george orwell
la fattoria degli animali
capitolo VII a X
Capitolo VII
Fu un inverno molto crudo. Al tempo burrascoso seguirono piogge
pungenti miste a grandine e a neve, e grandi nevicate, poi un gelo durissimo che
cominciò a rompersi a febbraio. Gli animali tuttavia proseguivano, come meglio
potevano, la ricostruzione del mulino, ben sapendo che il mondo di fuori li
stava a guardare e che l'uomo, invidioso, avrebbe gioito e trionfato se il
mulino non fosse stato terminato in tempo.
Per dispetto gli esseri umani fingevano di non credere che fosse stato Palla di
Neve a distruggere il mulino; essi dicevano che era caduto é i muri erano troppo
sottili. Ma gli animali sapevano che non era così. Pure era stato deciso di
costruire i muri con uno spessore di tre piedi in luogo dei diciotto pollici di
prima, il che significava ammassare un'assai maggiore quantità di pietra. Per
lungo tempo la cava fu piena di mucchi di neve e non si poté far nulla. Qualche
progresso fu compiuto durante il periodo di gelo asciutto che segui, ma era un
lavoro crudele e gli animali non si sentivano più così pieni di speranza come si
erano sentiti prima. Avevano sempre freddo, e spesso anche fame. Solo Gondrano e
Berta non si erano mai persi d'animo. Clarinetto faceva bellissimi discorsi
sulla gioia del servire e la dignità del lavorare, ma gli altri animali
trovavano maggiore ispirazione nella forza di Gondrano e nel suo inestinguibile
grido: «Lavorerò di più!». In gennaio cominciò a scarseggiare il cibo. La
razione di grano venne drasticamente ridotta e fu annunciato che in compenso si
sarebbe data una razione supplementare di patate. Poi si scopri che la maggior
parte delle patate si era gelata, é non era stata sufficientemente coperta. I
tuberi erano divenuti molli e incolori e pochi erano quelli mangiabili. Per
giorni e giorni gli animali non ebbero altro per nutrirsi che paglia tritata e
barbabietole. La fame pareva guardarli in faccia.
Era questione vitale nascondere questo stato di cose al mondo di fuori.
Imbaldanziti dal crollo del mulino gli uomini andavano inventando nuove menzogne
sulla Fattoria degli Animali. Ancora una volta si sparse la voce che gli animali
stavano morendo di fame e di malattie, che erano in continua lotta fra di loro e
che erano risorti il cannibalismo e l'infanticidio. Napoleon ben sapeva che cosa
sarebbe avvenuto se la realtà della situazione alimentare fosse stata
conosciuta, e decise quindi di servirsi del signor Whymper per divulgare una
impressione, contraria. Fin allora gli animali avevano avuto poco o nessun
contatto con Whymper durante le sue visite settimanali; ora però alcuni animali
scelti, per lo più pecore, ebbero istruzione di far giungere alle sue orecchie,
così, come a caso, che le razioni erano state aumentate. Inoltre Napoleon ordinò
che i recipienti quasi vuoti nel magazzino viveri fossero riempiti fino all'orlo
di sabbia e ricoperti poi con quanto restava di grano e di farina. Con qualche
acconcio pretesto Whymper fu portato nel magazzino ove poté dare un'occhiata
alle provvigioni. Fu tratto in inganno e continuò a sostenere nel mondo di fuori
che alla Fattoria degli Animali non v'era affatto scarsità di viveri.
Verso la fine di gennaio si impose però la necessità di procurare altro grano da
qualche arte. In quei giorni, Napoleon raramente appariva in pubblico, ma
passava quasi tutto il suo tempo nella casa colonica di cui ogni porta era
custodita da cani dall'aspetto feroce. Quando usciva si mostrava sempre in forma
ufficiale, con una scorta di sei cani che lo circondava o da vicino e
ringhiavano a chiunque si accostasse. Spesso non si faceva vedere neppure il
mattino della domenica, ma impartiva gli ordini a mezzo di un altro maiale,
solitamente Clarinetto. Una domenica mattina Clarinetto annunciò che le galline,
che erano allora rientrate dopo aver deposto, dovevano consegnare le loro uova.
Napoleon aveva accettato, a mezzo di Whymper, un contratto per quattrocento uova
settimanali. Il ricavo sarebbe bastato a pagare una sufficiente quantità di
granaglie e bietole per tirare avanti fino all'estate, epoca in cui le
condizioni si sarebbero fatte più facili. Quando udirono questo, le galline
alzarono alte grida. Erano state già da tempo avvertite che tale sacrificio
poteva rendersi necessario, ma non avevano mai creduto che la cosa potesse
avverarsi. Stavano già preparandosi per la cova primaverile e protestavano che
portar loro via le uova in quel momento era un vero delitto. Per la prima volta
dall'espulsione di Jones vi fu qualcosa che assomigliava a una ribellione.
Condotte da tre giovani polli Black Minorca le galline fecero uno sforzo deciso
per opporsi ai desideri di Napoleon. Il loro sistema fu di volare in cima ai
trespoli e là deporre le uova che si infrangevano a terra. Napoleon fu pronto e
spietato. Ordinò che venisse sospesa la razione alle galline e decretò che
qualunque animale avesse dato sia pure un grano di frumento a una gallina fosse
punito con la morte. I cani erano incaricati dell'esecuzione di tale ordine.
