dino buzzati
traverso
LE ULTIME PAROLE :
Bene, passin passetto mi avvio . . .
raicultura.it
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una
goccia
una goccia d'acqua sale i gradini della scala. la senti? disteso nel buio,
ascolto il suo arcano cammino.
come fa? saltella? tic, tic si ode a
intermittenza. poi la goccia si ferma e magari per tutta la rimanente notte non si fa più viva. tuttavia sale. di gradino in gradino viene su, a differenza
delle altre gocce che cascano perpendicolarmente in ottemperanza alla legge di
gravità, e alla fine fanno un piccolo schiocco, ben noto in tutto il mondo.
questa no: piano piano si innalza lungo la tromba delle scale lettera e dello
sterminato casamento. non siamo stati noi, adulti, raffinati, sensibilissimi, a
segnalarla. bensì una servetta del primo piano, squallida piccola ignorante
creatura. se ne accorse una sera, a ora tarda, quando tutti eran già andati a
dormire. dopo un po' non seppe frenarsi, scese dal letto e corse a svegliare la
padrona. "signora" sussurrò "signora!" "cosa c'è?" fece la padrona
riscuotendosi. "cosa succede?" "c'è una goccia, signora, una goccia che vien su
per le scale!" "che cosa?" chiede l'altra sbalordita. "una goccia che sale i
gradini!" ripeté la servetta, e quasi si metteva a piangere. "va, va" imprecò la
padrona "sei matta? torna in letto marsch! hai bevuto, ecco il fatto vergognosa.
e' un PEZZo che al mattino manca il vino nella bottiglia! brutta sporca, se
credi..." ma la ragazza era fuggita già rincattucciata sotto le coperte. "chissà
cosa le sarà mai saltato in mente, a quella stupida" pensava poi la padrona, in
silenzio, avendo ormai perso il sonno. ed ascoltando involontariamente la notte
che dominava sul mondo, anche lei udì il curioso rumore. una goccia salire le
scale, positivamente. gelosa dell'ordine, per un istante la signora pensò di
uscire a vedere. ma che cosa mai avrebbe potuto trovare alla miserabile luce
delle lampadine oscurate, pendule dalla ringhiera? come rintracciare una goccia
in piena notte, con quel freddo, lungo le rampe tenebrose? nei giorni
successivi, di famiglia in famiglia la voce si sparse lentamente e adesso tutti
lo sanno nella casa, anche se preferiscono non parlarne; come di cosa sciocca di
cui forse vergognarsi. ora molte orecchie restano tese, nel buio, quando la
notte è scesa a opprimere il genere umano. e chi pensa a una cosa, chi a
un'altra. certe notti la goccia tace. altre volte invece, per lunghe ore non fa
che spostarsi, su, su, si direbbe che non si debba più fermare. battono i cuori
allorché il tenero passo sembra toccare la soglia. meno male, non si e' fermata.
ecco che si allontana, tic, tic, avviandosi al piano di sopra. so di positivo
che inquilini dell' ammezzato pensano di essere ormai al sicuro. la goccia -
essi credono - è già passata davanti alla loro porta, né avrà più occasione di
disturbarli; altri, ad esempio io che sto al sesto piano, hanno adesso motivi di inquietudine, non più di loro. ma chi gli dice che nelle prossime notti la
goccia riprenderà il cammino dal punto dov'era giunta l'ultima volta, o
piuttosto non ricomincerà da capo, iniziando il viaggio dai primi scalini, umidi
sempre ed oscuri di abbandonate immondizie? no, neppure loro possono ritenersi
sicuri. al mattino, uscendo di casa, si guarda attentamente la scala se mai sia
rimasta qualche traccia. niente, come era prevedibile, non la più piccola impronta. al mattino del resto chi prende più questa cosa sul serio? al sole del
mattino l'uomo e' forte, e' un leone, anche se poche ore prima sbigottiva. o che
quelli dell'ammezzato abbiano ragione? noi del resto che prima non sentivamo
niente e ci si teneva esenti, da alcune notti pure noi udiamo qualcosa. la
goccia è ancora lontana, è vero. a noi arriva soltanto un ticchettio
leggerissimo, flebile eco attraverso i muri. tuttavia è segno che sta salendo e
si fa sempre più vicina. anche il dormire in una camera interna, lontana dalla
tromba delle scale, non serve. meglio sentirlo, il rumore, piuttosto che passare
le notti nel dubbio se ci sia o meno. chi abita in quelle camere riposte talora
non riesce a resistere, sguscia in silenzio nei corridoi e se ne sta in
anticamera al gelo, dietro la porta, col respiro sospeso, ascoltando. se sente,
non osa più allontanarsi, schiavo di indecifrabili paure. peggio ancora però se
tutto è tranquillo: in questo caso come escludere, che appena tornati a
coricarsi, proprio allora non ricominci il rumore? che strana vita, dunque. e
non poter fare reclami, né tentare rimedi, né trovare una spiegazione che
sciolga gli animi. e non poter neppure persuadere gli altri, delle altre case, i
quali non sanno. ma che cosa sarebbe poi questa goccia: - domandano con
esasperante buona fede - un topo forse? un rospetto uscito dalle cantine? no
davvero. e allora - insistono - sarebbe per caso una allegoria? si vorrebbe, per
così dire, simboleggiare la morte? o qualche pericolo? o gli anni che passano? niente affatto, signori: è semplicemente una goccia, solo che viene su per le
scale. o più sottilmente si intende raffigurare i sogni e le chimere? le terre
vagheggiate e lontane dove si presume la felicità? qualcosa di poetico insomma?
no, assolutamente. oppure i posti più lontani ancora, al confine del mondo, ai
quali mai giungeremo? ma no, vi dico, non è uno scherzo, non ci sono doppi
sensi, trattasi ahimè proprio di una goccia d'acqua, a quanto è dato presumere,
che di notte vien su per le scale. tic,tic misteriosamente, di gradino in
gradino...
e perciò si ha paura
racconto di natale
Tetro e ogivale è l'antico palazzo dei vescovi,
stillante salnitro dai muri, rimanerci è un supplizio nelle notti d'inverno. E
l'adiacente cattedrale è immensa, a girarla tutta non basta una vita, e c'è un
tale intrico di cappelle e sacrestie che, dopo secoli di abbandono, ne sono
rimaste alcune pressoché inesplorate. Che farà la sera di Natale - ci si domanda
– lo scarno arcivescovo tutto solo, mentre la città è in festa? Come potrà
vincere la malinconia? Tutti hanno una consolazione: il bimbo ha il treno e
pinocchio, la sorellina ha la bambola, la mamma ha i figli intorno a sé, il
malato una nuova speranza, il vecchio scapolo il compagno di dissipazioni, i1
carcerato la voce di un altro dalla cella vicina. Come farà l'arcivescovo?
Sorrideva lo zelante don Valentino, segretario di sua eccellenza, udendo la
gente parlare così. L'arcivescovo ha Dio, la sera di Natale. Inginocchiato solo
soletto nel mezzo della cattedrale gelida e deserta a prima vista potrebbe quasi
far pena, e invece se si sapesse! Solo soletto non è, non ha neanche freddo, né
si sente abbandonato. Nella sera di Natale Dio dilaga nel tempio, per
l'arcivescovo, le navate ne rigurgitano letteralmente, al punto che le porte
stentano a chiudersi; e, pur mancando le stufe, fa così caldo che le vecchie
bisce bianche si risvegliano nei sepolcri degli storici abati e salgono dagli
sfiatatoi dei sotterranei sporgendo gentilmente la testa dalle balaustre dei
confessionali.
Così, quella sera il Duomo; traboccante di Dio. E benché sapesse che non gli
competeva, don Valentino si tratteneva perfino troppo volentieri a disporre
l'inginocchiatoio del presule. Altro che alberi, tacchini e vino spumante.
Questa, una serata di Natale. Senonche in mezzo a questi pensieri, udì battere a
una porta. "Chi bussa alle porte del Duomo" si chiese don Valentino "la sera di
Natale? Non hanno ancora pregato abbastanza? Che smania li ha presi?" Pur
dicendosi così andò ad aprire e con una folata divento entrò un poverello in
cenci.
"Che quantità di Dio! " esclamò sorridendo costui guardandosi intorno- "Che
bellezza! Lo si sente perfino di fuori.
Monsignore, non me ne potrebbe lasciare un pochino? Pensi, è la sera di Natale.
"
"E di sua eccellenza l'arcivescovo" rispose il prete. "Serve a lui, fra un paio
d'ore. Sua eccellenza fa già la vita di un santo, non pretenderai mica che
adesso rinunci anche a Dio! E poi io non sono mai stato monsignore."
"Neanche un pochino, reverendo? Ce n'è tanto! Sua eccellenza non se ne
accorgerebbe nemmeno!"
"Ti ho detto di no... Puoi andare... Il Duomo è chiuso al pubblico" e congedò il
poverello con un biglietto da cinque lire.
Ma come il disgraziato uscì dalla chiesa, nello stesso istante Dio disparve.
