tintinnanti, i suoi filiformi ricami di luce, sotto quell'escrescenza
che gonfiava il cielo.
memoria del mondo e altre storie cosmicomiche
|
Le nostre
distanze
un po’ s’accorciavano un po’ s’allungavano ma ormai era chiaro che l’uno non
avrebbe mai raggiunto l’altro né mai l’altro l’uno. Di giocare a rincorrerci
avevamo perso ogni gusto e del resto non eravamo più bambini ma
ormai non ci restava altro da fare.
giochi senza fine - cosmicomiche
|
Non la
ritrovai né quella notte né durante i giorni e le notti che seguirono.
Intorno, il mondo sciorinava colori sempre nuovi, nuvole rosa s’addensavano
in cumuli violetti che scaricavano fulmini dorati; dopo i temporali lunghi
arcobaleni annunciavano le tinte che ancora non s’erano viste, in tutte le
possibili combinazioni. E già la clorofilla cominciava la sua avanzata:
muschi e felci verdeggiavano nelle valli percorse da torrenti. Era questo
finalmente lo scenario degno della bellezza d’Ayl; ma lei non c’era! E senza
di lei tutto questo sfarzo multicolore mi pareva inutile, sprecato .
senza colori - le cosmicomiche
|
Fu una bastonata dura per me. Ma poi, che
farci?
Continuai la mia strada, in mezzo alle
trasformazioni del mondo, anch’io trasformandomi.
sul far del giorno - cosmicomiche
|
E in fondo ad ognuno di quegli occhi
abitavo io
ossia abitava un altro me, una delle immagini di me, e s’incontrava con
l’immagine di lei, la più fedele immagine di lei, nell’ultramondo che s’apre
attraversando la sfera semiliquida delle iridi, il buio delle pupille, il
palazzo di specchi delle rètine, nel vero nostro elemento che si estende senza
rive né confini .
.
La volontà di essere per lei
d'essere io che fossi io, e per lei che fosse lei, e l'amore per
me stesso che mettevo nell'amore per lei.
gli anni luce - cosmicomiche 1965
|
cosmicomiche - ti con zero
Esplodere o
implodere - disse Qfwfq - questo è il problema
:
se sia più nobile intento espandere nello spazio la
propria energia senza freno, o stritolarla in una densa concentrazione
interiore e conservarla ingoiandola. Sottrarsi, scomparire, nient'altro;
trattenere dentro di sè ogni bagliore, ogni raggio, ogni sfogo, e soffocando
nel profondo dell'anima i conflitti che l'agitano scompostamente, dar loro
pace, occultarsi, cancellarsi: forse risvegliarsi altrove, diverso.
Diverso... Come diverso? Il problema:
esplodere o implodere tornerebbe a
ripresentarsi? Assorbito dal vortice di questa galassia, riaffacciarsi su
altri tempi e altri cieli? Qui sprofondare nel freddo silenzio, là
esprimersi in urli fiammeggianti d'un altro linguaggio? Qui assorbire il
male e il bene come una spugna nell'ombra, là sgorgare come uno zampillo
abbagliante, spargersi, spendersi, perdersi? A che pro allora il ciclo
tornerebbe a ripetersi? Non so nulla, non voglio sapere, non voglio
pensarci: ora, qui, la mia scelta è fatta:
io implodo, come se il precipitare centripeto mi
salvasse per sempre da dubbi e da errori, dal
tempo dei mutamenti effimeri, dalla scivolosa discesa del prima e del poi,
per farmi accedere a un tempo stabile, fermo, levigato e raggiungere la sola
condizione definitiva, compatta, omogenea. Esplodete, se così vi garba,
irradiatevi in frecce infinite, prodigatevi, scialacquate, buttatevi via: io
implodo, crollo dentro l'abisso di me stesso, verso il mio centro sepolto,
infinitamente. incipit
implosione
... Certo, volendo, uno può anche mettersi in testa
di trovare un ordine nelle stelle, nelle galassie, un ordine nelle finestre
illuminate dei grattacieli vuoti dove il personale della pulizia tra le nove
e mezzanotte dà la cera agli uffici .
ti con zero - i cristalli
… e quando
dico 'innamorato da morire' - proseguì Qfwq - intendo qualcosa di cui voi
non avete un'idea, voi che pensate che innamorarsi voglia dire per forza
innamorarsi di un'altra persona, o cosa, o cosa diavolo, insomma io son qui
e ciò di cui sono innamorato è là, cioè una relazione connessa alla vita di
relazione, invece io vi parlo di prima che
mi mettessi in relazione con niente, c'era
una cellula e quella cellula lì ero io ed è già tanto, una cosa così basta e
avanza a riempirti la vita, appunto di questo senso di pienezza volevo
parlare …
...
Vuoto separazione e attesa, questo siamo .
E tali restiamo anche il giorno in cui il passato dentro di noi ritrova le
forme originarie, l’addentrarsi di sciami di cellule-semi o il concentrato
maturare di cellule-uova e finalmente le parole scritte nei nuclei non sono
più le stesse di prima ma non sono neppure più parte di noi, sono un
messaggio al di là di noi, che già non ci appartiene . In un
punto nascosto di noi stessi la doppia serie degli ordini del passato si
divide in due e le cellule nuove si ritrovano con un passato semplice, non
più doppio, che dà loro leggerezza e l’illusione d’essere nuove davvero,
d’avere un passato nuovo che quasi pare un futuro .
...
e noi abbiamo un bel correre, priscilla, per
venirci incontro e inseguirci : il passato dispone di noi con indifferenza
cieca e una volta che ha smosso quei frammenti di sé e nostri non si cura di
come noi li spenderemo. Noi non eravamo che la preparazione, l’involucro,
all’incontro dei passati che avviene attraverso di noi ma che fa già parte
di un’altra storia, della storia del dopo: gli incontri avvengono sempre
prima e dopo di noi e vi agiscono gli elementi del nuovo a noi preclusi: il
caso, il rischio, l’improbabile .
...
Tanto che alle volte mi prende l'incertezza se
io sono veramente la somma dei caratteri dominanti del passato, il risultato
d'una serie d'operazioni che davano sempre un numero maggiore di zero, o se
invece la mia vera essenza non è piuttosto quella che discende dalla
successione dei caratteri sconfitti, il totale dei termini col segno meno,
di tutto ciò che nell'albero delle derivazioni è rimasto escluso soffocato
interrotto : il peso di quello che non è stato m'incombe addosso
non meno schiacciante di ciò che è stato e non poteva non essere .
Vuoto separazione e attesa, questo siamo
.
...
Non è vero che lo
stato di desiderio si verifichi quando manca qualcosa; se qualcosa manca,
pazienza, se ne fa a meno, e se è una cosa indispensabile facendone a meno
si fa a meno d'esercitare una qualche funzione vitale, e quindi si procede
rapidamente verso una sicura estinzione.
ti con zero
Non esiste un presente, procediamo ciechi verso il
fuori e il dopo, sviluppando un programma stabilito con materiali che ci
fabbrichiamo sempre uguali. Non tendiamo a nessun futuro, non c’è niente che
ci aspetta, siamo chiusi tra gli
ingranaggi d’una memoria che non prevede
altro lavoro che il ricordare sé stessa.
ti con zero - mitosi
cosmicomiche - incipit
implosione
|
GLI AMORI DIFFICILI
PRIMA CHE TU DICA PRONTO
-
la pecora
nera
Ma non è tanto questo:
è che basta che cominci a insinuartisi il dubbio che tutto ciò che ti
riguarda è puramente accidentale, passibile di trasformazione e che potresti
essere completamente diverso e non importerebbe nulla, ed ecco che per
questa via si arriva a pensare che se ci fossi o non ci fossi sarebbe tutto
lo stesso, e di qui
il passo che porta alla disperazione è breve.
.
Il sole era quello d'un tramonto che tarda,
quando il caldo e la luce quasi non scemano ma appena restano dolcemente
attutiti. Il romanzo che Amedeo leggeva era a quel punto in cui i più
grossi segreti dei personaggi e dell'ambiente sono svelati, e ci si muove in
un mondo familiare, e si è raggiunta una specie di parità, di confidenza tra
l'autore e il lettore, e si va avanti insieme, e non si smetterebbe mai.
.
Le emozioni
sono tanto più forti quanto più il rapporto è
precario azzardoso insicuro. Ciò che non ci soddisfa dei nostri rapporti
quando siamo vicini, non è che vadano male, ma al contrario, che vadano come
devono andare .
.
Non c'era altra storia, altra attesa
possibile oltre a quella che aveva lasciato in sospeso tra le pagine dov'era
il segnalibro, e tutto il resto era un intervallo vuoto.
.
Ora ci rincorriamo,
giochiamo a denti stretti. L’amore, ecco l’amore uno dell’altra, una voglia
di graffi e morsi l’uno dell’altra, pugni anche, sulle spalle, poi un bacio
stanchissimo: l’amore.
.