Per cinque giorni le galline tennero duro, poi capitolarono e tornarono ai
soliti luoghi di cova. Nove galline erano morte nel frattempo. I loro corpi
vennero seppelliti nel frutteto, e fu detto che erano morte di coccidiosi.
Whymper non seppe nulla di tutto questo e le uova furono debitamente consegnate;
il furgoncino di un droghiere veniva a prenderle alla fattoria una volta alla
settimana.
Durante tutto quel tempo nessuno aveva più visto Palla di Neve. Si diceva che
fosse nascosto in una delle fattorie vicine, Foxwood o Pinchfield. A quell'epoca
i rapporti di Napoleon con gli altri agricoltori si erano fatti meno tesi.
Avvenne che nel cortile vi fosse una catasta di tronchi d'albero che giaceva lì
da dieci anni, da quando cioè era stato tagliato un boschetto di faggi. Il legno
era ben stagionato e Whymper consigliò a Napoleon di venderlo: il signor
Pilkington e il signor Frederick l'avrebbero acquistato molto volentieri.
Napoleon esitava fra i due e non riusciva a decidersi. Fu notato che ogni qual
volta egli sembrava sul punto di veniva a un accordo con Frederick, subito si
sentiva dire che Palla di Neve era nascosto a Foxwood, mentre quando inclinava
verso il signor Pilkington si diceva che Palla di Neve fosse a Pinchfield.
Improvvisamente, all'inizio della primavera, si scoprì una cosa che pose tutti
in allarme. Palla di Neve segretamente entrava nella fattoria la notte! Gli
animali erano così turbati che quasi non riuscivano più a dormire nelle loro
stalle. Ogni notte, si diceva, col favore delle tenebre, si introduceva
compiendo ogni sorta di malefatte. Rubava il grano, rovesciava i secchi del
latte, rompeva le uova, calpestava i campi seminati, rosicchiava la corteccia
degli alberi da frutto. Di qualunque cosa andasse a male era ora diventata
abitudine dare la colpa a Palla di Neve. Se si rompeva un vetro, o un tubo di
scolo si otturava, si poteva esser sicuri di sentir dire da qualcuno che Palla
di Neve era venuto durante la notte e aveva fatto il malanno; e quando venne
smarrita la chiave del magazzino viveri, tutti furono convinti che Palla di Neve
l'avesse gettata nel pozzo. Fatto abbastanza curioso, anche quando la chiave fu
ritrovata sotto un sacco di farina si continuò a credere la stessa cosa. Le
mucche dichiaravano unanimi che Palla di Neve si introduceva la notte nelle loro
stalle e le mungeva mentre dormivano. Si diceva anche che i topi, i quali in
quell'inverno avevano dato molto fastidio, erano in lega con Palla di Neve.
Napoleon decretò che si sarebbe fatta una severissima inchiesta sulle attività
di Palla di Neve. Scortato dai suoi cani, uscì e fece un accurato giro
d'ispezione alle dipendenze della fattoria, seguito a rispettosa distanza da
tutti gli altri animali. A ogni passo Napoleon si fermava e annusava il terreno
in cerca delle tracce di Palla di Neve che, egli diceva, poteva scoprire
dall'odore. Annusò in ogni angolo, nel granaio, nella stalla delle vacche, nel
pollaio, nell'orto, e ovunque trovò tracce di Palla di Neve. Appoggiava il
grugno a terra, annusava più volte profondamente, poi con voce terribile
gridava: «Palla di Neve è stato qui! Sento bene il suo odore!» e al nome "Palla
di Neve" tutti i cani si mettevano a ringhiare ferocemente e mostravano i denti.
Gli animali erano spaventatissimi. Sembrava loro che Palla di Neve fosse una
specie di potenza invisibile che riempiva tutta l'aria attorno e li minacciava
di ogni genere di pericoli. Una notte Clarinetto li radunò, e col volto
atteggiato a gran timore disse loro che aveva qualcosa di serio da comunicare.
«Compagni!» gridò Clarinetto saltellando nervosamente «è stata scoperta una cosa
terribile. Palla di Neve si è venduto a Frederick della Fattoria Pinchfield e,
assieme a quell'uomo, sta ora complottando un attacco contro di noi per
toglierci la fattoria! Palla di Neve farà da guida al momento dell'assalto. Ma
v'è di peggio. Credevamo che la Rivoluzione di Palla di Neve fosse mossa solo da
vanità e ambizione, ma avevamo torto, compagni. Sapete la ragione vera qual è?
Palla di Neve fin dal primo inizio era in lega con Jones. Egli fu sempre
l'agente segreto di Jones. Ciò è provato da documenti da lui lasciati e che solo
ora abbiamo scoperto. Questo spiega tante cose, compagni. Non avete visto forse
coi vostri occhi com'egli - fortunatamente senza riuscirvi - tentasse di
lasciarci sconfiggere e distruggere nella Battaglia del Chiuso delle Vacche?»
Gli animali restarono esterrefatti. Questa malvagità superava di gran lunga la
distruzione del mulino. Ma occorse loro qualche tempo per capacitarsene. Tutti
ricordavano, o credevano di ricordare, come Palla di Neve fosse corso
all'attacco davanti a loro nella Battaglia del Chiuso delle Vacche, come
cercasse di ricollegarli e incoraggiarli, come non si fosse fermato un istante,
neppure quando le pallottole di Jones gli avevano ferito il dorso. Dapprima
ebbero difficoltà a comprendere come tutto questo poteva accordarsi con la sua
alleanza con Jones. Persino Gondrano, che raramente faceva domande, era
perplesso. Si sdraiò ripiegando al disotto le zampe anteriori, chiuse gli occhi
e con grande sforzo cercò di richiamare i suoi ricordi.