Sgomento, don Valentino si guardava intorno, scrutando le volte tenebrose: Dio
non c'era neppure lassù. Lo spettacoloso apparato di colonne, statue,
baldacchini, altari, catafalchi, candelabri, panneggi, di solito così misterioso
e potente, era diventato all'improvviso inospitale e sinistro. E tra un paio
d'ore l'arcivescovo sarebbe disceso.
Con orgasmo don Valentino socchiuse una delle porte esterne, guardò nella
piazza. Niente. Anche fuori, benché fosse Natale, non c'era traccia di Dio.
Dalle mille finestre accese giungevano echi di risate, bicchieri infranti,
musiche e perfino bestemmie. Non campane, non canti.
Don Valentino uscì nella notte, se n'andò per le strade profane, tra fragore di
scatenati banchetti. Lui però sapeva l'indirizzo giusto. Quando entrò nella
casa, la famiglia amica stava sedendosi a tavola. Tutti si guardavano
benevolmente l'un l'altro e intorno ad essi c era un poco di Dio.
"Buon Natale, reverendo" disse il capofamiglia. "Vuol favorire?"
"Ho fretta, amici" rispose lui. "Per una mia sbadataggine Iddio ha abbandonato
il Duomo e sua eccellenza tra poco va a pregare. Non mi potete dare il vostro?
Tanto, voi siete in compagnia, non ne avete un assoluto bisogno."
" Caro_ il mio don Valentino" fece il capofamiglia. "Lei dimentica, direi, che
oggi è Natale. Proprio oggi i miei figli dovrebbero far a meno di Dio? Mi
meraviglio, don Valentino."
E nell'attimo stesso che l'uomo diceva così Iddio sgusciò fuori dalla stanza, i
sorrisi giocondi si spensero e il cappone arrosto sembrò sabbia tra i denti.
Via di nuovo allora, nella notte, lungo le strade deserte. Cammina cammina, don
Valentino infine lo rivide. Era giunto alle porte della città e dinanzi a lui si
stendeva nel buio, biancheggiando un poco per la neve, la grande campagna. Sopra
i prati e i filari di gelsi, ondeggiava Dio, come aspettando. Don Valentino
cadde in ginocchio.
"Ma che cosa fa, reverendo?" gli domandò un contadino. "Vuoi prendersi un
malanno con questo freddo?"
"Guarda laggiù figliolo. Non vedi?"
Il contadino guardò senza stupore. "È nostro" disse. "Ogni Natale viene a
benedire i nostri campi."
" Senti " disse il prete. "Non me ne potresti dare un poco? In città siamo
rimasti senza, perfino le chiese sono vuote. Lasciamene un pochino che
l'arcivescovo possa almeno fare un Natale decente."
"Ma neanche per idea, caro il mio reverendo! Chi sa che schifosi peccati avete
fatto nella vostra città. Colpa vostra. Arrangiatevi."
"Si è peccato, sicuro. E chi non pecca? Ma puoi salvare molte anime figliolo,
solo che tu mi dica di sì."
"Ne ho abbastanza di salvare la mia!" ridacchiò il contadino, e nell'attimo
stesso che lo diceva, Iddio si sollevò dai suoi campi e scomparve nel buio.
Andò ancora più lontano, cercando. Dio pareva farsi sempre più raro e chi ne
possedeva un poco non voleva cederlo (ma nell'atto stesso che lui rispondeva di
no, Dio scompariva, allontanandosi progressivamente).
Ecco quindi don Valentino ai limiti di una vastissima landa, e in fondo, proprio
all'orizzonte, risplendeva dolcemente Dio come una nube oblunga. Il pretino si
gettò in ginocchio nella neve. "Aspettami, o Signore " supplicava "per colpa mia
l'arcivescovo è rimasto solo, e stasera è Natale!"
Aveva i piedi gelati, si incamminò nella nebbia, affondava fino al ginocchio,
ogni tanto stramazzava lungo disteso. Quanto avrebbe resistito?
Finche' udì un coro disteso e patetico, voci d'angelo, un raggio di luce
filtrava nella nebbia. Aprì una porticina di legno: era una grandissima chiesa e
nel mezzo, tra pochi lumini, un prete stava pregando. E la chiesa era piena di
paradiso.
"Fratello" gemette don Valentino, al limite delle forze, irto di ghiaccioli
"abbi pietà di me. Il mio arcivescovo per colpa mia è rimasto solo e ha bisogno
di Dio. Dammene un poco, ti prego."
Lentamente si voltò colui che stava pregando. E don Valentino, riconoscendolo,
si fece, se era possibile, ancora più pallido.
"Buon Natale a te, don Valentino" esclamò l'arcivescovo facendosi incontro,
tutto recinto di Dio. "Benedetto ragazzo, ma dove ti eri cacciato? Si può'
sapere che cosa sei andato a cercar fuori in questa notte da lupi?"
1968 antologia racconti mondadori -
la boutique del mistero: 31 storie di magia quotidiana
Sul Natale
sono state dette fiumane di parole, scritti centinaia di libri, migliaia
di racconti e poesie. A prima vista sembra che, per parlarne ancora, ci
voglia una bella dose di coraggio. Ma non è vero. Non se ne parlerà mai
abbastanza . Il Natale ritorna ogni dodici mesi, allo
stesso giorno 25, con precisione matematica, non è quindi una cosa molto
rara. Tutti sanno come è fatto, tutti potrebbero
descrivere in anticipo nei minuti particolari quello che accadrà nelle
case rispettive. Eppure se ne resta sempre sbalorditi .
DB da lo strano fenomeno che si chiama natale –
corriere -
24-25 dicembre 1954
Decorazioni Natalizie
. E per Natale tu, a casa, cosa fai ?
. Mah, pensavo di fare il solito albero, ma
Giantomaso e Almachiara, i miei più piccoli, si sono messi a contestarlo,
dicono che a Mao assolutamente non piace. Pensavo di
fare il presepio, ma sembra che le punte più avanzate del Concilio lo
abbiano messo in quarantena. Pensavo di mettere qualche
ghirlandina d’argento, qualche palla di vetro, qualche candelina, e così
via, almeno nell’angolo dove alla vigilia si ammucchiano i regali, ma
Pierfrancesco, il mio secondo, dice che è un rito schifosamente
consumistico. Pensavo, sopra e intorno al caminetto, di
mettere in mostra 'christmas cards' ricevuti, ce ne sono divertenti da
morire, ma Gianpaolo, il mio grandicello, dice che Marcuse è contrario.
Pensavo, sulla terrazza, fuori, di costruire un bel Babbo Natale con la
neve, ma il colonnello Bernacca dice che per Natale la neve non verrà.
.
E allora ?
. Niente, pulirò i
vetri . il
panettone non basto' - corsera - 13.12.1969
E poi chissà che il giorno dopo, può anche
darsi, chissà che qualche pezzetto di Natale non vi rimanga attaccato
addosso . Basterebbe anche un pezzetto molto
piccolo, il cielo in fondo si accontenta di poco,
non vi domanda di più .
da corriere lombardo - 24 dicembre 1945
.
CE N'É TROPPO DI NATALE
Nel Paradiso degli animali
c'è poca aria di stelle
- ce n'è troppo di natale
Nel paradiso degli animali l’anima del somarello
chiese all’anima del bue: - Ti ricordi per caso quella notte, tanti anni fa,
quando ci siamo trovati in una specie di capanna e là, nella mangiatoia … ?
- Lasciami pensare … Ma sì – rispose il bue – Nella mangiatoia, se
ben ricordo, c’era un bambino appena nato.
- Bravo. E da allora sapresti immaginare quanti anni sono passati? - Eh no,
figurati. Con la memoria da bue che mi ritrovo.
- Millenovecentosettanta, esattamente.
- Accidenti!
- E a proposito, lo sai chi era quel bambino?
- Come faccio a saperlo? Era gente di passaggio, se non sbaglio. Certo, era un
bellissimo bambino.
L’asinello sussurrò qualche cosa in un orecchio al bue.
Ma no! – fece costui – Sul serio? Vorrai scherzare spero.
- La verità. Lo giuro. Del resto io l’avevo capito subito …
- Io no – confessò il bue – Si vede che tu sei più intelligente. A me non aveva
neppure sfiorato il sospetto. Benché, certo, a vedersi, era un fantolino
straordinario.
- Bene, da allora gli uomini ogni hanno fanno grande festa per l’anniversario
della nascita. Per loro è la giornata più bella. Tu li vedessi. È il tempo della
serenità, della dolcezza, del riposo dell’animo, della pace, delle gioie
famigliari, del volersi bene. Perfino i manigoldi diventano buoni come agnelli.
Lo chiamano Natale. Anzi, mi viene un’idea. Già che siamo in argomento, perché
non andiamo a dare un’occhiata ?
- Dove ?
- Giù sulla terra, no !
- Ci sei già stato ?
- Ogni anno, o quasi, faccio una scappata. Ho un lasciapassare speciale. Te lo
puoi fare dare anche tu. Dopotutto, qualche piccola benemerenza possiamo
vantarla, noi due.
- Per via di aver scaldato il bimbo col fiato?
- Su, vieni, se non vuoi perdere il meglio. Oggi è la Vigilia.
- E il lasciapassare per me ?
- Ho un cugino all’ufficio passaporti.