Questo è il segreto
- decise, ritornando nel suo studio : che in ogni momento, in ogni cosa che
io faccio o dico, sia implicito tutto quello che ho vissuto. - Ma lo rodeva
un'ansia, di non potere mai essere pari a quello che era stato, di non
riuscire a esprimere, né con allusioni e men che meno con parole esplicite,
e forse neppure col pensiero, la pienezza che sapeva d'aver raggiunto.
.
E poi non sapevo più cosa guardare e guardai il cielo .
.
E’ in questo silenzio di circuiti che
ti sto parlando.
So bene che, quando finalmente le nostre voci riusciranno a incontrarsi sul
filo, ci diremo delle frasi generiche e monche; non è per dirti qualcosa che ti
sto chiamando, né perché creda che tu abbia da dirmi qualcosa. Ci telefoniamo
solo perché nel chiamarci a lunga distanza, in questo cercarci a tentoni
attraverso cavi di rame sepolti, relais ingarbugliati, vorticare di spazzole di
selettori intasati, in questo scandagliare il silenzio e attendere il ritorno di
un’eco, si perpetua il primo richiamo della lontananza, il
grido di quando la
prima grande crepa della deriva dei continenti si è aperta sotto i piedi di una
coppia di esseri umani
e gli abissi dell’oceano si sono spalancati a separarli, mentre l’uno su una
riva e l’altra sull’altra trascinati precipitosamente lontano cercavano col
loro grido di tendere un ponte sonoro che ancora li tenesse insieme e che si
faceva sempre più flebile, finché il rombo delle onde non lo travolgeva
senza speranza. Da allora la distanza è l’ordito che regge
la trama d’ogni storia d’amore, come d’ogni
rapporto tra viventi, la distanza che gli uccelli cercano di colmare,
lanciando nell’aria del mattino le arcate sottili dei loro gorgheggi, così
come noi, lanciando nelle nervature della terra sventagliate d’impulsi
elettrici traducibili in comandi per i sistemi a relais: il solo modo che
resta agli esseri umani di sapere che si stanno chiamando per il bisogno di
chiamarsi e basta.
...
nella citta cominciavano le luci
e noi sedavamo sulla riva al di la del fiume e in noi c'era quello che si
dice l’amore, quel ruvido scoprirsi e cercarsi, quell’aspro sapore uno
dell’altro, tu sai, l’amore.
...
Nelle sue
deluse fantasie,
le persone cui aveva sperato di potersi rivolgere erano sempre uomini. Non
aveva pensato alle donne, eppure con queste tutto doveva essere più
semplice; una specie di solidarietà femminile si sarebbe certo mossa, in
quella congiuntura così grave, in quell’ansia che solo una di loro poteva
capire fino in fondo. Ma le comunicazioni con le persone del suo stesso
sesso avevano occasioni più rare e incerte, al contrario della facilità
pericolosa degli incontri con gli uomini , e una diffidenza questa volta
reciproca le ostacolava. Il più delle donne passavano sui pattini in coppia
con un uomo, gelose e inaccessibili, e cercavano il largo, dove quel corpo
di cui lei soffriva solo l’onta passiva, era per loro l’arma di una lotta
aggressiva e calcolabile.
Qualche barca s’avanzava gremita di giovanette
pigolanti e accaldate, e la signora pensava alla distanza tra l’infima
volgarità della sua pena e la volatile spensieratezza loro; pensava a quando
avrebbe dovuto ripetere loro il suo appello perché la prima volta certo non
l’avrebbero intesa; pensava ai mutamenti dei loro visi alla notizia; e non
sapeva risolversi a chiamarle.
...
Potessi bastare io
VORREI PORTARTI CON ME
Resisteresti poco, al freddo senza l’afa estiva ma sarebbe un’esperienza
diversa, no? Poi ti riporterei indietro, come è giusto che sia. Ma per un
po’ ti porterei con me.
Ti racconterei le cose che non avrò il tempo di finire di dirti. Solo per
quello, per trovare il modo che duri di più. Ti farei guardare il mare
freddo, così apprezzeresti il tuo. Ti farei una foto e la lascerei nel
cassetto per le volte che avrò voglia di guardarti con i capelli
scompigliati e il sorriso accennato.
Mangeremmo e dormiremmo poco perché non ci sarebbe il tempo; tutto quello
che vorresti cercherei di dartelo. Ti farei esprimere un desiderio e lo
esaudirei. Solo uno, perché tre non sarei capace.
Ti farei almeno un paio di domande scomode, perché così ti fideresti di me;
perché così, se ti telefonassi almeno una volta, sussulteresti un pochino e
quando deciderai di andare via, ci sarà almeno una volta in cui vorrai
tornare.
Vorrei che ti fossi innamorata di me, per chiedermi di restare. Ma forse tu
impieghi tanto per innamorarti e
allora è per questo che vorrei portarti con me: per farti innamorare.
Verresti?
No, non verrei. Perché dovrei?
Non credo che mi riporteresti indietro, non voglio che tu faccia di tutto
per me. Il suono è simile a quello della tua voce, non della mia: vorrei che
lo capissi e te ne rendessi conto. Le tue parole sono esigenti e mi si
stringono al cuore. L’unisono tra di noi non funziona. Il moto di due anime
in una non esiste. Non vorrei foto di questo momento, né motivi per lasciare
che non finisca. È doloroso da ricordare. Cosa c’è di poetico in una
sensazione moritura? Se lo volessi, non farei in modo che arrivi la fine.
Perché è questo il punto: io sto facendo in modo che l’ultimo secondo di
tutto accada, capisci? Permettimi di dire di no. Permettimi di non esserti
accanto. Permettimi di decidere di non esserci come vuoi tu.
Pensare che sia per due, per renderti i pensieri più facili; lo sai che mi
stai raccontando una bugia mentre mi chiedi ‘verresti?‘
Certo che lo sai.
Venire? Cosa potrebbe dire? Cosa saremmo?
La mia automobile scivola da sola verso casa mentre rileggo le tue parole.
Cerco di trovare interpretazione, tentando di valicare le frasi così come
sono – cunei – e trovarci l’intenzione inespressa di dire dell’altro. Cerco
titubanze, virgole, mi soffermo sui dettagli. Ma io di dettagli non capisco
nulla. Non so come sono fatti, in verità.
Potrei rimanere attaccato alla balaustra a due mani, mangiare tutte le
merendine della macchinetta accanto all’ingresso del gate pur di restare a
guardare il fiume da un lato e la strada dall’altro.
Fissare l’asfalto fino a farmelo entrare negli occhi e bucarmeli per non
vedere la via di casa: questo dovrebbe accadere affinché io vada via da qui
e mi rassegni alle tue parole. Credevo di non essere capace di rimanere in
silenzio a guardare.
Sono solito pensare di me cose molto positive: grande cuore, grande testa,
spirito d’iniziativa, forte indipendenza; pensavo di non essere capace di
restare a guardare inerme.
È una di quelle circostanze che non si addicono agli spiriti vincenti. È
come ammettere di avere un buco scoperto e lasciare che qualcuno ci infili
un dito dentro, stracciando carne e tessuti, graffiando vasi, fino a tingere
di rosso i vestiti e non poter, così, celare l’affanno.
Eppure io sono un tipo sveglio, non mi lascio abbindolare facilmente; ho
sempre saputo tenerle a distanza e prosciugarne il necessario. Ecco, sì: non
sono mai andato al di là del necessario con quasi nulla. Solo di foglie
d’albero ne ho troppe, perché ne faccio collezione.
Ne ho mangiate molte di merendine della macchinetta ma adesso, alla guida,
con le mani poco convinte e smaniose, non ne ricordo il sapore singolo e
anche gli incartamenti mi paiono tutti uguali. Non posso distinguere il
caramello dal fiordilatte e questi dal cioccolato: ho un solo amalgama
appiccicaticcio nella bocca.
Mi sembra strano sentirmi così sopra le righe.
Mi sembra strano, ancora, sentire quegli occhi addosso. I tuoi e i miei
insieme, che erano altro, lo sono stato lo so, lungo il fiume e poi sono
irrimediabilmente scomparsi dopo un battito di ciglia. Un movimento
fisiologico ne ha decretato la fine ed io lo vado cercando, adesso, mentre
mi dirigo verso casa, seguo la scia per provare a seguirti.
Che pena. Sperare, intendo. È la pena di chi non sa rinunciare.
Non so raccontare una volta in cui tu mi avevi detto di essere felice, in
effetti. E nemmeno una volta in cui te l’ho detto io, d’altronde. Non credo
minimamente di esserti venuto incontro per davvero, con foga ed eccitazione,
per abbracciarti di sorpresa.
Non mi viene in mente la prima volta che t’ho visto. So quand’è, con
precisione, perché io ero al bancone di un bar con una ragazza che mi
piaceva molto. E che ho abbracciato con slancio e voluto tante di quelle
volte da essermene invaghito e addirittura innamorato a un certo punto.
Ricordo d’averti preso in consegna nella mia mente, ma non d’averti visto.
Non so nemmeno com’eri vestita. So solo che ti sei passata una mano tra i
capelli, il gesto più comune che si possa recuperare nella memoria. Eppure
io l’ho registrato. In realtà potrebbe essere falso. Potrei aver traslato la
mano di un altro sulla tua e adesso cucirti addosso un movimento che non t’è
appartenuto.