«Non lo credo» disse. «Palla di Neve ha combattuto valorosamente alla Battaglia
del Chiuso delle Vacche. L'ho visto io. Non gli abbiamo forse dato, subito dopo,
l'"Eroe Animale di Prima Classe"?»
«Quello fu il nostro errore, compagno. Infatti ora sappiamo - è tutto scritto
nei documenti segreti che abbiamo trovati - che in realtà cercava di trascinarci
alla nostra distruzione.»
«Ma è stato ferito» disse Gondrano. «Tutti noi lo abbiamo visto correre coperto
di sangue.»
«Questo faceva parte del piano!» gridò Clarinetto. «Il colpo di Jones lo sfiorò
appena. Ve lo potrei far veder scritto da lui stesso, se sapeste leggere.
Secondo il complotto, al momento critico Palla di Neve doveva dare il segnale
della fuga e lasciare il campo al nemico. E quasi ci sarebbe riuscito, se non
fosse stato per il nostro eroico Capo, il compagno Napoleon. Non ricordate come,
proprio nel momento in cui Jones e i suoi uomini facevano irruzione nel cortile,
Palla di Neve improvvisamente si mettesse a fuggire e come molti animali lo
seguirono? E non ricordate che proprio nel momento giusto, quando si sparse il
panico e tutto pareva perduto, il compagno Napoleon si slanciò avanti al grido
di "Morte all'Umanità!" e affondò i denti nelle gambe di Jones? Certo
ricorderete tutto ciò, compagni!» esclamò Clarinetto, saltellando da un lato
all'altro.
Ora, mentre con tanta evidenza Clarinetto descriveva la scena, sembrò agli
animali di ricordare anche questo. A ogni modo ricordavano che al momento
critico della battaglia Palla di Neve si era messo a fuggire. Ma Gondrano non
era ancora tranquillo.
«Io non credo che da principio Palla di Neve fosse un traditore» disse infine.
«Quello che ha fatto dopo è tutt'altra cosa, ma credo che alla Battaglia del
Chiuso delle Vacche egli fosse un buon compagno.»
«Il nostro Capo, il compagno Napoleon» annunciò Clarinetto parlando molto
lentamente e con grande fermezza «ha categoricamente constatato -
categoricamente, compagno - che Palla di Neve è stato fin da principio l'agente
di Jones, sì, e assai prima che neppur si pensasse alla Rivoluzione.»
«Ah, allora la cosa è diversa!» disse Gondrano. «Se il compagno Napoleon lo
dice, deve avere ragione.»
«Questo è il vero spirito, compagno!» gridò Clarinetto, ma fu osservato che
lanciò a Gonndrano uno sguardo cattivo coi suoi occhietti scintillanti Si volse
per andare, poi si arrestò e aggiunse in tono solenne: «Avverto tutti gli
animali di questa fattoria di tener gli occhi bene aperti, é abbiamo ragione di
credere che qualche agente segreto di Palla di Neve si aggiri fra noi in questo
momento».
Quattro giorni dopo, nel tardo pomeriggio, Napoleon ordinò a tutti gli animali
di radunarsi nel cortile. Come furono tutti riuniti, Napoleon uscì dalla casa
colonica con tutte le sue decorazioni (é da poco si era assegnato "'Eroe Animale
di Prima Classe' e l'"Eroe Animale di Seconda Classe") e coi suoi nove enormi
cani che gli saltavano attorno emettendo brontolii che mandavano brividi giù per
la schiena di tutti gli animali. Tutti si accoccolarono in silenzio ai loro
posti, quasi presentendo che qualcosa di terribile stava per accadere.
Napoleon, in piedi, girò lo sguardo austero sull'uditorio, poi lanciò un
altissimo grido. Immediatamente i cani si lanciarono avanti, afferrando per le
orecchie quattro maiali e li trascinarono, urlanti di terrore e di dolore, ai
piedi di Napoleon. Le orecchie dei maiali sanguinavano, i cani avevano sentito
il sapore del sangue e sembravano impazziti. Con stupore di tutti, tre di essi
si slanciarono su Gondrano. Gondrano li vide venire e, sollevato il suo gran
zoccolo, ne colse uno a mezz'aria e lo inchiodò al suolo. Il cane guaiva
pietosamente e gli altri due fuggirono con la coda fra le gambe. Gondrano guardò
Napoleon per sapere se doveva schiacciarlo a morte o lasciarlo andare. Napoleon
sembrò mutar contegno, e rudemente ordinò a Gondrano di lasciar libero il cane,
al che Gondrano sollevò lo zoccolo e il cane fuggì via, ammaccato e gemente.
Il tumulto si sedò. I quattro maiali aspettavano tremanti con la colpa scritta
su ogni tratto del loro aspetto. Napoleon li invitò a confessare i loro delitti.
Erano i quattro maiali che avevano protestato quando Napoleon aveva abolito il
Consiglio domenicale. Senza alcun altro incidente confessarono di essere stati
segretamente in rapporto con Palla di Neve dal giorno della sua espulsione, di
aver collaborato con lui alla distruzione del mulino e di essersi con lui
accordati per consegnare la Fattoria degli Animali al signor Frederick.