Il lasciapassare fu concesso. Partirono. Lievi lievi, come mammiferi
disincarnati. Planarono sulla terra, adocchiarono un lume; vi puntarono sopra.
Il lume era una grandissima città. Ed ecco il somarello e il bue aggirarsi per
le vie del centro. Trattandosi di spiriti, automobili e tram gli passavano
attraverso senza danno, e alla loro volta le due bestie passavano attraverso i
muri come se fossero fatti d’aria. Così potevano vedere bene tutto quanto.
Era uno spettacolo impressionante, mille lumi, le vetrine, le ghirlande, gli
abeti e lo sterminato ingorgo di automobili, e il vertiginoso formicolio della
gente che andava e veniva, entrava e usciva, tutti carichi di pacchi e
pacchetti, con un’espressione ansiosa e frenetica, come se fossero inseguiti. Il
somarello sembrava divertito. Il bue si guardava intorno con spavento.
- Senti, amico: mi avevi detto che mi portavi a vedere il Natale. Ma devi
esserti sbagliato. Qui stanno facendo la guerra.
- Ma non vedi come sono tutti contenti ?
- Contenti? A me sembrano dei pazzi.
- Perché tu sei un provinciale, caro il mio bue. Tu non sei pratico degli uomini
moderni, tutto qui. Per sentirsi felici, hanno bisogno di rovinarsi i nervi.
Per togliersi da quella confusione, il bue, valendosi della sua natura di
spirito, fece una svolazzatina e si fermò a curiosare a una finestra del decimo
piano. E l’asinello, gentilmente, dietro.
Videro una stanza riccamente ammobiliata e nella stanza, seduta ad un tavolo,
una signora molto preoccupata.
Alla sua sinistra, sul tavolo, un cumulo alto mezzo metro di carte e cartoncini
colorati, alla sua destra una pila di cartoncini bianchi. Con l’evidente assillo
di non perdere un minuto, la signora, sveltissima, prendeva uno dei cartoncini
colorati lo esaminava un istante poi consultava grossi volumi, subito scriveva
su uno dei cartoncini bianchi, lo infilava in una busta, scriveva qualcosa sulla
busta, chiudeva la busta quindi prendeva dal mucchio di destra un altro
cartoncino e ricominciava la manovra. Quanto tempo ci vorrà a smaltirlo? La
sciagurata ansimava.
- La pagheranno, bene, immagino, – fece il bue – per un lavoro simile.
- Sei ingenuo, amico mio. Questa è una signora ricchissima e della migliore
società.
- E allora perché si sta massacrando così?
- Non si massacra. Sta rispondendo ai biglietti di auguri.
- Auguri? E a che cosa servono ?
- Niente. Zero. Ma chissà come, gli uomini ne hanno una mania.
Si affacciarono, più in là, a un’altra finestra. Anche qui, gente che,
trafelava, scriveva biglietti su biglietti, la fronte imperlata di sudore.
Dovunque le bestie guardassero, ecco uomini e donne fare pacchi, preparare
buste, correre al telefono, spostarsi fulmineamente da una stanza all’altra
portando spaghi, nastri, carte, pendagli e intanto entravano giovani inservienti
con la faccia devastata portando altri pacchi, altri scatole altri fiori altri
mucchi di auguri. E tutto era precipitazione ansia fastidio confusione e una
terribile fatica. Dappertutto lo stesso spettacolo. Andare e venire, comprare e
impaccare spedire e ricevere imballare e sballare chiamare e rispondere e tutti
correvano tutti ansimavano con il terrore di non fare in tempo e qualcuno
crollava boccheggiando.
- Mi avevi detto – osservò il bue – che era la festa della serenità, della pace.
- Già – rispose l’asinello. – Una volta infatti era così. Ma, cosa vuoi, da
qualche anno, sarà questione della società dei consumi … Li ha morsi una
misteriosa tarantola. Ascoltali, ascoltali.
Il bue tese le orecchie.
Per le strade nei negozi negli uffici nelle fabbriche uomini e donne parlavano
fitto fitto scambiandosi come automi delle monotone formule buon Natale auguri
auguri a lei grazie altrettanto auguri buon Natale. Un brusio che riempiva la
città.
- Ma ci credono? – chiese il bue – Lo dicono sul serio? Vogliono davvero tanto
bene al prossimo?
L’asinello tacque.
- E se ci ritirassimo un poco in disparte? – suggerì il bovino. – Ho ormai la
testa che è un pallone … Sei proprio sicuro che non sono usciti tutti matti ?
- No, no. È semplicemente Natale.
- Ce n’è troppo, allora. Ti ricordi quella notte a Betlemme, la capanna, i
pastori, quel bel bambino. Era freddo anche lì, eppure c’era una pace, una
soddisfazione. Come era diverso.
- E quelle zampogne lontane che si sentivano appena appena.
- E sul tetto, ti ricordi, come un lieve svolazzamento. Chissà che uccelli
erano.
- Uccelli? Testone che non sei altro. Angeli erano.
- E la stella? Non ti ricordi che razza di stella, proprio sopra la capanna?
Chissà che non ci sia ancora. Le stelle hanno una vita lunga.
- Ho idea di no – disse l’asino – c’è poca aria di stelle, qui. Alzarono il muso
a guardare, e infatti non si vedeva niente, sulla città c’era un soffitto di
caligine e di smog.
milano nostra - racconti- 1990
.
Buon Natale
E se invece venisse per davvero ?
Se la preghiera, la letterina, il desiderio
espresso così, più che altro per gioco
venisse preso sul serio ?
Se il regno della fiaba e del mistero
si avverasse ? Se accanto al fuoco
al mattino si trovassero i doni
la bambola il revolver il treno
il micio l’orsacchiotto il leone
che nessuno di voi ha comperati ?
Se la vostra bella sicurezza
nella scienza e nella dea ragione
andasse a carte quarantotto ?
Con imperdonabile leggerezza
forse troppo ci siamo fidati .
E se sul serio venisse ?
Silenzio ! O Gesù Bambino
per favore cammina piano
nell’attraversare il salotto .
Guai se tu svegli i ragazzi
che disastro sarebbe per noi
così colti così intelligenti
brevettati miscredenti
noi che ci crediamo chissà cosa
coi nostri atomi coi nostri razzi .
Fa piano, Bambino, se puoi .
.
BESTIARIO
Il Bestiario di Dino Buzzati è un cofanetto di due
volumi ... che raccoglie tutti i racconti e gli articoli dedicati dallo
scrittore Dino Buzzati agli animali e pubblicati sul Corriere della Sera
(tra il 1933 e il 1971 circa). Il primo volume, Cani, gatti e altri
animali, è dedicato ai cani, ai gatti e agli animali in generale, il
secondo volume, L'alfabeto dello zoo, a tutte le altre specie ordinate
dalla A alla Z. Il libro è una riedizione completamente rivista e
aggiornata del Bestiario pubblicato nel 1991 ...
Buzzati
fu sempre interessato al mondo animale e, soprattutto negli ultimi decenni
della sua vita, maturò un profondo senso di rispetto verso tutte le specie
viventi, occupandosi spesso di questioni spinose come la violenza verso
gli animali e la crudeltà di certi esperimenti scientifici.
https://it.wikipedia.org/wiki/Dino_Buzzati books.google.it
Tra il grande scrittore e gli animali che avevano
perso la loro libertà, la dignità, dentro le gabbie dello zoo, c’era un
legame particolare. Fortissimo. Lui, che abitava in viale Vittorio
Veneto a Milano, proprio lì di fronte, andava a trovarli spesso. Davanti
alla gabbia dell’orso, dicono che si fermasse anche venti minuti. E uno
dei guardiani era convinto di averlo visto togliersi il cappello quando si
avvicinava a quei nobili prigionieri.
alessandro mezzena
lona - ilpiccolo.gelocal.it - 2016 Gli animali, reali o
fantastici, sono una parte fondamentale del mondo narrativo di Dino
Buzzati: anello che abbraccia l'umanità e la ricongiunge con un'altra
realtà, essi sono un tramite per l'altrove, popolato di voci e segnali, di
domande e, forse, di risposte. Questa nuova edizione completamente rivista
rispetto a quella del 1991, propone sia gli articoli, interventi e prose
che lo stesso Buzzati raccolse lungo l'arco di tutta la vita, compresi
alcuni dei racconti più belli della narrativa buzzatiana, sia numerosi
altri testi, alcuni del quali inediti, e dei ricchi apparati di commento.
ibs
Io voglio alle
bestie un gran bene
e più invecchio
più gli voglio bene. Tuttavia nello zoo non entro. Non ho voglia. Quel
poco che ne intravedo, passandoci vicino, non mi allieta né mi attira. In
fondo si tratta di un ergastolo, e gli ergastoli non sono mai una cosa
allegra, specialmente poi quando tutti i carcerati, dal primo all’ultimo,
sono innocenti .
bestiario
cicci - uno dei suoi otto
cani
Ha appena
compiuto tre mesi e sta fra l’ippopotamo, la cornamusa, il baule e gli
angiolini di Raffaello Sanzio. Chi lo vede ne resta attanagliato. Arriverà
molto, ma molto in alto, lasciatemelo credere.
bestiario
LAIKA - nello spazio
nel 1957
Tu morrai in crudele solitudine senza sapere di essere un
Eroe della Storia, un Simbolo del Progresso, un Pioniere degli Spazi ...