Avevi un braccialetto che si compra al mare, di quelli di cotone colorato,
che dicono porti fortuna e poi, un giorno, si spezzi per far avverare un
desiderio. Di quelli che hanno tutti, eccetto me, poiché io non li sopporto:
rimangono bagnati per ore, dopo la doccia, ed umidi sulla pelle.
Mi sono chiesto quale potesse essere il tuo desiderio. È la prima cosa su
cui mi sono interrogato guardandoti quella volta e pensandoti i giorni
successivi. Se tu avessi un desiderio sopra tutti, se fosse legato a quel
braccialetto o a un sentimento. Ho sentito il bisogno di saperlo, come se
fosse il tuo nome.
Avevi anche un anello costoso. Sottile, ma prezioso. Un anello facile, che
non sorprende se lo regali. Non so perché l’avessi notato. Niente a che
vedere coi tuoi occhi, mi rendo conto.
A chiunque avessi chiesto di te nei giorni seguenti, continuavo a dire di
non avere in mente i tuoi occhi: eppure sono meravigliosi. Non mi viene
un’altra parola in mente. Dovrei inventarla ma non sono capace, tu lo sai.
Posso fartelo intuire ma non so spiegarlo.
Non capisco perché non me li sono incollati addosso. Avevo notato di te solo
i dettagli peggiori fra tutti gli altri; ciononostante ti cercavo già il
giorno dopo. Mentre passeggiavo sotto casa tua, nelle sere a seguire,
speravo di notare i tuoi movimenti alla finestra oppure con chi saresti
uscita. Desideravo vederti da sola, che, una volta sull’uscio, ti guardassi
intorno e vedendomi rimanessi piacevolmente compiaciuta.
Avrei voluto essere io nei tuoi sogni, a ispirare i tuoi sonni e farti
felice. Ma lo so di non potere. Eppure questa consapevolezza non m’ha fatto
smettere di volerti portare via con me.
Non capisco. Non capisco cosa vuoi dire. Mi
pare assurdo che tu pensi di poter amarmi. Quanto abbiamo passato insieme?
Non capisco perché tu voglia portarmi con te. Non sai nulla.
Ti ho rubato anche un sorriso triste quella sera. È andata così: io ti ho
guardata per un momento, mentre ti passavi le mani nei capelli, e stavi
sorridendo, ma non alla persona con cui parlavi. Sorridevi, rivolta verso il
basso come per un pensiero veloce da far svanire. E, rivolto di nuovo il tuo
volto verso l’alto, ti ho sorpresa triste, come se quel pensiero felice
andasse celato.
Sorridi solo quando qualcuno o qualcosa ti fa ridere, ma non dovresti. A me
piace, ma non dovresti. La felicità pare si auguri a tinte pastello e così
mi tocca fare, con te, adesso: cercare di farti togliere dal viso i tuoi
sorrisi tristi, come ho sempre fatto, d’altronde.
Potremmo essere in giro a passeggiare in una città qualunque, col caldo,
mano nella mano e io
dovrei
accorgermi del tuo sorriso triste e allora
darti un bacio o prenderti il viso e farti fare una smorfia che mimi la
gioia. Sorrideresti e il mio desiderio di felicità per te sarebbe compiuto. La verità è che i tuoi sorrisi tristi a me piacciono, perché a te stanno
bene, perché li sai trattare, li sai adoperare e mettere in fila senza che
rompano le righe. Se lo facessi io sarei penoso.
Questo è il punto: faccio pensieri e desidero cose nuove. Non importa cosa
so. Per la prima volta, non importa.
Non so da dove vengono o come si chiamino e non potrei spiegarle a nessuno
eccetto te, con un po’ di tempo, con un po’ di pause, con quei silenzi che
non saprei riempire, all’inizio. Ma potrei imparare.
Sono un pessimo romantico, lo ammetto. È per questo che non sono riuscito a
farti innamorare. Lo so che è così. Ho immaginato che potessi bastare io,
con i miei modi normali e l’aria spavalda.
Fintamente sicura. E del tempo, per spiegarti quello che manca, per farti
vedere che ne sarebbe valsa la pena, alla fine.
Ho provato, che dire, a farmi scegliere. Ho sperato. Dovevo. Era una
possibilità, capisci? Come fare a metterla via, a dimenticarla. Forse
aspettando, forse non era il momento. Forse io e te abbiamo un altro tempo.
Sono sicuro che con qualche giorno in più, ora in più, ti avrei portato via
con me. È l’idea che almeno una volta succeda, no? Hai presente? Quell’idea
invasiva e sotterranea che si inabissa o si palesa e lo fa una volta sola
per tutte e se l’avverti non puoi far finta di niente se hai un po’ di
senno.
Come un sibilo fluttuante e sinuoso.
A me è successo questo: non sono riuscito a fare finta di niente, non
volevo, in fondo. Non potevo far altro che cercare di portarti con me, dal
profondo, per egoismo quasi, per farmi stare bene. Anche se sapevo di non
potere. Anche se era rischioso. Anche se tu non vuoi, anche se, infine, la
tua felicità non dipende da me.
E non posso fare a meno di chiedertelo di nuovo. Solo per essere sicuro.
Verresti?
...
Vedi - dice Mariamirella - forse io ho paura di te. Ma non so dove
rifugiarmi. L’orizzonte è deserto, non ci sei che tu.
Tu sei l’orso e la grotta.
Perciò io ora sto
accucciata tra le tue braccia, perché tu mi protegga dalla mia paura di te.
...
Ora
la sua voce era
andata facendosi tenera, affettuosa : era quello il momento che
io - pur senza confessarmelo - aspettavo , perché
solo nell’abbandono amoroso tutto quel che ci rendeva diversi scompariva e
ci ritrovavamo a essere solamente noi due, che non importava chi si
fosse .
...
Al termine d’un viaggio per raggiungere l’amante, un uomo capisce che la
vera notte d’amore è quella che ha passato in uno scomodo scompartimento di
seconda classe correndo verso di lei .
...
Ed era con un moto
amoroso, di carezza, che il treno cominciava a scorrere tra i pilastri delle
pensiline, sbisciava
tra le radure ferrate degli scambi, si
buttava nel buio e diveniva la stessa cosa dell’impeto che Federico aveva
fino allora sentito dentro di sé
.
...
Capiva che quel che ora la vita dava a lui era qualcosa che non a tutti è
dato di fissare a occhi aperti, come il cuore più abbagliante del sole.
E nel cuore di questo sole era silenzio.
Tutto quello che era lì in quel momento non poteva essere tradotto in
nient'altro,
forse nemmeno in un ricordo.
.
L'AVVENTURA DI UNO SCIATORE
Lei tenne l’equilibrio anche per lui
finché non gli riuscì di mettersi su bene,
farfugliando recriminazioni, cui rispose una sommessa risata di lei come un
glu-glu di gallina faraona, soffocata dalla giacca a vento tirata su fin
sopra la bocca. Ora il cappuccio celeste-cielo, come un elmo d’armatura, le
lasciava scoperto solo il naso che aveva un po’ aquilino, gli occhi, qualche
ricciolo sulla fronte, i pomelli delle gote.
.
L'AVVENTURA DI DUE SPOSI
.
L'AVVENTURA DI UN AUTOMOBILISTA
.
L'AVVENTURA DI
UN FOTOGRAFO
Antonino sentì la vista di lei entrargli negli
occhi E occupare tutto il campo visivo,
sottrarlo al flusso delle immagini casuali e frammentarie, concentrare tempo
e spazio in una forma finita. E come se questa sorpresa della vista e
l'impressionarsi della lastra fossero due riflessi collegati tra loro,
subito premette lo scatto, ricaricò la macchina, scattò, mise un'altra
lastra, scattò, continuò a cambiare lastra e scattare, farfugliando,
soffocato dal drappo: - Ecco, ora sì, così va bene, ecco, ancora, così ti
prendo bene, ancora.
.
Certa Bice, ex
cognata di qualcuno, e certa Lydia, ex segretaria di qualche
altro, gli chiesero se per favore scattava loro un’istantanea mentre
giocavano al pallone tra le onde. Accondiscese, ma siccome intanto aveva
elaborato una teoria contro le istantanee, si premurò di comunicarla alle
due amiche:
- Cosa vi spinge, ragazze, a prelevare dalla mobile continuità della vostra
giornata queste fette temporali dello spessore d’un secondo? Lanciandovi il
pallone vivete nel presente, ma appena la scansione dei fotogrammi si
insinua tra i vostri gesti non è più il piacere del gioco a muovervi ma
quello di rivedervi nel futuro, di ritrovarvi tra vent’anni su di un
cartoncino ingiallito (sentimentalmente ingiallito, anche se i procedimenti
di fissaggio moderni lo preserveranno inalterato).
.
Fotografia & Letteratura
italo
calvino - celebre per la sua revisione radicale della fotografia nel tempo.
com’è cambiata la sua 'lettura' fotografica?