Aggiunsero che Palla di Neve aveva loro confidato di esser stato da anni
l'agente segreto di Jones. Quando ebbero finito la confessione, subito i cani
saltarono loro alla gola sgozzandoli, e con voce terribile Napoleon domandò se
qualche altro animale avesse qualcosa da confessare.
Le tre galline che avevano capeggiato il tentativo di ribellione riguardo alle
uova si fecero avanti e dissero che Palla di Neve era apparso loro in sogno e le
aveva incitate a disobbedire agli ordini di Napoleon. Anch'esse vennero
giustiziate. Poi si avanzò un'oca e confessò di aver messo da parte sei
pannocchie di granturco durante la mietitura dell'anno precedente e di averle
mangiate nella notte. Indi una pecora confessò di aver orinato
nell'abbeveratoio, spinta a questo, disse, da Palla di Neve, e due pecore si
accusarono di aver ucciso un vecchio ariete, fedele seguace di Napoleon,
inseguendolo torno torno a un gran falò mentre era in preda a un forte accesso
di tosse. Tutti furono giustiziati sul posto. E così continuò la storia delle
confessioni e delle esecuzioni, finé un mucchio di cadaveri giacque ai piedi di
Napoleon e l'aria fu greve di quell'odore di sangue che nessuno aveva più
sentito dal giorno in cui Jones era stato espulso.
Quando tutto fu finito, i rimanenti animali, eccetto i maiali e i cani, uscirono
assieme lentamente. Erano tremanti e miseri. Non sapevano che cosa maggiormente
li avesse colpiti, se il tradimento di quelli che avevano fatto lega con Palla
di Neve o la crudele punizione alla quale avevano assistito. Negli antichi tempi
c'erano state spesso scene di sangue ugualmente terribili, ma sembrava loro che
assai più crudele fosse la cosa ora che accadeva fra loro stessi. Da quando
Jones aveva lasciato la fattoria, nessun animale aveva ucciso un altro animale.
Neppure un topo era stato ucciso. Si avviarono lentamente verso la collinetta
ove sorgeva il mulino a metà ricostruito e, come per comune intesa, si
sdraiarono tutti stretti assieme, quasi a riscaldarsi: Berta, Muriel, Benjamin,
le mucche, le pecore e tutto il branco delle oche e delle galline; tutti meno il gatto che era sparito proprio un momento prima che Napoleon ordinasse l'adunata
degli animali. Per qualche tempo nessuno parlò. Solo Gondrano rimaneva in piedi.
Inquieto, andava avanti e indietro, scuotendo la lunga coda nera ed emettendo
ogni tanto un nitrito di stupore. Infine disse:
«Non capisco. Non avrei mai creduto che simili cose dovessero accadere nella
nostra fattoria. La causa dev'essere in qualche nostro errore. La soluzione,
come io la vedo, sta nel lavorare di più. D'ora innanzi mi alzerò al mattino
un'ora prima.» E si mosse, col suo trotto pesante, in direzione della cava. Là
giunto, raccolse due carichi di pietre e li portò al mulino prima di ritirarsi
per la notte. Gli animali si strinsero in silenzio intorno a Berta. Dalla
collinetta ove giacevano vedevano l'ampia distesa della campagna, abbracciavano
con lo sguardo quasi tutta la Fattoria degli Animali, coi lunghi pascoli che si
stendevano fino alla strada maestra, i campi di fieno, i boschetti gli stagni
per abbeverarsi, i campi arati dove il nuovo grano cresceva folto e verde, e i
tetti rossi delle case coloniche col fumo che a volute usciva dai camini. Era
una serata limpida di primavera. L'erba e le siepi cariche di gemme erano dorate
dai raggi del sole al tramonto. Mai la fattoria - e con una specie di sorpresa
ricordarono che era la loro fattoria, che ogni palmo era loro proprietà - era
parsa agli animali più desiderabile. Berta abbassò lo sguardo al pendio della
collina e i suoi occhi si riempirono di lacrime. Se avesse potuto esprimere il
suo pensiero, avrebbe detto che non era questo ciò a cui miravano quando un anno
prima, si erano posti all'opera per la distruzione della razza umana. Non a
quelle scene di terrore e di morte avevano mirato in quella notte in cui il
Vecchio Maggiore li aveva per la prima volta incitati alla Rivoluzione. Se mai
Berta aveva avuto un'immagine del futuro, questa era stata di una società di
animali liberati dalla fame e dalla frusta, tutti uguali, ognuno lavorando
secondo la propria capacità, il forte proteggendo il debole come essa aveva
protetto con le sue zampe anteriori la sperduta covata degli anatroccoli la
notte del discorso del Vecchio maggiore. Invece - non sapeva é - era venuto un
tempo in cui nessuno osava esprimere il proprio pensiero, in cui cani feroci e
ringhiosi si aggiravano dappertutto, in cui si doveva assistere al massacro dei
propri compagni dopo che questi avevano confessato orribili delitti. Non vi era
nella sua mente pensiero di ribellione o di disobbedienza. Essa sapeva che anche
così come stavano le cose la loro condizione era assai migliore che non ai tempi
di Jones e che soprattutto bisognava impedire il ritorno dell'Uomo. Qualunque
cosa accadesse, essa sarebbe rimasta fedele, avrebbe lavorato duramente, avrebbe
eseguito gli ordini che le fossero stati dati e accettato il comando di Napoleon.