Ancora una volta l’uomo ha
approfittato della tua innocenza, ha abusato di te per sentirsi ancora più
grande e darsi un mucchio di arie.
bestiario
IL GATTO
MAMMONE
da i miracoli della val morel -
http://video.corriere.it/dino-buzzati-il-gatto-mammone
la foca -
lettera di dino buzzati
Egregio Signor Sindaco
Le scrivo per metterla al corrente di un grave
problema e per chiederle se può di provvedere.
Ogni notte, quando la città si è addormentata si
sente un lamento profondo un disperato richiamo. Sento la voce dalla mia
abitazione che non è molto distante dal Giardino Zoologico.
Non 'è una voce umana ma quella di un animale
imprigionato nello zoo. È la voce di una foca che chiama perché non
riesce a dormire quando scende la notte.
Forse le manca l'oceano le mancano le tempeste
selvagge le onde i ghiacci dove è nata.
Non so dove abiti lei Signor Sindaco se
vicino o lontano dallo zoo. L 'ha mai sentita quella voce ? È stato
mai risvegliato da quel lamento ? Ha mai
avuto pietà di quella foca?
Che ne dice ? Si può fare qualcosa ? Nutrire
meglio alloggiare meglio quella povera foca?
Con la massima considerazione Le porgo i miei
saluti. Un cittadino
lav.it
inviti superflui
è un racconto che permette diverse
chiavi di lettura. Infatti, se da un lato esso è un dialogo immaginario tra il
protagonista e la donna che ama, dall'altro è una riflessione intima e privata
di un uomo che, assorto nei suoi pensieri, riflette sulla vita e sulla
concezione dell'amore.
Un sentimento alimentato dal non essere corrisposto, diventa cosí l'espediente
che permette al protagonista di parlare di se stesso, rivolgendosi al perfetto
interlocutore: colui che non può rispondere.
Riconoscere e apprezzare le piccole grandi gioie della vita quotidiana sembra
essere dunque la chiave per la felicità, quella felicità che parte da noi e che
finisce con noi, che non ha bisogno della concretezza dei beni materiali, per
loro natura caduci ed effimeri, quella felicità che tutti noi desidereremmo.
pianetascuola.it
Inviti superflui
- sessanta racconti
VORREI CHE
TU VENISSI da me in una sera d'inverno e, stretti insieme dietro i
vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli
inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo. Per gli stessi
sentieri fatati passammo infatti tu ed io, con passi timidi, insieme andiamo
attraverso le foreste piene di lupi, e i medesimi genii ci spiavano dai ciuffi
di muschio sospesi alle torri, tra svolazzare di corvi. Insieme, senza saperlo,
di là forse guardammo entrambi verso una vita misteriosa, che ci aspettava.
Ivi1. palpitarono in noi per la prima volta pazzi e teneri desideri. "Ti
ricordi?" ci diremo l'un l'altro, stringendoci dolcemente, nella calda stanza, e
tu mi sorriderai fiduciosa mentre fuori daran tetro suono le lamiere scosse dal
vento. Ma tu - ora mi ricordo - non conosci le favole antiche dei re senza nome,
degli orchi e dei giardini stregati. Mai passasti, rapita, sotto gli alberi
magici che parlano con voce umana, né battesti mai alla porta del castello
deserto, né camminasti nella notte verso il lume lontano lontano, né ti
addormentasti sotto le stelle d'Oriente, cullata da piroga2. sacra. Dietro i
vetri, nella sera d'inverno, probabilmente non rimarremo muti, io perdendomi
nelle favole morte, tu in altre cure a me ignote. Io chiederei "Ti ricordi?", ma
tu non ricorderesti.
Vorrei con te passeggiare, un giorno di primavera, col cielo di color grigio e
ancora qualche vecchia foglia dell'anno prima trascinata per le strade dal
vento, nei quartieri della periferia; e che fosse domenica. In tali contrade
sorgono spesso pensieri malinconici e grandi; e in date ore vaga la poesia,
congiungendo i cuori di quelli che si vogliono bene. Nascono inoltre speranze
che non si sanno dire, favorite dagli orizzonti sterminati dietro le case, dai
treni fuggenti, dalle nuvole del settentrione. Ci terremo semplicemente per mano
e andremo con passo leggero, dicendo cose insensate, stupide e care. Fino a che
si accenderanno i lampioni e dai casamenti squallidi usciranno le storie
sinistre della città, le avventure, i vagheggiati ROMANZI . E allora noi
taceremo, sempre tenendoci per mano, poiché le anime si parleranno senza parola.
Ma tu - adesso mi ricordo - mai mi dicesti cose insensate, stupide e care. Né
puoi quindi amare quelle domeniche che dico, né l'anima tua sa parlare alla mia
in silenzio, né riconosci all'ora giusta l'incantesimo delle città, né le
speranze che scendono dal settentrione. Tu preferisci le luci, la folla, gli
uomini che ti guardano, le vie dove dicono si possa incontrar la fortuna. Tu sei
diversa da me e se venissi quel giorno a passeggiare, ti lamenteresti di essere
stanca; solo questo nient'altro.
Vorrei anche andare con te d'estate in una valle solitaria, continuamente
ridendo per le cose piú semplici, ad esplorare i segreti dei boschi, delle
strade bianche, di certe case abbandonate. Fermarci sul ponte di legno a
guardare l'acqua che passa, ascoltare nei pali del telegrafo quella lunga storia
senza fine che viene da un capo del mondo e chissà dove andrà mai. E strappare i
fiori dei prati e qui, distesi sull'erba, nel silenzio del sole, contemplare gli
abissi del cielo e bianche nuvolette che passano e le cime delle montagne. Tu
diresti "Che bello!". Niente altro diresti perché noi saremmo felici; avendo il
nostro corpo perduto il peso degli anni, le anime divenute fresche, come se
fossero nate allora.
Ma tu - ora che ci penso - tu ti guarderesti attorno senza capire, ho paura, e
ti fermeresti preoccupata a esaminare una calza, mi chiederesti un'altra
sigaretta impaziente di fare ritorno. E non diresti "Che bello!", ma altre
povere cose che a me non importano. Perché purtroppo sei fatta cosí. E non
saremmo neppure per un istante felici.
Vorrei pure - lasciami dire - vorrei con te sottobraccio attraversare le grandi
vie della città in un tramonto di novembre, quando il cielo è di puro cristallo.
Quando i fantasmi della vita corrono sopra le cupole e sfiorano la gente nera,
in fondo alla fossa delle strade, già colme di inquietudini. Quando memorie di
età beate e nuovi presagi passano sopra la terra, lasciando dietro di sé una
specie di musica. Con la candida superbia dei bambini guarderemo le facce degli
altri, migliaia e migliaia, che a fiumi ci trascorrono accanto. Noi manderemo
senza saperlo luce di gioia e tutti saran costretti a guardarci, non per invidia
e malanimo; bensí sorridendo un poco, con sentimento di bontà, per via della
sera che guarisce le debolezze dell'uomo. Ma tu - lo capisco bene - invece di
guardare il cielo di cristallo e gli aerei colonnati battuti dall'estremo sole,
vorrai fermarti a guardare le vetrine, gli ori, le ricchezze, le sete, quelle
cose meschine. E non ti accorgerai quindi dei fantasmi, né dei presentimenti che
passano, né ti sentirai, come me, chiamata a sorte orgogliosa. Né udresti quella
specie di musica, né capiresti perché la gente ci guardi con occhi buoni. Tu
penserai al tuo povero domani e inutilmente sopra di te le statue d'oro sulle
guglie alzeranno le spade agli ultimi raggi. Ed io sarei solo.
È inutile. Forse tutte queste sono sciocchezze, e tu migliore di me, non
presumendo tanto dalla vita. Forse hai ragione tu e sarebbe stupido tentare. Ma
almeno, questo sí almeno, vorrei rivederti. Sia quel che sia, noi staremo
insieme in qualche modo, e troveremo la gioia. Non importa se di giorno o di
notte, d'estate o d'autunno, in un paese sconosciuto, in una casa disadorna, in
una squallida locanda. Mi basterà averti vicina. Io non starò qui ad ascoltare -
ti prometto gli scricchiolii misteriosi del tetto, né guarderò le nubi, né darò
retta alle musiche o al vento. Rinuncerò a queste cose inutili, che pure io amo.
Avrò pazienza se non capirai ciò che ti dico, se parlerai di fatti a me strani,
se ti lamenterai dei vestiti vecchi e dei soldi. Non ci saranno la cosiddetta
poesia, le comuni speranze, le mestizie cosí amiche all'amore. Ma io ti avrò
vicina. E riusciremo, vedrai, a essere abbastanza felici, con molta semplicità,
uomo con donna solamente, come suole accadere in ogni parte del mondo.