All’inizio della sua vicenda intellettuale Calvino era molto sospettoso nei
confronti della fotografia, ne leggeva soprattutto il carattere di impronta
fedele e in qualche modo meccanica della realtà, come accadeva ancora negli
anni Cinquanta a molti intellettuali italiani. In seguito, probabilmente
grazie a una serie di letture e forse anche alla frequentazione con artisti
come Giulio Paolini, la sua lettura si è profondamente modificata, e
'L’avventura di un fotografo' ne è bellissima testimonianza.
intervista a walter guadagnini - artslife.com - 2015
.
Fotograferemo tutto e saremo incapaci di ricordare
ciò che conta davvero . 1970 - l'avventura di un
fotografo
.
... le persone che
fotografano
un’esperienza dimostrano in seguito di averne un
ricordo meno intenso e dettagliato rispetto a chi la vive senza filtri .
Se infatti la foto ci illude di aver catturato l’esperienza nella sua
totalità, ciò che quella invece è riuscita a catturare non è che una parte
infinitesimale di ciò che compone l’intera esperienza .
L’immagine sullo schermo restituisce un solo lato di un poliedro le cui
facce tendono all’infinito . - Non è soltanto una scelta
fotografica, la vostra; è una scelta di vita, che vi porta a escludere i
contrasti drammatici, i nodi delle contraddizioni, le grandi tensioni della
volontà, della passione, dell’avversione ...
studio del 2018 - journal of experimental social psychology
https://thevision.com/cultura/italo-calvino-fotografare-ricordi
.
.
IL LAMPO
Mi capitò una
volta, a un crocevia, in mezzo alla folla, all’andirivieni.
Mi fermai, battei le palpebre: non capivo
niente.
Niente, niente del tutto: non capivo le
ragioni delle cose, degli uomini, era tutto senza senso, assurdo. E mi misi
a ridere.
Lo strano era per me allora che non me ne fossi mai accorto prima. E se
avessi fin’allora accettato tutto: semafori, veicoli, manifesti, divise,
monumenti, quelle cose così staccate dal senso del mondo, come se ci fosse
una necessità, una conseguenza che le legasse l’una all’altra.
Allora il riso mi morì in gola, arrossii di
vergogna. Gesticolai, per richiamare
l’attenzione dei passanti e – Fermatevi un momento ! – gridai – c’è qualcosa
che non va ! Tutto è sbagliato! Facciamo cose assurde! Questa non può essere
la strada giusta! Dove si va a finire?
La gente mi si fermò intorno, mi squadrava, curiosa. Io rimanevo lì in
mezzo, gesticolavo, smaniavo di spiegarmi, di farli partecipi del lampo che
m’aveva illuminato tutt’a un tratto: e restavo zitto. Zitto, perché nel
momento in cui avevo alzato le braccia e aperto la bocca, la grande
rivelazione m’era stata come ringhiottita e le parole che m’erano uscite
così, per via dello slancio.
– Ebbene? – chiese la gente – cosa vuol dire?
Tutto è al suo posto.
Tutto va come deve andare. Ogni cosa è conseguenza d’un’altra. Ogni cosa è
ordinata con le altre. Noi non vediamo niente d’assurdo o d’ingiustificato !
E io rimasi lì, smarrito, perché alla mia vista tutto era tornato al suo
posto e tutto mi sembrava naturale, semafori, monumenti, divise,
grattacieli, rotaie, mendicanti, cortei; e pure non me ne veniva
tranquillità, ma tormento.
-Scusate – risposi – Forse ho sbagliato io. M’era sembrato. Ma tutto è a
posto. Scusate – e mi feci largo tra i loro sguardi irti.
Pure, anche adesso, ogni volta - spesso - che mi accade di non capire
qualche cosa, allora, istintivamente, mi prende la speranza che sia di nuovo
la volta buona, e che io torni a non capire più niente, a impossessarmi di
quella saggezza diversa, trovata e perduta nel medesimo istante.
prima che tu
dica pronto 1993
.
Per me ciò che conta nel mondo non sono le
uniformità ma le differenze :
differenze che possono essere grandi o anche piccole, minuscole, magari
impercettibili, ma quel che conta è appunto il farle saltar fuori e metterle
a confronto . Lo so anch’io che a passare da canale a
canale l’impressione è d'un'unica minestra; e so anche che i casi della vita
sono stretti da una necessità che non li lascia variare più di tanto :
ma è in quel piccolo scarto che sta il segreto, la scintilla che mette in
moto la macchina delle conseguenze, per cui le differenze poi diventano
notevoli, grandi, grandissime e addirittura infinite . Guardo le
cose intorno a me, tutte storte, e penso che un niente sarebbe bastato, un
errore evitato a un determinato momento, un sì o un no che pur lasciando
intatto il quadro generale delle circostanze avrebbe portato a conseguenze
tutte diverse .
prima che tu dica pronto
- l'ultimo canale
.
Alle volte un treno
va via sulla
riva ferrata del mare e su quel treno ci sono io che parto. Perché io non
voglio restare al mio paese pieno di sonno e d’orti, decifrare le targhe
delle macchine forestiere come il ragazzo montanaro seduto sulla spalletta
del ponte. Io vado, ciao paese.
Nel mondo, oltre al mio paese, ci sono altre
città, alcune sul mare altre non si sa perché
smarrite in fondo alle pianure, in riva ai treni che giungono non si sa
come, dopo giri trafelati per campagne e campagne. Ogni tanto io scendo in
una di queste città e ho sempre un’aria da viaggiatore novellino, con le
tasche gonfie di giornali e gli occhi irritati da bruscoli.
La notte spengo la luce
dentro il letto nuovo e sto a sentire i tram, poi penso a camera mia del mio
paese, lontanissima nella notte, pare impossibile che nello stesso momento
esistano due luoghi così lontani. E, non so bene dove, m’addormento.
amore lontano
da casa - 1975 - inserito poi in 'prima che tu dica pronto'
.
E mi dico:
tra tutte, proprio lei è riuscita a sfuggirmi, come se non l’avessi mai
avuta. Ma l’ho davvero avuta?
E poi mi chiedo: e chi ho avuto davvero?
E poi, ancora: avere chi? che
cosa? che vuol dire?
memorie di casanova
.
Ora era nuda. La pelle più bianca
del seno e ai fianchi quasi non si distingueva, perchè tutta la sua persona
mandava quel chiarore azzurrino, di medusa.
Nuotava su un fianco,
con movimento pigro, la testa (un’espressione ferma e quasi ironica, da
statua) appena fuor dall’acqua e a volte la curva di una spalla e la linea
morbida del braccio disteso. L’altro braccio, a movimenti carezzevoli,
copriva e scopriva il seno alto, teso ai vertici. Le gambe battevano appena
l’acqua, sostenendo il ventre liscio, segnato dall’ombellico come da
un’impronta leggera sulla sabbia, e la stella come d’un frutto marino. I
raggi del sole riverberato sott’acqua la sfioravano, un pò facendole da
veste, un pò spogliandola da capo.
Dal nuoto passò a un movimento
come di danza; sospesa a mezz’acqua,
sorridendogli, protendeva le braccia in un molle roteamento delle spalle e
dei polsi; o con uno slancio del ginocchio faceva affiorare un piede arcuato
come un piccolo pesce.
amori difficili - l'avventura di un poeta
. La strada litoranea, sul capo, passava alta
il mare era laggiù a strapiombo e dappertutto intorno,
fino all'orizzonte alto e sfumato. Anche il sole era dappertutto, come se il
cielo e il mare fossero due lenti che lo ingrandivano. Là sotto, contro i
frastagli irregolari degli scogli del capo, l'acqua calma batteva senza
spuma. Amedeo Oliva scese una rampa di ripidi gradini con la bicicletta in
spalla, e la lasciò in un posto all'ombra, dopo aver fatto scattare la
serratura antifurto. Continuò a scendere la scaletta tra frane di terra
gialla e secca ed agavi sospese nel vuoto, e già cercava con lo sguardo la
più comoda piega dello scoglio dove si sarebbe sdraiato. Aveva sotto il
braccio un asciugamano arrotolato, e, in mezzo all'asciugamano, le mutandine
da bagno e un libro.
l'avventura di un lettore - 1958
.
FIUME ASCIUTTO
Allora io m’accorsi dell’aria, di come essa si faceva
concreta al mio sguardo, e mi riempiva le mani come io le protendevo in essa
. E vidi me impossibile a conciliare con il mondo intorno,
scosceso e calcinoso com’ero io dentro e con squarci di colore d’una vivezza
quasi cupa, come urli o risate . E per quanto m’ingegnassi a
mettere parole tra me e le cose, non mi riusciva di trovarne d’adatte a
rivestirle; perché tutte le mie parole erano dure e appena scheggiate: e
dirle era come posare tante pietre ... Ma a ritrovar
me stesso, bastò che m'incontrassi nel vecchio fiume asciutto.
.
.
.
... Cercavo una
nuova immagine del mondo che desse un senso a
questo nostro grigiore e valesse tutta la bellezza che si perdeva,
salvandola … – Una nuova faccia del mondo.