Pure, non per questo, insieme con tutti gli altri animali, aveva sperato e
faticato. Non per questo aveva costruito il mulino e affrontato le pallottole
del fucile di Jones. Tali erano i suoi pensieri, bené le mancassero le parole
per esprimerli. Infine, sentendo che in qualche modo avrebbe potuto così
sostituire le parole che era incapace di trovare, cominciò a cantare Animali
d'Inghilterra. Gli altri che le sedevano attorno 1a seguirono e fecero coro con
lei per ben tre volte consecutive, in perfetto unisono, ma lentamente e
tristemente, come mai prima avevano cantato.
Avevano appena finito di cantare per la terza volta quando Clarinetto,
accompagnato da due cani, si avvicinò con l'aria di avere qualcosa di importante
da dire e annunciò che, per speciale decreto di Napoleon, Animali d'Inghilterra
era stato abolito. Da quel momento era vietato cantarlo.
Gli animali furono colti di sorpresa.
«é?» domandò Muriel. «
Non ce n'è più bisogno, compagni» disse seccamente Clarinetto. «Animali
d'Inghilterra era il canto della Rivoluzione, ma la Rivoluzione è ora finita.
L'esecuzione dei traditori avvenuta oggi ne è l'atto finale. I nemici esterni e
interni sono stati debellati. In Animali d'Inghilterra noi esprimiamo la nostra
speranza di una società migliore in giorni futuri. Ma questa società è ora
stabilita. Evidentemente questo canto non ha più ragione di essere.»
Pur spaventati com'erano qualcuno avrebbe forse protestato; ma in quell'istante
le pecore cominciarono il loro solito belato: «Quattro gambe, buono; due gambe,
cattivo» che continuò per diversi minuti e pose fine alla discussione.
Così Animali d'Inghilterra non si udì più. In sua vece Minimus, il poeta, aveva
composto un altro inno che cominciava:
Fattoria, Fattoria degli Animali,
giammai per me tu abbia a patir mali!
e questo venne cantato ogni domenica dopo l'alzabandiera. Ma né le parole né
l'aria parvero agli animali toccare l'altezza di Animali d'Inghilterra.
Capitolo VIII
Qualche giorno più tardi, calmato alquanto il terrore causato dalle
esecuzioni, alcuni animali ricordarono - o credettero di ricordare - che il
sesto comandamento decretava: "Nessun animale ucciderà un altro animale". E,
benché nessuno di loro tenesse a farsi udire dai porci o dai cani, sentivano che
le uccisioni che avevano avuto luogo non quadravano precisamente con questo.
Berta chiese a Benjamin di leggerle il sesto comandamento, e quando Benjamin
come al solito disse che si rifiutava di mischiarsi in quelle faccende, andò a
cercare Muriel. Muriel le lesse il comandamento. Diceva: "Nessun animale
ucciderà un altro animale senza motivo". In un modo o in un altro le ultime due
parole si erano cancellate dalla memoria degli animali. Ma constatarono ora che
il sesto comandamento non era stato violato, é era evidente il motivo di
uccidere i traditori che avevano fatto lega con Palla di Neve.
Durante tutto quell'anno gli animali lavorarono ancor più duramente di quanto
avessero fatto in quello trascorso. Ricostruire il mulino, con muri due volte
più spessi di prima e finirlo per la data fissata, oltre che svolgere tutto il
regolare lavoro della fattoria, era una fatica tremenda Sembrava agli animali
talvolta che le ore di lavoro fossero aumentate e il nutrimento diminuito
rispetto ai tempi di Jones. Nelle mattine della domenica, Clarinetto, tenendo
spiegata fra le zampe una lunga striscia di carta, leggeva loro una lista di
cifre che provava come la produzione di ogni genere di cibarie fosse cresciuta
del 200 per cento, del 300 per cento o del 500 per cento a seconda dei casi. Gli
animali non vedevano ragione per non crederci, specialmente é non riuscivano a
ricordare chiaramente quali fossero le loro condizioni prima della Rivoluzione.
A ogni modo vi erano giorni nei quali avrebbero desiderato meno cifre e più
cibo.
Tutti gli ordini erano ora trasmessi a mezzo di Clarinetto o di qualche altro
maiale. Napoleon non si mostrava in pubblico più di una volta ogni quindici
giorni. Quando appariva era scortato non solo dalla sua muta di cani, ma era
preceduto da un gallo nero che faceva la parte di trombettiere, emettendo
altissimi chicchirichì prima che Napoleon cominciasse a parlare. Si diceva che
persino nella casa colonica Napoleon occupasse un appartamento separato dagli
altri. Prendeva solo i suoi pasti con due cani che avevano cura di lui e usava
il servizio da tavola Crown Derby che era sempre stato nella cristalliera del
salotto. Fu anche annunciato che ogni anno, nel giorno genetliaco di Napoleon,
sarebbe stato sparato il fucile come nelle altre due ricorrenze. Ora non si
parlava mai di Napoleon semplicemente come "Napoleon"; alludendo a lui, si
ricorreva sempre allo stile di cerimonia dicendo: "Il nostro Capo, il compagno
Napoleon", e i maiali amavano inventare per lui titoli come i Padre di Tutti gli
Animali, Terrore del Genere Umano, Protettore dei Greggi, Amico degli
Anatroccoli e simili. Nei suoi discorsi Clarinetto parlava, con gli occhi pieni
di lacrime, della saggezza di Napoleon, della bontà del suo cuore, del suo
profondo amore per tutti gli animali della terra, anche e specialmente per tutti
gli infelici animali che vivevano ancora nell'ignoranza e nella schiavitù nelle
altre fattorie. Era divenuto costume dar credito a Napoleon per ogni successo
raggiunto e per ogni colpo di buona fortuna. Si udiva spesso una gallina dire a
un'altra: «Sotto la guida del nostro Capo, il compagno Napoleon, ho fatto cinque
uova in sei giorni», o due mucche esclamare mentre si abbeveravano allo stagno:
«Grazie alla supremazia del compagno Napoleon, che buon sapore ha quest'acqua!».