Ma tu - adesso ci ripenso - sei troppo lontana, centinaia e centinaia di
chilometri difficili da valicare. Tu sei dentro a una vita che ignoro, e gli
altri uomini ti sono accanto, a cui probabilmente sorridi, come a me nei tempi
passati. Ed è bastato poco tempo perché ti dimenticassi di me. Probabilmente non
riesci piú a ricordare il mio nome. Io sono ormai uscito da te, confuso fra le
innumerevoli ombre. Eppure non so pensare che a te, e mi piace dirti queste
cose.
pianetascuola.it
discoveryalps.it
digilander.libero.it/fontema/buzz.html
I sette messaggeri
Partito ad esplorare il regno di mio padre, di giorno in
giorno vado allontanandomi dalla città e le notizie che mi giungono si fanno
sempre più rare.
Ho cominciato il viaggio poco più che trentenne e più di otto anni sono passati,
esattamente otto anni, sei mesi e quindici giorni di ininterrotto cammino.
Credevo, alla partenza, che in poche settimane avrei facilmente raggiunto i
confini del regno, invece ho continuato ad incontrare sempre nuove genti e
paesi; e dovunque uomini che parlavano la mia stessa lingua, che dicevano di
essere sudditi miei.
Penso talora che la bussola del mio geografo sia impazzita e che, credendo di
procedere sempre verso il meridione, noi in realtà siamo forse andati girando su
noi stessi, senza mai aumentare la distanza che ci separa dalla capitale; questo
potrebbe spiegare il motivo per cui ancora non siamo giunti all'estrema
frontiera.
Ma più sovente mi tormenta il dubbio che questo confine non esista, che il regno
si estenda senza limite alcuno e che, per quanto io avanzi, mai potrà arrivare
alla fine. Mi misi in viaggio che avevo già più di trent'anni, troppo tardi
forse. Gli amici, i familiari stessi, deridevano il mio progetto come inutile
dispendio degli anni migliori della vita. Pochi in realtà dei miei fedeli
acconsentirono a partire.
Sebbene spensierato - ben più di quanto sia ora! - mi preoccupai di poter
comunicare, durante il viaggio, con i miei cari, e fra i cavalieri della scorta
scelsi i sette migliori, che mi servissero da messaggeri.
Credevo, inconsapevole, che averne sette fosse addirittura un'esagerazione. Con
l'andar del tempo mi accorsi al contrario che erano ridicolmente pochi; e sì che
nessuno di essi è mai caduto malato, né è incappato nei briganti, né ha
sfiancato le cavalcature. Tutti e sette mi hanno servito con una tenacia e una
devozione che difficilmente riuscirò mai a ricompensare.
Per distinguerli facilmente imposi loro nomi con le iniziali alfabeticamente
progressive; Alessandro, Bartolomeo, Caio, Domenico, Ettore, Federico, Gregorio.
Non uso alla lontananza dalla mia casa, vi spedii il primo, Alessandro, fin
dalla sera del secondo giorno di viaggio, quando avevamo percorso già un
ottantina di leghe. La sera dopo, per assicurarmi la continuità delle
comunicazioni, inviai, il secondo, poi il terzo, poi il quarto,
consecutivamente, fino all'ottava sera di viaggio, in cui partì Gregorio. Il
primo non era ancora tornato.
Ci raggiunse la decima sera, mentre stavamo disponendo il campo per la notte, in
una valle disabitata. Seppi da Alessandro che la sua rapidità era stata
inferiore al previsto;avevo pensato che, procedendo isolato, in sella a un
ottimo destriero, egli potesse percorrere, nel medesimo tempo, una distanza due
volte la nostra; invece aveva potuto solamente una volta e mezza; in una
giornata, mentre noi avanzavamo di quaranta leghe, lui ne divorava sessanta, ma
non di più.
Così fu degli altri. Bartolomeo, partito per la città alla terza sera di
viaggio, ci raggiunse alla quindicesima; Caio, partito alla quarta, alla
ventesima solo fu di ritorno. Ben presto constatai che bastava moltiplicare per
cinque i giorni fin lì impiegati per sapere quando il messaggero ci avrebbe
ripreso.
Allontanandoci sempre più dalla capitale, l'itinerario dei messi si faceva ogni
volta più lungo. Dopo cinquanta giorni di cammino, l'intervallo fra un arrivo e
l'altro dei messaggeri cominciò a spaziarsi sensibilmente; mentre prima me ne
vedevo arrivare al campo uno ogni cinque giorni, questo intervallo divenne di
venticinque; la voce della mia città diveniva in tal modo sempre più fioca;
intere settimane passavano senza che io ne avessi alcuna notizia.
Trascorsi che furono sei mesi - già avevamo varcato i monti Fasani -
l'intervallo fra un arrivo e l'altro dei messaggeri aumentò a ben quattro mesi.
Essi mi recavano oramai notizie lontane; le buste mi giungevano gualcite, talora
con macchie di umido per le notti trascorse all'addiaccio da chi me le portava.
Procedemmo ancora. Invano cercavo di persuadermi che le nuvole trascorrenti
sopra di me fossero uguali a quelle della mia fanciullezza, che il cielo della
città lontana non fosse diverso dalla cupola azzurra che mi sovrastava, che
l'aria fosse la stessa, uguale il soffio del vento, identiche le voci degli
uccelli. Le nuvole, il cielo, l'aria, i venti, gli uccelli, mi apparivano in
verità cose nuove e diverse; e io mi sentivo straniero.
Avanti, avanti! Vagabondi incontrati per le pianure mi dicevano che i confini
non erano lontani. Io incitavo i miei uomini a non posare, spegnevo gli accenti
scoraggianti che si facevano sulle loro labbra. Erano già passati quattro anni
dalla mia partenza; che lunga fatica. La capitale, la mia casa, mio padre, si
erano fatti stranamente remoti, quasi non ci credevo. Ben venti mesi di silenzio
e di solitudine intercorrevano ora fra le successive comparse dei messaggeri. Mi
portavano curiose lettere ingiallite dal tempo, e in esse trovavo nomi
dimenticati, modi di dire a me insoliti, sentimenti che non riuscivo a capire.
Il mattino successivo, dopo una sola notte di riposo, mentre noi ci rimettevamo
in cammino, il messo partiva nella direzione opposta, recando alla città le
lettere che da parecchio tempo io avevo apprestate.
Ma otto anni e mezzo sono trascorsi. Stasera cenavo da solo nella mia tenda
quando è entrato Domenico, che riusciva ancora a sorridere benché stravolto
dalla fatica. Da quasi sette anni non lo rivedevo. Per tutto questo periodo
lunghissimo egli non aveva fatto che correre, attraverso praterie, boschi e
deserti, cambiando chissà quante volte cavalcatura, per portarmi quel pacco di
buste che finora non ho avuto voglia di aprire. Egli è già andato a dormire e
ripartirà domani stesso all'alba.
Ripartirà per l'ultima volta. Sul taccuino ho calcolato che, se tutto andrà
bene, io continuando il cammino come ho fatto finora e lui il suo, non potrò
rivedere Domenico che fra trentaquattro anni. Io allora ne avrò settantadue.
Ma comincio a sentirmi stanco ed è probabile che la morte mi coglierà prima.
Così non lo potrò mai più rivedere.
Fra trentaquattro anni (prima anzi, molto prima) Domenico scorgerà
inaspettatamente i fuochi del mio accampamento e si domanderà perché mai nel
frattempo, io abbia fatto così poco cammino. Come stasera, il buon messaggero
entrerà nella mia tenda con le lettere ingiallite dagli anni, cariche di assurde
notizie di un tempo già sepolto; ma si fermerà sulla soglia vedendomi immobile
disteso sul giaciglio, due soldati ai fianchi con le torce, morto.
Eppure va, Domenico, e non dirmi che sono crudele! Porta il mio ultimo saluto
alla città dove io sono nato. Tu sei il superstite legame con il mondo che un
tempo fu anche mio. I più recenti messaggi mi hanno fatto sapere che molte cose
sono cambiate, che mio padre è morto, che la Corona è passata a mio fratello
maggiore, che mi considerano perduto, che hanno costruito alti palazzi di pietra
là dove prima erano le querce sotto cui andavo solitamente a giocare. Ma è pur
sempre la mia vecchia patria. Tu sei l'ultimo legame con loro, Domenico. Il
quinto messaggero, Ettore, che mi raggiungerà, Dio volendo, fra un anno e otto
mesi, non potrà ripartire perché non farebbe più in tempo a tornare. Dopo di te
il silenzio, o Domenico, a meno che finalmente io non trovi i sospirati confini.
Ma quanto più procedo, più vado convincendomi che non esiste frontiera.
Non esiste, io sospetto, frontiera, almeno nel senso che noi siamo abituati a
pensare. Non ci sono muraglie di separazione, né valli divisorie, né montagne
che chiudano il passo. Probabilmente varcherò il limite senza accorgermene
neppure, e continuerò ad andare avanti, ignaro.
Per questo io intendo che Ettore e gli altri messi dopo di lui, quando mi
avranno nuovamente raggiunto, non riprendano più la via della capitale ma
partano innanzi a precedermi, affinché io possa sapere in antecedenza ciò che mi
attende.
Un'ansia inconsueta da qualche tempo si accende in me alla sera, e non è più
rimpianto delle gioie lasciate, come accadeva nei primi tempi del viaggio;
piuttosto è l'impazienza di conoscere le terre ignote a cui mi dirigo.