...
evitavo di discorrere con gli altri clienti, e anche di salutare
perchè le conoscenze, si sa, a cominciarle è
niente. Ma poi si resta legati : uno dice 'cosa si fa stasera ? ' e
così si finisce tutti insieme alla televisione, al cinema, e da quella sera
si è presi in una compagnia di gente che non te ne importa nulla, e devi far
sapere i fatti tuoi, ascoltare quelli degli altri . ... fuori dei
vetri guardavamo le rive e le piante che componevano col colore dell'aria un
quadro di vecchia eleganza . Non riuscivamo a intenderci .
Discutevamo sul tema : la bellezza . - Gli uomini
hanno perduto il senso della bellezza - diceva Claudia . - La
bellezza va inventata continuamente - dicevo io . - La
bellezza è sempre la bellezza, è eterna . - La bellezza nasce
sempre da un urto . - Sì, i greci ! - E
bè, i greci ? - È civiltà, la bellezza ! -
Quindi ... - E allora ... Potevamo continuare
così fino a domani.
la nuvola di smog 1958 - la formica argentina - 1952
.
CESARE PAVESE
Finivo un racconto e correvo da lui a farglielo
leggere. Quando morì mi pareva che non sarei più stato buono a scrivere,
senza il punto di riferimento di quel lettore ideale
.
la nuvola di smog - la formica argentina - XXIV -
raicultura.it/Pavese-il-rimorso-di-Calvino
- rimorso di non aver fermato pavese
.
E io restavo senza parola, perché capivo che la cucina era il solo luogo di
tutta la casa in cui quella donna veramente vivesse e il resto, le stanze
adorne e continuamente spazzolate e incerate erano una specie di opera
d'arte in cui lei riversava tutti i suoi sogni di bellezza e per coltivare
la perfezione di quelle stanze si condannava a non viverci, a non entrarci
mai come padrona ma solo come donna di fatica e il resto della giornata a
passarlo nell'unto e nella polvere.
la nuvola di smog
.
CESARE PAVESE LO DEFINIVA
'LO
SCOIATTOLO DELLA PENNA'
. -
https://issuu.com/lanuovafrontiera/docs/calvino_issuu_intro
.
|
IL
VISCONTE DIMEZZATO
QUANDO HO COMINCIATO A
SCRIVERE IL VISCONTE DIMEZZATO VOLEVO SOPRATTUTTO SCRIVERE UNA STORIA
DIVERTENTE PER DIVERTIRE ME STESSO, E POSSIBILMENTE PER DIVERTIRE GLI ALTRI
. AVEVO QUESTA IMMAGINE DI UN UOMO TAGLIATO IN DUE ED HO PENSATO CHE QUESTO
TEMA DELL'UOMO TAGLIATO IN DUE, DELL'UOMO DIMEZZATO, FOSSE UN TEMA
SIGNIFICATIVO, AVESSE UN SIGNIFICATO CONTEMPORANEO: TUTTI CI SENTIAMO IN
QUALCHE MODO INCOMPLETI, TUTTI REALIZZIAMO UNA PARTE DI NOI STESSI E NON
L'ALTRA. PER FAR QUESTO HO CERCATO DI METTERE SU UNA STORIA CHE STESSE IN
PIEDI, CHE AVESSE UNA SIMMETRIA , UN RITMO NELLO STESSO TEMPO DA RACCONTO DI
AVVENTURA MA ANCHE QUASI DA BALLETTO .
IC - introduzione
.
COSÌ SI
POTESSE DIMEZZARE OGNI COSA INTERA, COSÌ OGNUNO POTESSE USCIRE DALLA SUA
OTTUSA E IGNORANTE INTEREZZA. ERO INTERO E TUTTE LE COSE ERANO PER ME
NATURALI E CONFUSE, STUPIDE COME L’ARIA; CREDEVO DI VEDER TUTTO E NON ERA
CHE LA SCORZA . SE MAI TU DIVENTERAI METÀ DI TE STESSO E TE L’AUGURO RAGAZZO,
CAPIRAI COSE AL DI LÀ DELLA COMUNE INTELLIGENZA DEI CERVELLI INTERI . LA METÀ
RIMASTA SARÀ MILLE VOLTE PIÙ PROFONDA E PREZIOSA . E TU PURE VORRAI CHE
TUTTO SIA DIMEZZATO E STRAZIATO A TUA IMMAGINE, PERCHÉ BELLEZZA E SAPIENZA E
GIUSTIZIA CI SONO SOLO IN CIÒ CHE È FATTO A BRANI . ... NON C’È NOTTE
DI LUNA IN CUI NEGLI ANIMI MALVAGI LE IDEE PERVERSE NON S’AGGROVIGLINO COME
NIDIATE DI SERPENTI E IN CUI NEGLI ANIMI
CARITATEVOLI NON SBOCCINO GIGLI DI RINUNCIA E DEDIZIONE . ... IL PRIMO
VERO PIACERE DELLA LETTURA D’UN VERO LIBRO LO PROVAI ABBASTANZA TARDI: AVEVO
GIÀ DODICI O TREDICI ANNI, E FU CON KIPLING, IL PRIMO E (SOPRATTUTTO) IL
SECONDO LIBRO DELLA GIUNGLA - NON RICORDO SE CI ARRIVAI ATTRAVERSO UNA
BIBLIOTECA SCOLASTICA O PERCHÉ LO EBBI IN REGALO - . Da quel momento avevo
qualcosa da cercare nei libri: vedere se si ripeteva il piacere provato .
1935-1938
...
Ma già le navi stavano scomparendo
all'orizzonte e io rimasi qui, in questo nostro mondo pieno di
responsabilità e fuochi fatui.
...
Cosi mio zio Medardo ritorno uomo intero, né cattivo né buono, un miscuglio di
cattiveria e bonta' cioe apparentemente non dissimile da quello ch'era prima di
esser dimezzato. Ma aveva l'esperienza dell'una e dell'altra meta' rifuse
insieme, percio' doveva essere ben saggio. Ebbe vita felice, molti figli e un
giusto governo. Anche la nostra vita muto in meglio. Forse ci s'aspettava che,
tornato intero il visconte, s'aprisse un'epoca di felicita' meravigliosa; ma é
chiaro che non basta un visconte completo perche' diventi completo tutto il mondo
.
...
Mio zio era allora nella prima
giovinezza : l'età in cui sentimenti stanno tutti in uno
slancio confuso non distinti ancora in male e in bene;
l'età in cui ogni nuova esperienza anche macabra e inumana è tutta
trepida e calda d'amore per la vita .
...
ALLORA, IL BUON MEDARDO DISSE: O PAMELA, QUESTO È IL BENE DELL’ESSERE DIMEZZATO:
IL CAPIRE D’OGNI PERSONA E COSA AL MONDO LA PENA CHE OGNUNO E OGNUNA HA PER LA
PROPRIA INCOMPLETEZZA. IO ERO INTERO E NON CAPIVO, E MI MUOVEVO SORDO E
INCOMUNICABILE TRA I DOLORI E LE FERITE SEMINATI DOVUNQUE, LÀ DOVE MENO DA
INTERO UNO OSA CREDERE. NON IO SOLO, PAMELA, SONO UN ESSERE SPACCATO E DIVELTO,
MA TU PURE E TUTTI. ECCO ORA IO HO UNA FRATERNITÀ CHE
PRIMA, DA INTERO, NON CONOSCEVO: QUELLA CON TUTTE LE MUTILAZIONI E LE MANCANZE
DEL MONDO. SE VERRAI CON ME, PAMELA, IMPARERAI A
SOFFRIRE DEI MALI DI CIASCUNO E A CURARE I TUOI CURANDO I LORO
.
...
Pamela - sospirò il visconte - nessun altro linguaggio abbiamo per parlarci se
non questo.
OGNI INCONTRO DI DUE ESSERI AL MONDO È UNO SBRANARSI.
VIENI CON ME, IO HO LA CONOSCENZA DI QUESTO MALE E SARAI PIÙ SICURA CHE CON
CHIUNQUE ALTRO; PERCHÉ IO FACCIO DEL MALE COME TUTTI LO FANNO; MA, A DIFFERENZA
DEGLI ALTRI, IO HO LA MANO SICURA. - E STRAZIERETE ANCHE ME COME LE MARGHERITE O
LE MEDUSE? - IO NON LO SO QUEL CHE FARÒ CON TE. CERTO L AVERTI MI RENDERÀ’
POSSIBILI COSE CHE NEPPURE IMMAGINO. TI PORTERÒ NEL CASTELLO E TI TERRÒ LÌ E
NESSUN ALTRO TI VEDRÀ E AVREMO GIORNI E MESI PER CAPIRE QUEL CHE DOVREMO FARE E
INVENTAR SEMPRE NUOVI MODI PER STARE INSIEME.
1952
.
...
ALLA FINE UNO SI CREDE INCOMPLETO ED È SOLTANTO GIOVANE ...