Il sentimento generale della fattoria fu ben espresso in una poesia intitolata
Camerata Napoleon, composta da Minimus e che diceva così:
Padre degli orfani !
Fonte di gioia !
Signor delle cibarie! Oh, qual consolazion
prova l'alma mia grata
quando trepida guata
l'occhio tuo calmo e fiero
come il sole nel cielo
o camerata Napoleon !
Si, tu sei prodigo
d'ogni delizia
pancia piena ogni giorno e strame a profusion
ogni bestia creata
se la dorme beata
é tutto tu concedi
e a tutto tu provvedi
o camerata
Napoleon !
Se mai avrò cucciolo
alto una spanna
prima ancor che raggiunga l'età della ragion
tutta già ti avrà data
sua fede intemerata
e il suo primo vagito
sarà fervido invito
"O camerata
Napoleon !"
Napoleon approvò questa poesia che venne trascritta sul muro del
grande granaio, sulla parete opposta a quella dei Sette Comandamenti, sormontata
da un ritratto di profilo di Napoleon, eseguito da Clarinetto con pittura
bianca.
Frattanto, con la mediazione di Whymper, Napoleon era occupato in complicate
trattative con Frederick e Pilkington. La partita di tronchi d'albero giaceva
ancora invenduta. Dei due, Frederick era il più desideroso di averla, ma non
voleva offrire un prezzo ragionevole. Nello stesso tempo tornavano a circolare
insistenti voci che Frederick e i suoi uomini stessero preparando un attacco
alla Fattoria degli Animali per distruggere il mulino, la costruzione che aveva
suscitato in lui tanta feroce gelosia. Si sapeva che Palla di Neve era sempre
nascosto nella Fattoria Pinchfield. A mezza estate gli animali furono allarmati
nell'udire che tre galline si erano fatte avanti e avevano confessato che,
ispirate da Palla di Neve, erano entrate a far parte di un complotto al fine di
uccidere Napoleon. Furono immediatamente giustiziate e nuove precauzioni vennero
prese per la sicurezza del Capo. Quattro cani custodivano il suo letto durante
la notte, uno per angolo, e un giovane porco, chiamato Occhiodirosa, aveva il
compito di assaggiare tutti i suoi cibi prima ch'egli li mangiasse, per tema che
fossero avvelenati.
Circa in quel medesimo tempo fu reso pubblico che Napoleon aveva concluso col
signor Pilkington il contratto di vendita dei tronchi d'albero e stava pure
entrando in regolari accordi per lo scambio di certi prodotti tra la Fattoria
degli Animali e Foxwood. Le relazioni tra Napoleon e Pilkington, bené sempre per
mediazione di Whymper, erano ora quasi amichevoli. Gli animali diffidavano di
Pilkington, in quanto essere umano, ma lo preferivano grandemente a Frederick
che temevano e odiavano. Sul finire dell'estate, quando la costruzione del
mulino era quasi ultimata, le voci di un imminente, proditorio attacco si fecero
sempre più insistenti. Frederick, si diceva, sarebbe venuto alla carica con
venti uomini, tutti armati di fucile, e già aveva corrotto i magistrati e la
polizia, in modo che, se fosse riuscito a impadronirsi dei documenti della
Fattoria degli Animali, essi non gliene avrebbero chiesto ragione. Inoltre si
sussurravano storie terribili delle crudeltà che Frederick praticava sugli
animali. Aveva frustato a morte un vecchio cavallo, fatto morire di fame le sue
mucche, ucciso un cane gettandolo nella fornace, si divertiva la sera a far
combattere i galli con schegge di lame di rasoio legate agli speroni. Gli
animali sentivano il sangue ribollire d'ira nel sentire che cosa veniva fatto ai
loro compagni, e talvolta invocavano di essere lasciati uscire in massa per
attaccare la fattoria Pinchfield, scacciarne gli uomini e liberare gli animali.
Ma Clarinetto li consigliava di evitare ogni violenza e di confidare nella
strategia del compagno Napoleon.
Tuttavia, il risentimento verso Frederick si manteneva vivissimo. Una domenica
mattina Napoleon apparve nel granaio e spiegò che mai aveva pensato di vendere i
tronchi a Frederick; riteneva al disotto della sua dignità, diceva, trattare con
bricconi di quella specie. I piccioni che sempre erano spediti fuori a spargere
il verbo della Rivoluzione, avevano il divieto di porre piede a Foxwood e
avevano pure l'ordine di mutare il loro motto "Morte all'Umanità" in quello di
"Morte a Frederick". Sul finire dell'estate venne in luce un'altra macchinazione
di Palla di Neve. I campi di grano erano pieni di gramigna e si scoprì che, in
una delle sue scorribande notturne, Palla di Neve aveva mescolato seme di
gramigna al seme di frumento. Un papero, che era stato complice del complotto,
aveva confessato, e si era poi subito ucciso inghiottendo nere bacche velenose.
Gli animali appresero pure che Palla di Neve non aveva mai - come molti di loro
avevano fin lì creduto - ricevuto l'ordine dell'"Eroe Animale di Prima Classe".