Vado notando - e non l'ho confidato finora a nessuno - vado notando come di
giorno in giorno, man mano che avanzo verso l'improbabile mèta, nel cielo
irraggi una luce insolita quale mai mi è apparsa, neppure nei sogni; e come le
piante, i monti, i fiumi che attraversiamo, sembrino fatti di una essenza
diversa da quella nostrana e l'aria rechi presagi che non so dire.
Una speranza nuova mi trarrà domattina ancora più avanti, verso quelle montagne
inesplorate che le ombre della notte stanno occultando. Ancora una volta io
leverò il campo, mentre Domenico scomparirà all'orizzonte dalla parte opposta,
per recare alla città lontanissima l'inutile mio messaggio.
la boutique del mistero -
1968
LA MATEMATICA DEI SETTE MESSAGGERI
> http://utenti.quipo.it/base5/numeri
osservatoriocattedrale.com/sul-metodo/i-sette-messaggeri
La torre Eiffel
pubblicato in La boutique del mistero. Come in una fiaba, c'era una volta un
personaggio visionario, che voleva creare una torre speciale, alta come nessun
altro edificio di Parigi. Non ha questo tono il racconto di Buzzati,
naturalmente, ma ha degli elementi di magia che caratterizzano questa raccolta
di racconti, selezionati dallo stesso autore per la pubblicazione. La trama è
proprio questa, con tanto di tocco surreale: una nube artificiale copre la parte
superiore della torre mentre gli operai lavorano per sfidare le altezze
consentite e presentate nel progetto originario. Ma poi, la realtà ha la meglio
sulla fantasia: la polizia fa demolire il pezzo supplementare e inaugura una
Tour Eiffel "regolamentare".
panorama.it
Trama
La costruzione della Torre Eiffel nasconde un segreto: gli operai
non si erano fermati ai 300 metri di altezza circa che si possono ammirare
ancora oggi. Erano andati ben più avanti verso il cielo, ma erano stati fermati
e obbligati a distruggere gran parte del loro lavoro dalla forza pubblica. Il
racconto termina con l’esclamazione “Ah giovinezza”.
Commento
L’esclamazione finale fa capire che questo racconto non è una
semplice rivisitazione moderna del racconto biblico della Torre di Babele, ma è
una riflessione sul tempo inutilmente speso nelle vane costruzioni. Spesso
l’uomo, da giovane, incomincia a costruire la sua vita su pretese inutili e
spreca tempo.
atuttascuola.it
126° anniversario inaugurazione tour eiffel - 31.3.2015
facebook.com/notes/argenti-pietro/la-torre-eiffel |
Il gigante
Dietro la vecchia casa di campagna, era già immenso e antico, quando io comparvi
piccolo bambino. Ogni tanto, dalle fronde altissime, irraggiungibili, che si
perdevano nell’intrico lassù come circonvoluzioni di una nuvola, crollavano giù
scrosciando rami morti, grandi ciascuno come un albero.
Poi, trent’anni fa, o son quaranta? venne il famoso fulmine alla giuntura: dalla
biforcazione,bruciando un terzo dell’impianto generale, così che il fusto rimase
mutilato. Io pensai: povero vecchio, finalmente ti hanno sistemato, poco ti
rimane da campare. E nella mente già mi figuravo con rimpianto il prato vuoto.
Tutt’al più la ceppaia mastodontica, simile a un altare abbandonato, sul quale i
bambini giocheranno.
Poi molti anni sono passati, io oramai con i
capelli bianchi, e lui niente, lui il gigante sempre più verde a ogni primavera,
e un nuovo ramo è venuto fuori dalla cicatrice orrenda, e
le fronde hanno riempito il vuoto, e si direbbe una seconda vita, quanti anni
ancora, quanti secoli?
La grande ombra gira lentamente sul prato, sul tetto della casa, sul prato
ancora, all’ultimo tramonto allungandosi fino laggiù al fienile.
E io povero diavolo.
elzeviro corriere sera -
8.12.1971
|
Viaggio agli
inferni del secolo
- COLOMBRE - 1966
LA METROPOLITANA MILANESE
- 50ennio della linea rossa al 2014
. CARO BUZZATI PER CASO NON VORREBBE FARMI UNA BELLA INCHIESTA
SUI LAVORI DELLA METROPOLITANA?
... POLITANA? FECI ECO SBALORDITO.
ACCESE UNA SIGARETTA DOPO AVERNE OFFERTA UNA.
. NEI LAVORI DELLA METROPOLITANA - DISSE -AVREBBERO TROVATO ... UN OPERAIO UN
CERTO TORRIANI ... PER CASO NEL CORSO DEGLI SCAVI ... DALLE PARTI DI SEMPIONE
... BEH INSOMMA...
IO LO GUARDAVO, IO COMINCIAVO A SPAVENTARMI.
CHIESI: CHE COSA DOVREI FARE?.
LUI PROSEGUI: PER CASO... DURANTE GLI SCAVI SOTTERRANEI DI MILANO... DICE DI
AVER TROVATO... AVER TROVATO PER CASO... - SEMBRAVA ESITASSE, IMBARAZZATO.
. PER CASO... - INCORAGGIANDOLO.
. TROVATO PER CASO - MI FISSÒ TERRIBILMENTE - ... IO STESSO STENTO A CREDERLO...
. DIRETTORE, MI DICA... . NON NE POTEVO PIÙ.
. LA PORTA DELL’INFERNO, DICE DI AVER TROVATO... UNA SPECIE DI PORTICINA.
SI NARRA CHE PERSONAGGI GROSSI E FORTISSIMI, DI FRONTE A CIÒ CHE MASSIMAMENTE
AVEVANO DESIDERATO NELLA VITA, QUANDO SI PRESENTÒ TREMARONO, DIVENTANDO
MACILENTI, PICCOLI E MESCHINI.
EPPURE IO CHIESI:
. E SI PUÒ ENTRARE?
. DICONO.
. L’INFERNO?
. L’INFERNO.
. GLI INFERNI?
. GLI INFERNI.
CI FU UN SILENZIO.
. E IO?
. NON È CHE UNA PROPOSTA... UNA SEMPLICE PROPOSTA...
. MI RENDO CONTO ANCH’IO...
. NESSUN ALTRO È AL CORRENTE?
. NESSUNO.
. NOI COME L’ABBIAMO SAPUTO?
. COMBINAZIONE. LA MOGLIE DI QUEL TORRIANI È FIGLIA DI UN NOSTRO VECCHIO
SPEDITORE.
. ERA SOLO QUANDO HA FATTO LA SCOPERTA?
. NO, C’ERA UN ALTRO.
. E QUEST’ALTRO HA PARLATO?
. SICURAMENTE NO.
. PERCHÉ?
. PERCHÉ L’ALTRO È ENTRATO A CURIOSARE. E NON HA FATTO PIÙ RITORNO.
. E IO DOVREI?...
. RIPETO, UNA SEMPLICE PROPOSTA... IN FIN DEI CONTI, DI QUESTE FACCENDE LEI NON
È UNO SPECIALISTA?
. DA SOLO?
. MEGLIO. DA SOLO DARÀ MENO NELL’OCCHIO. BISOGNA ARRANGIARSI. LASCIAPASSARE NON
ESISTE. E IL NOSTRO GIORNALE, DI LÀ, NON HA NESSUNA CONOSCENZA. CHE NOI SI
SAPPIA, ALMENO.
. NIENTE VIRGILIO?
. NO.
. MA QUELLI LÀ COME FARANNO A CAPIRE CHE IO SONO UN SEMPLICE TURISTA?
. ARRANGIARSI. QUEL TORRIANI DICE... LUI HA APPENA DATO UNA OCCHIATA DI LÀ...
DICE CHE IN APPARENZA È TUTTO COME QUI DA NOI, E GLI UOMINI SONO DI CARNE ED
OSSA, MICA COME QUELLI DI DANTE. VESTITI COME NOI. E DICE CHE È UNA CITTÀ COME
LE NOSTRE CON LUCE ELETTRICA E AUTOMOBILI DIMODOCHÉ CONFONDERSI MIMETIZZARSI
SARÀ ABBASTANZA FACILE, MA IN COMPENSO DIFFICILE SARÀ FARSI RICONOSCERE PER
FORESTIERI...
. DICO: E ALLORA DOVREI FARMI ARROSTIRE?
. SCIOCCHEZZE. CHI PARLA PIÙ DI FUOCO? LE RIPETO: TUTTO IN APPARENZA È COME QUI,
COMPRESE LE CASE E I BAR I CINEMA I NEGOZI. PROPRIO IL CASO DI DIRE CHE IL
DIAVOLO NON È POI COSÌ...
. E... E IL COMPAGNO DI QUEL TORRIANI ALLORA PERCHÉ NON È TORNATO?
. CHISSÀ... POTREBBE ESSERSI SMARRITO.., POTREBBE NON AVER PIÙ TROVATO IL
PASSAGGIO PER RIENTRARE... POTREBBE ANCHE AVERCI TROVATO GUSTO...
. POI UN’ALTRA COSA: PERCHÉ PROPRIO A MILANO E IN TUTTO IL RESTO DEL MONDO NO?