IO PENSO CHE IL DIVERTIMENTO SIA UNA COSA SERIA
...
|
I FIGLI DI BABBO NATALE
NON C'È EPOCA DELL'ANNO PIÙ GENTILE E BUONA, PER IL
MONDO DELL'INDUSTRIA E DEL COMMERCIO, CHE IL NATALE E LE SETTIMANE
PRECEDENTI. SALE DALLE VIE IL TREMULO SUONO DELLE ZAMPOGNE; E LE SOCIETÀ
ANONIME, FINO A IERI FREDDAMENTE INTENTE A CALCOLARE FATTURATO E DIVIDENDI,
APRONO IL CUORE AGLI AFFETTI E AL SORRISO. L'UNICO PENSIERO DEI CONSIGLI
D'AMMINISTRAZIONE ADESSO È QUELLO DI DARE GIOIA AL PROSSIMO, MANDANDO DONI
ACCOMPAGNATI DA MESSAGGI D'AUGURIO SIA A DITTE CONSORELLE CHE A PRIVATI;
OGNI DITTA SI SENTE IN DOVERE DI COMPRARE UN GRANDE STOCK DI PRODOTTI DA UNA
SECONDA DITTA PER FARE I SUOI REGALI ALLE ALTRE DITTE; LE QUALI DITTE A LORO
VOLTA COMPRANO DA UNA DITTA ALTRI STOCK DI REGALI PER LE ALTRE; LE FINESTRE
AZIENDALI RESTANO ILLUMINATE FINO A TARDI, SPECIALMENTE QUELLE DEL
MAGAZZINO, DOVE IL PERSONALE CONTINUA LE ORE STRAORDINARIE A IMBALLARE
PACCHI E CASSE; AL DI LÀ DEI VETRI APPANNATI, SUI MARCIAPIEDI RICOPERTI DA
UNA CROSTA DI GELO S'INOLTRANO GLI ZAMPOGNARI, DISCESI DA BUIE MISTERIOSE
MONTAGNE, SOSTANO AI CROCICCHI DEL CENTRO, UN PO' ABBAGLIATI DALLE TROPPE
LUCI, DALLE VETRINE TROPPO ADORNE, E A CAPO CHINO DÀNNO FIATO AI LORO
STRUMENTI; A QUEL SUONO TRA GLI UOMINI D'AFFARI LE GREVI CONTESE D'INTERESSI
SI PLACANO E LASCIANO IL POSTO AD UNA NUOVA GARA: A CHI PRESENTA NEL MODO
PIÙ GRAZIOSO IL DONO PIÙ COSPICUO E ORIGINALE. ALLA SBAV QUELL'ANNO
L'UFFICIO RELAZIONI PUBBLICHE PROPOSE CHE ALLE PERSONE DI MAGGIOR RIGUARDO
LE STRENNE FOSSERO RECAPITATE A DOMICILIO DA UN UOMO VESTITO DA BABBO
NATALE. L'IDEA SUSCITÒ L'APPROVAZIONE UNANIME DEI DIRIGENTI. FU COMPRATA
UN'ACCONCIATURA DA BABBO NATALE COMPLETA: BARBA BIANCA, BERRETTO E PASTRANO
ROSSI BORDATI DI PELLICCIA, STIVALONI. SI COMINCIÒ A PROVARE A QUALE DEI
FATTORINI ANDAVA MEGLIO, MA UNO ERA TROPPO BASSO DI STATURA E LA BARBA GLI
TOCCAVA PER TERRA, UNO ERA TROPPO ROBUSTO E NON GLI ENTRAVA IL CAPPOTTO, UN
ALTRO TROPPO GIOVANE, UN ALTRO INVECE TROPPO VECCHIO E NON VALEVA LA PENA DI
TRUCCARLO. MENTRE IL CAPO DELL'UFFICIO PERSONALE FACEVA CHIAMARE ALTRI
POSSIBILI BABBI NATALI DAI VARI REPARTI, I DIRIGENTI RADUNATI CERCAVANO DI
SVILUPPARE L'IDEA: L'UFFICIO RELAZIONI UMANE VOLEVA CHE ANCHE IL
PACCO-STRENNA ALLE MAESTRANZE FOSSE CONSEGNATO DA BABBO NATALE IN UNA
CERIMONIA COLLETTIVA; L'UFFICIO COMMERCIALE VOLEVA FARGLI FARE ANCHE UN GIRO
DEI NEGOZI; L'UFFICIO PUBBLICITÀ SI PREOCCUPAVA CHE FACESSE RISALTARE IL
NOME DELLA DITTA, MAGARI REGGENDO APPESI A UN FILO QUATTRO PALLONCINI CON LE
LETTERE S, B, A, V. TUTTI ERANO PRESI DALL'ATMOSFERA ALACRE E CORDIALE
CHE SI ESPANDEVA PER LA CITTÀ FESTOSA E PRODUTTIVA; NULLA È PIÙ BELLO CHE
SENTIRE SCORRERE INTORNO IL FLUSSO DEI BENI MATERIALI E INSIEME DEL BENE CHE
OGNUNO VUOLE AGLI ALTRI; E QUESTO, QUESTO SOPRATTUTTO - COME CI RICORDA IL
SUONO, FIRULÍ FIRULÍ, DELLE ZAMPOGNE -, È CIÒ CHE CONTA. IN MAGAZZINO, IL
BENE - MATERIALE E SPIRITUALE - PASSAVA PER LE MANI DI MARCOVALDO IN QUANTO
MERCE DA CARICARE E SCARICARE. E NON SOLO CARICANDO E SCARICANDO EGLI
PRENDEVA PARTE ALLA FESTA GENERALE, MA ANCHE PENSANDO CHE IN FONDO A QUEL
LABIRINTO DI CENTINAIA DI MIGLIAIA DI PACCHI LO ATTENDEVA UN PACCO SOLO SUO,
PREPARATOGLI DALL'UFFICIO RELAZIONI UMANE; E ANCORA DI PIÙ FACENDO IL CONTO
DI QUANTO GLI SPETTAVA A FINE MESE TRA " TREDICESIMA MENSILITÀ " E " ORE
STRAORDINARIE ". CON QUI SOLDI, AVREBBE POTUTO CORRERE ANCHE LUI PER I
NEGOZI, A COMPRARE COMPRARE COMPRARE PER REGALARE REGALARE REGALARE, COME
IMPONEVANO I PIÙ SINCERI SENTIMENTI SUOI E GLI INTERESSI GENERALI
DELL'INDUSTRIA E DEL COMMERCIO. IL CAPO DELL’UFFICIO PERSONALE ENTRÒ IN
MAGAZZINO CON UNA BARBA FINTA IN MANO: - EHI, TU! - DISSE A MARCOVALDO. -
PROVA UN PO' COME STAI CON QUESTA BARBA. BENISSIMO! IL NATALE SEI TU. VIENI
DI SOPRA, SPICCIATI. AVRAI UN PREMIO SPECIALE SE FARAI CINQUANTA CONSEGNE A
DOMICILIO AL GIORNO. MARCOVALDO CAMUFFATO DA BABBO NATALE PERCORREVA LA
CITTÀ, SULLA SELLA DEL MOTOFURGONCINO CARICO DI PACCHI INVOLTI IN CARTA
VARIOPINTA, LEGATI CON BEI NASTRI E ADORNI DI RAMETTI DI VISCHIO E
D'AGRIFOGLIO. LA BARBA D'OVATTA BIANCA GLI FACEVA UN PO’ DI PIZZICORINO MA
SERVIVA A PROTEGGERGLI LA GOLA DALL'ARIA. LA PRIMA CORSA LA FECE A CASA
SUA, PERCHÉ NON RESISTEVA ALLA TENTAZIONE DI FARE UNA SORPRESA AI SUOI
BAMBINI. " DAPPRINCIPIO, - PENSAVA, NON MI RICONOSCERANNO. CHISSÀ COME
RIDERANNO, DOPO ! " I BAMBINI STAVANO GIOCANDO PER LA SCALA. SI VOLTARONO
APPENA. - CIAO PAPÀ. MARCOVALDO CI RIMASE MALE. -MAH... NON VEDETE COME
SONO VESTITO? - E COME VUOI ESSERE VESTITO? - DISSE PIETRUCCIO. - DA
BABBO NATALE, NO ? - E M'AVETE RICONOSCIUTO SUBITO ? - CI VUOL TANTO!
ABBIAMO RICONOSCIUTO ANCHE IL SIGNOR SIGISMONDO CHE ERA TRUCCATO MEGLIO DI
TE! - E IL COGNATO DELLA PORTINAIA ! - E IL PADRE DEI GEMELLI CHE
STANNO DI FRONTE ! - E LO ZIO DI ERNESTINA QUELLA CON LE TRECCE ! -
TUTTI VESTITI DA BABBO NATALE? - CHIESE MARCOVALDO, E LA DELUSIONE NELLA SUA
VOCE NON ERA SOLTANTO PER LA MANCATA SORPRESA FAMILIARE, MA PERCHÉ SENTIVA
IN QUALCHE MODO COLPITO IL PRESTIGIO AZIENDALE. - CERTO, TAL QUALE COME
TE, UFFA, - RISPOSERO I BAMBINI, - DA BABBO NATALE, AL SOLITO, CON LA BARBA
FINTA, - E VOLTANDOGLI LE SPALLE, SI RIMISERO A BADARE AI LORO GIOCHI.