Era questa una pura leggenda che, qualche tempo dopo la Battaglia del Chiuso
delle Vacche, lo stesso Palla di Neve aveva sparso. Lungi dall'essere decorato,
era stato censurato per essersi mostrato vile in battaglia. Ancora una volta gli
animali udirono queste, con un certo stupore; ma Clarinetto riuscì presto, a
convincerli che la memoria li tradiva. In autunno, con uno sforzo tremendo ed
estenuante - é la mietitura doveva venir compiuta quasi nel medesimo tempo - il
mulino fu finito. Doveva ancora venire installato il macchinario, e Whymper ne
stava trattando l'acquisto, ma la struttura era completa. Ad onta di ogni
difficoltà, nonostante l'inesperienza, i mezzi primitivi, la sfortuna e il
tradimento di Palla di Neve, il lavoro era stato finito puntualmente nel giorno
fissato! Stanchi, ma fieri, gli animali facevano il giro del loro capolavoro che
appariva ai loro occhi più bello di quanto non lo fosse stato la prima volta.
Nulla, fuoré un'esplosione, avrebbe potuto abbatterlo ora! E quando pensavano a
tutto il lavoro che avevano fatto, agli scoraggiamenti che avevano dovuto
superare, a quanto diversa sarebbe stata la loro vita quando le pale avessero
girato e la dinamo funzionato, quando pensavano a tutto questo la stanchezza li
abbandonava ed essi correvano saltando torno torno al mulino e gettando grida di
trionfo. Lo stesso Napoleon, scortato dai suoi cani e dal gallo, venne a
ispezionare l'opera finita; personalmente si congratulò con gli animali per il
loro successo e annunciò che il mulino sarebbe stato chiamato "Mulino Napoleon".
Due giorni dopo gli animali furono chiamati per uno speciale raduno nel granaio.
Ammutolirono per la sorpresa quando Napoleon annunciò loro di aver venduto la
partita di tronchi a d'albero a Frederick. L'indomani sarebbero venuti i carri
di Frederick a ritirarli. Durante tutto il periodo della sua simulata amicizia
per Pilkington, Napoleon era stato in realtà in segrete trattative con Frederick.
Tutte le relazioni con Foxwood erano state rotte; furono inviati a Pilkington
messaggi insultanti. I piccioni avevano avuto ordine di evitare la fattoria
Pinchfield e di mutare il loro detto "Morte a Frederick" in quello di "Morte a
Pilkington". Nello stesso tempo Napoleon assicurava gli animali che la storia
dell'imminente attacco alla loro fattoria era del tutto falsa e che il racconto
delle crudeltà di Frederick verso i propri animali era stato grandemente
esagerato. Tutte queste voci erano probabilmente state messe in giro da Palla di
Neve e dai suoi agenti. Era ora evidente che, dopo tutto, Palla di Neve non era
nascosto nella Fattoria Pinchfield e, infatti, non vi era mai stato in vita sua:
viveva - e abbastanza lussuosamente, si diceva - a Foxwood e, in realtà, era
stato a pensione da Pilkington durante gli anni precedenti.
I maiali si estasiavano alla furberia di Napoleon. Fingendo amicizia per
Pilkington, aveva obbligato Frederick ad alzare il prezzo a dodici sterline. Ma
la mente superiore di Napoleon, disse Clarinetto, si rivelava nel fatto che egli
non si era fidato di nessuno, neppure di Frederick. Frederick voleva pagare i
tronchi con qualcosa chiamato "chèque", che pareva essere un pezzo di carta con
sopra scritta la promessa di pagare. Ma Napoleon era troppo intelligente per
lasciarsi imbrogliare in simile maniera Egli aveva chiesto il pagamento in veri
biglietti da cinque sterline che dovevano essere consegnati prima che i tronchi
fossero mossi. Frederick aveva già pagato; e la somma versata bastava appunto
all'acquisto del macchinario per il mulino.
Frattanto i tronchi erano stati caricati e portati via in gran fretta. Usciti
che furono i carri, gli animali furono chiamati a riunione nel granaio é
vedessero le banconote di Frederick. Sorridendo beatamente, decorato delle sue
due medaglie, Napoleon riposava su un letto di paglia, con accanto il denaro
elegantemente deposto su un piatto di porcellana proveniente dalla cucina della
casa colonica. Gli animali sfilarono lentamente, ognuno ammirando a suo agio. E
Gondrano allungò il naso per odorare le banconote, e i bianchi biglietti di
banca fremettero e frusciarono al suo alito.
Tre giorni dopo successe un diavolio. Whymper, mortalmente pallido, giunse
correndo sulla sua bicicletta, la lanciò a terra nel cortile e si precipitò
nella casa colonica. Un istante dopo un soffocato grugnito di rabbia risuonò
dagli appartamenti di Napoleon. La notizia corse per la fattoria con la rapidità
di un incendio: le banconote erano false! Frederick aveva acquistato i tronchi
per niente!