. NON È VERO. PARE ANZI CHE CE NE SIANO PARECCHIE DI QUESTE PORTICINE, PARECCHIE
IN OGNI CITTÀ, SOLO CHE NESSUNO LE CONOSCE... O NESSUNO NE PARLA... COMUNQUE LEI
AMMETTERÀ CHE GIORNALISTICAMENTE SAREBBE UN COLPO FORMIDABILE.
. GIORNALISTICAMENTE... MA CHI CI CREDERÀ? BISOGNEREBBE DOCUMENTARSI. PORTARE
ALMENO DELLE FOTOGRAFIE...
ANNASPAVO. MI RENDEVO CONTO CHE LA FAMOSA PORTA STAVA APRENDOSI. NON POTEVO
DECENTEMENTE RIFIUTARE, SAREBBE STATA UNA DISERZIONE IGNOBILE. MA MI FACEVA
PAURA.
. SENTA, BUZZATI, NON ANTICIPIAMO LE COSE. NEANCH’IO SONO POI DEL TUTTO
PERSUASO. CI SONO PARECCHI PUNTI OSCURI, A PARTE L’INVEROSIMIGLIANZA
COMPLESSIVA... PERCHÉ NON VA A PARLARE CON QUEL TORRIANI?
MI PORSE UN FOGLIO. C’ERA L’INDIRIZZO.
.
L'UMILTA'
Meravigliosa è la forza dei deserti d'Oriente fatti di pietre, di sabbia e di
sole, dove anche l'uomo più gretto capisce la propria pochezza di fronte alla
vastità del creato e agli abissi dell'eternità, ma ancora più potente è il
deserto delle città fatto di moltitudini, di strepiti, di ruote d'asfalto, di
luci elettriche, e di orologi che vanno tutti insieme e pronunciano tutti nello
stesso istante la medesima condanna.
il colombre
.
i sorpassi
STAVO SUL BALCONE CCANTO ALLA MAMMA E GUARDAVO LA GENTE PASSARE -
Com'è curiosa la gente vista dal di fuori quando non si accorge di essere
osservata .
.
Navigare navigare
era il suo unico pensiero. Non appena, dopo lunghi tragitti, metteva piede a
terra in qualche porto, subito lo pungeva l'impazienza di ripartire. Sapeva che
fuori c'era il colombre ad aspettarlo, e che il colombre era sinonimo di rovina.
Niente.
il colombre |
La voce del
Capodanno Dicono
che a mezzanotte in punto, nell'atto di venire al mondo l'anno emetta una
sua voce e che da questa voce si possa capire che razza di annata
seguirà. Ma a mezzanotte
c'è baccano ... Ci sono è vero anche coloro che non fanno baldoria e pure
questi sono svegli quando gennaio arriva se non altro per curiosità.
Magari si sono già
ficcati a letto e di qui tendono le orecchie ma udire non potranno
perché intorno gli altri fanno festa.
Solo nella grande pace delle campagne dei monti
dei mari e dei deserti la voce si può udire e non altrove.
Ma anche laggiù però è difficile che un uomo sia
completamente solo - a mezzanotte del 31 dicembre anche il vagabondo
cerca d'incontrare un proprio simile - al momento giusto - '
Buon Anno ' si dicono
a vicenda e la famosa voce va perduta. |
|
La notte sa molte cose che il
giorno dimentica perché preferisce dimenticare.
La notte scrive nel cuore degli uomini.
teatro - la colonna infame |
LE NOTTI DIFFICILI
galoppa, fuggi, galoppa,
superstite fantasia . Avido di sterminarti, il mondo civile ti incalza alle
calcagna, mai più ti darà pace .
il babau - le notti
difficili 1971
... miracolo
: passano sempre meno macchine, non si sentono più i clacson abbaiare, il
cielo è limpido, al mattino l'auto lasciata sul marciapiedi non è più
sozza di smog, il telefono non chiama più in continuazione, la cassetta
della posta è quasi vuota . cosa succede ? che
consolazione, che pace, che silenzio . però, però, come erano belli i
vecchi tempi ! mosaico - le notti
difficili ...
L’affinità tra due
persone non significa uguaglianza, o
stretta somiglianza. Al contrario: l’esperienza insegna che significa il
contrario. Come nel nostro caso. Tu docente di francese, io vinattiere,
come nei primi tempi, sia pure scherzando, ti sei divertita a definirmi .
...
Era molto più delicato e tenero di quanto si credesse. Era
fatto di quell'impalpabile sostanza che volgarmente si chiama favola o
illusione : anche se vero. Galoppa, fuggi, galoppa, superstite fantasia.
Avido di sterminarti, il mondo civile ti incalza alle calcagna, mai più ti
darà pace . ...
Tu sei una creatura piena di temperamento, la pazienza e la tolleranza del prossimo non sono il tuo forte, anche per
questo ho perso la testa per te . Ora senti una cosa, anche se non c’entra : se tu riuscissi a partire col primo treno di sabato, così da poter essere
qui entro domenica sera, non sarebbe magnifico ?
...
Su, amore mio, prendi l’aereo, prendi il razzo interplanetario, il tappeto
volante . Non vedo l’ora . Non ne posso più. Vieni, tesoro, te lo giuro,
saremo infelici .
lettera d'amore - le notti
difficili |
SENSIBILITÀ
DEI SEMAFORI
Avrete notato, negli incroci dove passate normalmente, come di volta in volta varii il comportamento dei semafori. Candidamente, i preposti al traffico cittadino sono convinti che quegli ordigni luminosi obbediscano alle pure e semplici leggi fisiche e meccanicamente eseguano gli ordini ricevuti: cosicché, se regolati a tenere acceso il verde per quindici secondi, ogni volta quindici secondi saranno. Illusi. I semafori sono spesso dotati di una sensibilità arcana, affatto ignota a chi li fabbrica; e avvertono a distanza, nelle cateratte di macchine che convergono su di loro, se c’è qualche caso interessante. L’automobilista ansioso, in ritardo, preoccupato di far presto e di non perdere un secondo, è la vittima favorita. Quanto più lui ha fretta, tanto più il semaforo è maligno e, a costo di trasgredire le più elementari norme di disciplina, anticipa fulmineamente lo scatto del rosso così da sbarrargli la strada.
Dopodiché prolunga con scandaloso arbitrio la durata del « no » fino a due, tre volte la dose normale. L’automobilista impreca, digrigna i denti e alle volte impazzisce.
storielle d'auto - corriere sera - 16.7.1969 |
IL GIORNALE
SEGRETO
corriere.it/cultura
- EBOOK - 2014 -
books.google.it |
IL CAPO
E’ dirigente di una grande industria, ha passato i
sessant’anni, ogni mattina si alza alle sei, estate e inverno, alle sette
è già in fabbrica dove rimane fino alle otto di sera e oltre. Anche la
domenica va a lavorare, pur se lo stabilimento e gli uffici sono deserti;
ma un’ora più tardi, ciò che egli considera quasi un vizio. E’ per
eccellenza un uomo serio, ride raramente, non ride mai. D’estate si
concede, ma non sempre, una settimana di vacanza nella villa sul lago. Non
conosce debolezze di alcun genere, non fuma, non prende caffè, non beve
alcoolici, non legge romanzi. Non tollera debolezze neppure negli altri.
Si crede importante. E’ importante. E’ importantissimo. Dice cose
importanti. Ha amici importanti. Fa solo telefonate importanti. Anche i
suoi scherzi in famiglia sono molto importanti. Si crede indispensabile.
E’ indispensabile. I funerali seguiranno domani alle ore 14.30, partendo
dall’abitazione dell’estinto.
corriere della sera - domenica 25 maggio 1969
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LE PRECAUZIONI INUTILI
Ora che lui è partito, e non si farà vivo più,
scomparso, cancellato via dal quadrante della vita esattamente come se
fosse morto, a lei, Irene, non resta che armarsi di tutto il coraggio che
una donna può chiedere a Dio e sradicare tutti i rami per cui quello
sfortunato amore si è attaccato alle sue viscere. E’ sempre stata una
ragazza forte, Irene, questa volta non sarà da meno.
E’ fatto! Meno tremendo di
quanto lei pensasse; e meno lungo. Non sono passati neanche quattro mesi,
ed eccola completamente liberata. Un poco più magra, più pallida, più
diafana, però leggera, col languore soave della convalescenza dentro cui
già palpitano vaghe illusioni nuove. Oh è stata brava, eroica è stata, ha
saputo essere crudele con se stessa, ha respinto con accanimento tutte le
lusinghe dei ricordi, ai quali sarebbe stato pur dolce abbandonarsi.