ERA CAPITATO CHE AGLI UFFICI RELAZIONI PUBBLICHE DI MOLTE DITTE ERA VENUTA
CONTEMPORANEAMENTE LA STESSA IDEA; E AVEVANO RECLUTATO UNA GRAN QUANTITÀ DI
PERSONE, PER LO PIÙ DISOCCUPATI, PENSIONATI, AMBULANTI, PER VESTIRLI COL
PASTRANO ROSSO E LA BARBA DI BAMBAGIA. I BAMBINI DOPO ESSERSI DIVERTITI LE
PRIME VOLTE A RICONOSCERE SOTTO QUELLA MASCHERATURA CONOSCENTI E PERSONE DEL
QUARTIERE, DOPO UN PO' CI AVEVANO FATTO L'ABITUDINE E NON CI BADAVANO PIÙ.
SI SAREBBE DETTO CHE IL GIOCO CUI ERANO INTENTI LI APPASSIONASSE MOLTO.
S'ERANO RADUNATI SU UN PIANEROTTOLO, SEDUTI IN CERCHIO. - SI PUÒ SAPERE COSA
STATE COMPLOTTANDO ? - CHIESE MARCOVALDO. - LASCIACI IN PACE, PAPÀ,
DOBBIAMO PREPARARE I REGALI. - REGALI PER CHI ? - PER UN BAMBINO
POVERO. DOBBIAMO CERCARE UN BAMBINO POVERO E FARGLI DEI REGALI. - MA CHI
VE L'HA DETTO? - C'È NEL LIBRO DI LETTURA. MARCOVALDO STAVA PER DIRE:
" SIETE VOI I BAMBINI POVERI! ", MA DURANTE QUELLA SETTIMANA S'ERA TALMENTE
PERSUASO A CONSIDERARSI UN ABITANTE DEL PAESE DELLA CUCCAGNA, DOVE TUTTI
COMPRAVANO E SE LA GODEVANO E SI FACEVANO REGALI, CHE NON GLI PAREVA BUONA
EDUCAZIONE PARLARE DI POVERTÀ, E PREFERÌ DICHIARARE: - BAMBINI POVERI NON NE
ESISTONO PIÙ ! S'ALZÒ MICHELINO E CHIESE: - È PER QUESTO, PAPÀ, CHE NON
CI PORTI REGALI ? MARCOVALDO SI SENTÍ STRINGERE IL CUORE. - ORA DEVO
GUADAGNARE DEGLI STRAORDINARI, - DISSE IN FRETTA, - E POI VE LI PORTO. -
LI GUADAGNI COME? - CHIESE FILIPPETTO. - PORTANDO DEI REGALI, - FECE
MARCOVALDO. - A NOI ? - NO, AD ALTRI. - PERCHÉ NON A NOI ? FARESTI
PRIMA ... MARCOVALDO CERCÒ DI SPIEGARE: - PERCHÉ IO NON SONO MICA IL
BABBO NATALE DELLE RELAZIONI UMANE: IO SONO IL BABBO NATALE DELLE RELAZIONI
PUBBLICHE. AVETE CAPITO? - NO. - PAZIENZA -. MA SICCOME VOLEVA IN
QUALCHE MODO FARSI PERDONARE D'ESSER VENUTO A MANI VUOTE, PENSÒ DI PRENDERSI
MICHELINO E PORTARSELO DIETRO NEL SUO GIRO DI CONSEGNE. - SE STAI BUONO PUOI
VENIRE A VEDERE TUO PADRE CHE PORTA I REGALI ALLA GENTE, - DISSE, INFORCANDO
LA SELLA DEL MOTOFURGONCINO. - ANDIAMO, FORSE TROVERÒ UN BAMBINO POVERO,
- DISSE MICHELINO E SALTÒ SU, AGGRAPPANDOSI ALLE SPALLE DEL PADRE. PER LE
VIE DELLA CITTÀ MARCOVALDO NON FACEVA CHE INCONTRARE ALTRI BABBI NATALE
ROSSI E BIANCHI, UGUALI IDENTICI A LUI, CHE PILOTAVANO CAMIONCINI O
MOTOFURGONCINI O CHE APRIVANO LE PORTIERE DEI NEGOZI AI CLIENTI CARICHI DI
PACCHI O LI AIUTAVANO A PORTARE LE COMPERE FINO ALL'AUTOMOBILE. E TUTTI
QUESTI BABBI NATALE AVEVANO UN'ARIA CONCENTRATA E INDAFFARATA, COME FOSSERO
ADDETTI AL SERVIZIO DI MANUTENZIONE DELL'ENORME MACCHINARIO DELLE FESTE.
E MARCOVALDO, TAL QUALE COME LORO, CORREVA DA UN INDIRIZZO ALL'ALTRO SEGNATO
SULL'ELENCO, SCENDEVA DI SELLA, SMISTAVA I PACCHI DEL FURGONCINO, NE
PRENDEVA UNO, LO PRESENTAVA A CHI APRIVA LA PORTA SCANDENDO LA FRASE: -
LA SBAV AUGURA BUON NATALE E FELICE ANNO NUOVO,- E PRENDEVA LA MANCIA.
QUESTA MANCIA POTEVA ESSERE ANCHE RAGGUARDEVOLE E MARCOVALDO AVREBBE POTUTO
DIRSI SODDISFATTO, MA QUALCOSA GLI MANCAVA. OGNI VOLTA, PRIMA DI SUONARE A
UNA PORTA, SEGUITO DA MICHELINO, PREGUSTAVA LA MERAVIGLIA DI CHI APRENDO SI
SAREBBE VISTO DAVANTI BABBO NATALE IN PERSONA; SI ASPETTAVA FESTE,
CURIOSITÀ, GRATITUDINE. E OGNI VOLTA ERA ACCOLTO COME IL POSTINO CHE PORTA
IL GIORNALE TUTTI I GIORNI. SUONÒ ALLA PORTA DI UNA CASA LUSSUOSA. APERSE
UNA GOVERNANTE. - UH, ANCORA UN ALTRO PACCO, DA CHI VIENE? - LA SBAV
AUGURA ... - BE', PORTATE QUA, - E PRECEDETTE IL BABBO NATALE PER UN
CORRIDOIO TUTTO ARAZZI, TAPPETI E VASI DI MAIOLICA. MICHELINO, CON TANTO
D'OCCHI, ANDAVA DIETRO AL PADRE. LA GOVERNANTE APERSE UNA PORTA A VETRI.
ENTRARONO IN UNA SALA DAL SOFFITTO ALTO ALTO, TANTO CHE CI STAVA DENTRO UN
GRANDE ABETE. ERA UN ALBERO DI NATALE ILLUMINATO DA BOLLE DI VETRO DI TUTTI
I COLORI, E AI SUOI RAMI ERANO APPESI REGALI E DOLCI DI TUTTE LE FOGGE. AL
SOFFITTO ERANO PESANTI LAMPADARI DI CRISTALLO, E I RAMI PIÙ ALTI DELL'ABETE
S'IMPIGLIAVANO NEI PENDAGLI SCINTILLANTI. SOPRA UN GRAN TAVOLO ERANO
DISPOSTE CRISTALLERIE, ARGENTERIE, SCATOLE DI CANDITI E CASSETTE DI
BOTTIGLIE. I GIOCATTOLI, SPARSI SU DI UN GRANDE TAPPETO, ERANO TANTI COME IN
UN NEGOZIO DI GIOCATTOLI, SOPRATTUTTO COMPLICATI CONGEGNI ELETTRONICI E
MODELLI DI ASTRONAVI. SU QUEL TAPPETO, IN UN ANGOLO SGOMBRO, C'ERA UN
BAMBINO, SDRAIATO BOCCONI, DI CIRCA NOVE ANNI, CON UN'ARIA IMBRONCIATA E
ANNOIATA. SFOGLIAVA UN LIBRO ILLUSTRATO, COME SE TUTTO QUEL CHE ERA LI
INTORNO NON LO RIGUARDASSE. - GIANFRANCO, SU, GIANFRANCO, - DISSE LA
GOVERNANTE, - HAI VISTO CHE È TORNATO BABBO NATALE CON UN ALTRO REGALO ?
- TRECENTODODICI, - SOSPIRÒ IL BAMBINO - SENZ'ALZARE GLI OCCHI DAL LIBRO. -
METTA LÍ. - È IL TRECENTODODICESIMO REGALO CHE ARRIVA, - DISSE LA
GOVERNANTE. - GIANFRANCO È COSÍ BRAVO, TIENE IL CONTO, NON NE PERDE UNO, LA
SUA GRAN PASSIONE È CONTARE. IN PUNTA DI PIEDI MARCOVALDO E MICHELINO
LASCIARONO LA CASA. - PAPÀ, QUEL BAMBINO È UN BAMBINO POVERO? - CHIESE
MICHELINO. MARCOVALDO ERA INTENTO A RIORDINARE IL CARICO DEL FURGONCINO E
NON RISPOSE SUBITO. MA DOPO UN MOMENTO, S'AFFRETTÒ A PROTESTARE: - POVERO?
CHE DICI ? SAI CHI È SUO PADRE? È IL PRESIDENTE DELL'UNIONE INCREMENTO
VENDITE NATALIZIE! IL COMMENDATOR... S'INTERRUPPE, PERCHÉ NON VEDEVA
MICHELINO. MICHELINO, MICHELINO! DOVE SEI? ERA SPARITO. " STA’ A VEDERE
CHE HA VISTO PASSARE UN ALTRO BABBO NATALE, L'HA SCAMBIATO PER ME E GLI È
ANDATO DIETRO ... " MARCOVALDO CONTINUÒ IL SUO GIRO, MA ERA UN PO' IN
PENSIERO E NON VEDEVA L'ORA DI TORNARE A CASA. A CASA, RITROVÒ MICHELINO
INSIEME AI SUOI FRATELLI, BUONO BUONO. - DI' UN PO', TU: DOVE T'ERI
CACCIATO? - A CASA, A PRENDERE I REGALI... SI, I REGALI PER QUEL BAMBINO
POVERO... - EH! CHI? - QUELLO CHE SE NE STAVA COSI TRISTE.. - QUELLO
DELLA VILLA CON L'ALBERO DI NATALE ... - A LUI? MA CHE REGALI POTEVI
FARGLI, TU A LUI ? - OH, LI AVEVAMO PREPARATI BENE ... TRE REGALI,
INVOLTI IN CARTA ARGENTATA. INTERVENNERO I FRATELLINI. SIAMO ANDATI TUTTI
INSIEME A PORTARGLIELI! AVESSI VISTO COME ERA CONTENTO ! - FIGURIAMOCI! -
DISSE MARCOVALDO. - AVEVA PROPRIO BISOGNO DEI VOSTRI REGALI, PER ESSERE
CONTENTO ! - SÍ, SÍ DEI NOSTRI... È CORSO SUBITO A STRAPPARE LA CARTA PER
VEDERE COS'ERANO ... - E COS'ERANO ? - IL PRIMO ERA UN MARTELLO: QUEL
MARTELLO GROSSO, TONDO, DI LEGNO ... - E LUI ? - SALTAVA DALLA GIOIA !
L'HA AFFERRATO E HA COMINCIATO A USARLO ! - COME ? - HA SPACCATO TUTTI
I GIOCATTOLI! E TUTTA LA CRISTALLERIA! POI HA PRESO IL SECONDO REGALO ...
- COS'ERA ? - UN TIRASASSI. DOVEVI VEDERLO, CHE CONTENTEZZA... HA
FRACASSATO TUTTE LE BOLLE DI VETRO DELL'ALBERO DI NATALE. POI È PASSATO AI
LAMPADARI ... - BASTA, BASTA, NON VOGLIO PIÙ SENTIRE! E ... IL TERZO
REGALO ? - NON AVEVAMO PIÙ NIENTE DA REGALARE, COSI ABBIAMO INVOLTO NELLA
CARTA ARGENTATA UN PACCHETTO DI FIAMMIFERI DA CUCINA. È STATO IL REGALO CHE
L'HA FATTO PIÙ FELICE. DICEVA: " I FIAMMIFERI NON ME LI LASCIANO MAI TOCCARE
! " HA COMINCIATO AD ACCENDERLI, E ... - E ... ? - …HA DATO FUOCO A
TUTTO ! MARCOVALDO AVEVA LE MANI NEI CAPELLI. - SONO ROVINATO !
L'INDOMANI, PRESENTANDOSI IN DITTA, SENTIVA ADDENSARSI LA TEMPESTA. SI
RIVESTI DA BABBO NATALE, IN FRETTA IN FRETTA, CARICÒ SUL FURGONCINO I PACCHI
DA CONSEGNARE, GIÀ MERAVIGLIATO CHE NESSUNO GLI AVESSE ANCORA DETTO NIENTE,
QUANDO VIDE VENIRE VERSO DI LUI TRE CAPIUFFICIO, QUELLO DELLE RELAZIONI
PUBBLICHE, QUELLO DELLA PUBBLICITÀ E QUELLO DELL'UFFICIO COMMERCIALE. -
ALT ! - GLI DISSERO, - SCARICARE TUTTO; SUBITO ! " CI SIAMO ! " SI DISSE
MARCOVALDO E GIÀ SI VEDEVA LICENZIATO. - PRESTO ! BISOGNA SOSTITUIRE I
PACCHI! - DISSERO I CAPIUFFICIO. - L'UNIONE INCREMENTO VENDITE NATALIZIE HA
APERTO UNA CAMPAGNA PER IL LANCIO DEL REGALO DISTRUTTIVO ! - COSI TUTT'A
UN TRATTO ... - COMMENTÒ UNO DI LORO. AVREBBERO POTUTO PENSARCI PRIMA ...
- È STATA UNA SCOPERTA IMPROVVISA DEL PRESIDENTE, - SPIEGÒ UN ALTRO. - PARE
CHE IL SUO BAMBINO ABBIA RICEVUTO DEGLI ARTICOLI-REGALO MODERNISSIMI, CREDO
GIAPPONESI, E PER LA PRIMA VOLTA LO SI È VISTO DIVERTIRSI ... - QUEL CHE
PIÙ CONTA, - AGGIUNSE IL TERZO, - È CHE IL REGALO DISTRUTTIVO SERVE A
DISTRUGGERE ARTICOLI D'OGNI GENERE: QUEL CHE CI VUOLE PER ACCELERARE IL
RITMO DEI CONSUMI E RIDARE VIVACITÀ AL MERCATO ... TUTTO IN UN TEMPO
BREVISSIMO E ALLA PORTATA D'UN BAMBINO ... IL PRESIDENTE DELL'UNIONE HA
VISTO APRIRSI UN NUOVO ORIZZONTE, È AI SETTE CIELI DELL'ENTUSIASMO ... -
MA QUESTO BAMBINO, - CHIESE MARCOVALDO CON UN FILO DI VOCE, - HA DISTRUTTO
VERAMENTE MOLTA ROBA ? - FARE UN CALCOLO, SIA PUR APPROSSIMATIVO, È
DIFFICILE, DATO CHE LA CASA È INCENDIATA ... MARCOVALDO TORNÒ NELLA VIA
ILLUMINATA COME FOSSE NOTTE, AFFOLLATA DI MAMME E BAMBINI E ZII E NONNI E
PACCHI E PALLONI E CAVALLI A DONDOLO E ALBERI DI NATALE E BABBI NATALE E
POLLI E TACCHINI E PANETTONI E BOTTIGLIE E ZAMPOGNARI E SPAZZACAMINI E
VENDITRICI DI CALDARROSTE CHE FACEVANO SALTARE PADELLATE DI CASTAGNE SUL
TONDO FORNELLO NERO ARDENTE. E LA CITTÀ SEMBRAVA PIÙ PICCOLA, RACCOLTA IN
UN'AMPOLLA LUMINOSA, SEPOLTA NEL CUORE BUIO D'UN BOSCO, TRA I TRONCHI
CENTENARI DEI CASTAGNI E UN INFINITO MANTO DI NEVE. DA QUALCHE PARTE DEL
BUIO S'UDIVA L'ULULO DEL LUPO; I LEPROTTI AVEVANO UNA TANA SEPOLTA NELLA
NEVE, NELLA CALDA TERRA ROSSA SOTTO UNO STRATO DI RICCI DI CASTAGNA. USCI
UN LEPROTTO, BIANCO, SULLA NEVE, MOSSE LE ORECCHIE, CORSE SOTTO LA LUNA, MA
ERA BIANCO E NON LO SI VEDEVA, COME SE NON CI FOSSE. SOLO LE ZAMPETTE
LASCIAVANO UN'IMPRONTA LEGGERA SULLA NEVE, COME FOGLIOLINE DI TRIFOGLIO.
NEANCHE IL LUPO SI VEDEVA, PERCHÉ ERA NERO E STAVA NEL BUIO NERO DEL BOSCO.
SOLO SE APRIVA LA BOCCA, SI VEDEVANO I DENTI BIANCHI E AGUZZI. C'ERA UNA
LINEA IN CUI FINIVA IL BOSCO TUTTO NERO E COMINCIAVA LA NEVE TUTTA BIANCA.
IL LEPROTTO CORREVA DI QUA ED IL LUPO DI LÀ. IL LUPO VEDEVA SULLA NEVE LE
IMPRONTE DEL LEPROTTO E LE INSEGUIVA, MA TENENDOSI SEMPRE SUL NERO, PER NON
ESSERE VISTO. NEL PUNTO IN CUI LE IMPRONTE SI FERMAVANO DOVEVA ESSERCI IL
LEPROTTO, E IL LUPO USCI DAL NERO, SPALANCÒ LA GOLA ROSSA E I DENTI AGUZZI,
E MORSE IL VENTO. IL LEPROTTO ERA POCO PIÙ IN LÀ, INVISIBILE; SI STROFINÒ
UN ORECCHIO CON UNA ZAMPA, E SCAPPÒ SALTANDO. È QUA? È LÀ? NO, È UN PO'
PIÙ IN LÀ ? SI VEDEVA SOLO LA DISTESA DI NEVE BIANCA COME QUESTA PAGINA.
- ultimo
racconto in marcovaldo ovvero le
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IL SENTIERO DEI NIDI DI RAGNO
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