Distruggere tutto ciò che di lui restava nelle sue mani, fosse pure uno
spillo, bruciare le lettere e le foto, buttar via i vestiti indossati
quando c’era lui, sui quali forse gli sguardi suoi avevano lasciato una
traccia impalpabile, sbarazzarsi dei libri che anch’egli aveva letto e la
comune conoscenza stabiliva una complicità segreta, vendere il cane che
ormai aveva imparato a riconoscerlo e gli correva incontro al cancello del
giardino, abbandonare le amicizie che erano appartenute a entrambi,
cambiare perfino casa perché a quel camino lui una sera si era appoggiato
con un gomito, perché un mattino quella porta si era aperta, e dietro era
apparso lui, perché il campanello della porta continuava a dare lo stesso
suono di quando lui veniva, e in ogni stanza le sembrava così di
riconoscere una misteriosa impronta. Ancora: abituarsi a pensare ad altre
cose, gettarsi in un lavoro massacrante per cui di sera, quando il
pericolo si ridestava più insidioso, un sonno di pietra la atterrasse,
conoscere nuove persone, frequentare nuovi ambienti, cambiare anche il
colore dei capelli. Tutto
questo lei è riuscita a fare, con impegno disperato, non lasciando
sguarnito un angolo, una fessura, da cui il ricordo potesse farsi strada.
L’ha fatto. Ed è stata guarita. Ora è mattino, con un bel vestito azzurro
che la sarta le ha appena mandato, Irene sta per uscire di casa. Fuori c’è
il sole. Lei si sente sana, giovane, tutta lavata dentro, fresca come
quando aveva sedici anni. Felice addirittura? Quasi.
Ma da una casa vicina viene una breve onda di suono.
Qualcuno ha la radio accesa o fa andare il grammofono, e una finestra è
stata aperta. Aperta e poi subito chiusa.
E’ bastato. Sei o sette note, non di più, la sigla
di un vecchio motivo, la sua canzone. Su, coraggiosa Irene, non perderti
per così poco, corri al lavoro, non fermarti, ridi ! Ma un vuoto orrendo
le si è già formato entro nel petto, ha già scavato una voragine. Per mesi
e mesi l’amore, questa strana condanna, aveva finto di dormire, lasciando
che Irene s’illudesse. Ora una inezia è stata sufficiente a scatenarlo.
Fuori passano le macchine, la gente vive, nessuno sa
di una donna che, abbandonata sul pavimento a ridosso della porta di casa
come una bambina castigata, sciupandosi il bel vestito nuovo, perdutamente
piange. Lui è lontano,
non tornerà mai più, e tutto è stato inutile. sessanta racconti
- 1958 |
le mura di anagoor
In quanto a me, io ho aspettato quasi
ventiquattro anni, accampato fuori delle mura . Ma la porta
non si è aperta . E adesso me ne torno al mio paese .
I pellegrini dell’attendamento, vedendo i miei
preparativi, scuotono il capo : Eh, amico, quanta furia
! - dicono - . Un minimo di pazienza, diamine! Tu
pretendi troppo dalla vita .
sessanta racconti |
il borghese stregato
E con amarezza considerava come
tutta la sua vita fosse stata così: niente in fondo gli era mancato ma
ogni cosa sempre inferiore al desiderio, una via di mezzo che spegneva
il bisogno, mai gli aveva dato piena gioia.
sessanta racconti |
Come nella vita l'attesa di un bene certo ci dà
piú gioia che il raggiungerlo
(ed è saggio non approfittarne subito, ma conviene
assaporare quella meravigliosa specie di desiderio che è il desiderio
sicuro di essere appagato ma non ancora praticamente soddisfatto, l'attesa
insomma che non ha piú timori e dubbi e che rappresenta probabilmente
l'unica forma di felicità concessa all'uomo), come la primavera, che è una
promessa, rallegra gli uomini piú dell'estate che ne è il compimento
sospirato . Cosí il
pregustare con la fantasia lo splendore del poema ignoto, equivale, anzi
supera il godimento artistico della diretta e profonda conoscenza .
Si dirà che questo è un gioco della immaginazione un po' troppo
disinvolto, che cosí si apre la porta alle mistificazioni e ai bluffs .
Eppure, se ci si guarda indietro, constatiamo che le piú dolci e acute
gioie non hanno mai avuto un piú solido costrutto .
sessanta racconti |
tre racconti scelti
- un caso interessante
La ragazza disse :
A me piace la vita, sa ?
Come ? Come ha detto ?
La vita mi piace, ho detto .
Ah sì ? Mi spieghi, mi spieghi bene .
A me piace, ecco, e andarmene mi rincrescerebbe
moltissimo .
Signorina, ci spieghi, è terribilmente interessante ... Su, voi, di là,
venite anche voi a sentire, la signorina qui dice che la vita le piace ! |
LA SALVEZZA
Scrivi, ti prego. Due righe
sole, almeno, anche se l’animo è sconvolto
e i nervi non tengono più. Ma ogni giorno. A denti stretti, magari delle
cretinate senza senso, ma scrivi. Lo scrivere è una delle più ridicole e
patetiche nostre illusioni. Crediamo
di fare cosa importante tracciando delle contorte linee nere sopra la
carta bianca. Comunque, questo è il tuo
mestiere, che non ti sei scelto tu ma ti è venuto dalla sorte,
solo questa è la porta da cui, se mai, potrai trovare scampo. Scrivi,
scrivi. Alla fine, fra tonnellate di
carta da buttare via, una riga si potrà salvare.
(
Forse
) .
26 ottobre 1957 diari
+ pag 268
in quel preciso momento
....
Umili che non danno
importanza a quello che fanno, benone ! Che schifo, però, quelli che si
autodenigrano. Quanto odioso orgoglio in chi si proclama verme della
terra, infame peccatore, meritevole di ogni castigo, eccetera .
Nel sottofondo c'è il pensiero : io so farmi piccolo, Dio mi
apprezzerà. Ma perché mai Dio dovrebbe aver simpatia per tipi simili ?
Avete voi simpatia per chi vi adula e vi liscia da mattina a sera,
proclamando voi un genio e proclamando se stesso un lurido pidocchio ?
Dio, spero bene, quando verrà l'ora, li prenderà a calci nel sedere.
....
LE COSE CHE ODIO
LE PERSONE SERIE – IL TÈ 'COMPLETO' – I CALZINI
– IL PELO DELLE DONNE – LE FALSE BIONDE – IL MITO DEI VIAGGI – LO
STORICISMO – GLI ASTEMI – LE CANZONI NAPOLETANE – I FURBI – I DELITTI PER
ONORE – LE SCARPE A DUE COLORI – IL GALOP FINALE – IL TITOLO
“DOTTORE” – I ‘TARTUFI’ DI OGNI GENERE – LE METAFORE MITOLOGICHE – I
BERRETTI BASCHI – I PERMALOSI – GLI INQUADRAMENTI STORICI – LA PEGAMOIDE –
L’ODORE DI FRITTO NELLE FIERE RIONALI – I LIBRI NOIOSI – I PRESEPI
NAPOLETANI – I FILM DOCUMENTARI – LE CAMPANE, SPECIALMENTE DI RITO
AMBROSIANO – LE ANGURIE, I CETRIOLI, LE MELANZANE – LE BARBE DA PROFETA
– LE POESIE DIALETTALI – LA COSTELLAZIONE D’ORIONE – IL RAGLIO
DELL’ASINO – I GIARDINI D’INVERNO – I PURISTI – I VINI DOLCI – I NUMERI
CHE FINISCONO COL 7 – I SOLDATINI DI PLASTICA – I CALZONI LARGHI – I
GENITORI DI BAMBINI STRAORDINARI – L’ORGANO E LA CORNAMUSA – GLI ZINGARI –
LE CONVERSIONI RELIGIOSE DEGLI UOMINI CELEBRI – LA PITTURA POMPEIANA – LE
MASCHERE DEI CLOWNS – LE BARZELLETTE – QUELLI PIÙ BRAVI DI ME – QUELLI CHE
ODIANO I PROFUMI.
egregio signore, siamo spiacenti di ... 1960 . |
batticuore a mezzanotte : c'è un fantasma nel
granaio luglio
1965 belluno
Sono seduto sul pianerottolo della scala, di fianco a me, per terra, un
candeliere di latta con una candela accesa . Di fronte, una
porta a due battenti, appena appena socchiusa .
È la porta del vecchio granaio che sorge di
fianco alla casa dove sono nato. Intorno, la notte della campagna, e i
ricordi . Tra poco, di là dalla porta, si farà vivo lo
spirito che frequenta questo granaio da tempo immemorabile .
Forse .
i misteri d'italia |
Colleghi e amici
quando per caso vengono a sapere
che io leggo volentieri le storie di
Paperino, ridono di me, quasi fossi rimbambito .
Ridano pure . Personalmente sono convinto
che si tratta di una delle più grandi invenzioni narrative dei tempi
moderni . Lasciamo pur stare la vertiginosa fantasia e
ingegnosità delle vicende, ammirevoli in un mondo dove la regola quasi
sovrana dei romanzi è la noia . Sono i due protagonisti,
Paperino e Paperon de’ Paperoni, a fare la gloria maggiore di Walt Disney
. La loro statura, umanamente parlando, non mi sembra
inferiore a quella dei famosi personaggi di Molière, o di Goldoni, o di
Balzac, o di Dickens .
da prefazione a vita e dollari di paperon de
paperoni - walt disney - 1968
bibliotecadellenuvole.it |
Anche il piú nobile sentimento si atrofizza e
si dissolve a poco a poco, se nessuno intorno ne fa piú caso .
È triste dirlo, ma a desiderare il Paradiso non si può essere soli .
la parola proibita
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