Napoleon chiamò immediatamente gli animali a raccolta e con voce terribile
pronunciò sentenza di morte su Frederick. Una volta catturato, disse, Frederick
sarebbe stato lessato vivo. Nello stesso tempo avvisò che dopo questo tradimento
c'era da aspettarsi il peggio. Frederick e i suoi uomini potevano sferrare ad
ogni momento il loro attacco da lungo tempo atteso. Furono poste sentinelle in
tutti i punti di accesso alla fattoria. Inoltre furono inviati quattro piccioni
a Foxwood con messaggi amichevoli che si sperava potessero ristabilire buone
relazioni con Pilkington. L'attacco venne proprio la mattina seguente. Gli
animali stavano facendo la loro prima colazione quando le sentinelle giunsero
correndo con la notizia che Frederick e i suoi seguaci avevano già varcato il
grande cancello. Con sufficiente baldanza, gli animali si slanciarono loro
incontro; ma questa volta non ebbero la facile vittoria ottenuta nella Battaglia
del Chiuso delle Vacche. Vi erano quindici uomini, con una mezza dozzina di
fucili fra tutti, e, alla distanza di cinquanta iarde, aprirono il fuoco. Gli
animali non poterono sostenere i terribili scoppi e le laceranti pallottole e,
nonostante gli sforzi di Napoleon e di Gondrano per mantenere l'ordine, furono
presto respinti. Molti fra essi erano già feriti. Si rifugiarono nei fabbricati
della fattoria e lì spiarono cautamente dalle fessure e dai fori. Tutto il
grande pascolo, compreso il mulino, era in mano al nemico. Napoleon non sapeva
che decisione prendere. Camminava su e giù senza dir parola; la coda si agitava,
rigida. Sguardi ardenti di desiderio andavano in direzione di Foxwood. Se
Pilkington e i suoi uomini fossero venuti in loro aiuto, la giornata poteva
finire vittoriosa. Ma in quel momento i quattro piccioni mandati prima in
missione fecero ritorno, e uno di essi portava un biglietto di Pilkington. Vi
era scritto: "Ben vi sta".
Intanto Frederick e i suoi uomini si erano fermati presso il mulino. Gli animali
li osservavano e un mormorio di costernazione corse tutto all'intorno. Due
uomini avevano portato una barra di ferro e un grosso martello. Stavano per
demolire il mulino.
«Impossibile!» gridò Napoleon. «Abbiamo costruito muri troppo spessi é possano
farlo. Non lo potrebbero abbattere in una settimana. Coraggio, compagni!»
Ma Benjamin stava osservando attentamente i movimenti degli uomini. I due, col
martello e la barra, stavano scavando un foro presso la base del mulino.
Lentamente, e quasi con l'aria di divertirsi, Benjamin tentennò il suo lungo
muso.
«Lo pensavo» disse. «Non vedete che cosa stanno facendo? Fra poco riempiranno il
foro di polvere esplosiva.»
Atterriti, gli animali attesero. Era impossibile ora avventurarsi fuori dal
rifugio. Dopo qualche istante, si videro gli uomini correre in tutte le
direzioni. Poi vi fu un rombo assordante. I piccioni rotearono nell'aria, e
tutti gli animali, salvo Napoleon, si gettarono ventre a terra e nascosero il
muso. Quando si rialzarono, una enorme nube di fumo nero ondeggiava sospesa
dov'era stato il mulino. Lentamente la brezza la dissipò. Il mulino aveva
cessato di esistere!
A quella vista il coraggio rinacque negli animali. La paura e la disperazione
che avevano sentito un momento prima furono sommerse dall'ira contro questo atto
vile e spregevole. Si levò un possente grido di vendetta e, senza aspettare
ordini, caricarono in massa, lanciandosi sul nemico. Questa volta non si
curavano delle palle crudeli che grandinavano su di loro una battaglia selvaggia
e feroce. Gli uomini sparavano senza tregua, e quando gli animali si dicevano
troppo sotto, li pestavano coi bastoni e con i pesanti stivali. Una mucca, tre
pecore e due oche erano cadute uccise; quasi tutti erano feriti. Anche Napoleon,
che dalle retrovie dirigeva le operazioni, aveva avuto la punta della coda
mozzata da una palla. Ma anche gli uomini non ne uscirono immuni. Tre di essi
avevano la testa rotta da colpi di zoccolo di Gondrano; un altro aveva il ventre
forato dal corno di una mucca; un altro ancora aveva i calzoni a brandelli per
opera di Jessie e di Lilla. E quando i nove cani della guardia del corpo di
Napoleon, ai quali questi aveva dato istruzione di avanzare nascostamente sotto
la protezione delle siepi, fecero irruzione al fianco degli uomini, latrando
ferocemente, il panico li sopraffece. Videro il pericolo di essere circondati.
Frederick gridò ai suoi di fuggire mentre erano ancora in tempo, e l'istante
dopo il codardo nemico correva per aver salva la vita. Gli animali li
inseguirono fino al limite del campo e riuscirono a somministrar loro qualche
calcio ancora mentre forzavano il passaggio attraverso la siepe spinosa.
Avevano vinto, ma erano spossati e sanguinanti. Lentamente si avviarono
zoppicando verso la fattoria. La vista dei compagni morti, stesi sull'erba,
mosse alcuni alle lacrime. E per qualche istante sostarono in doloroso silenzio
là dove una volta sorgeva il mulino. Sì, non c'era più; fin quasi l'ultimo segno
della loro fatica era sparito! Perfino le fondamenta erano in parte distrutte. E
per rifabbricarlo non si poteva questa volta, come prima, far uso delle pietre
crollate. Questa volta anche le pietre erano svanite. La forza dell'esplosione
le aveva lanciate a centinaia di iarde di distanza. Era come se il mulino non
fosse mai esistito.
Mentre si avvicinavano alla fattoria, Clarinetto, che in modo inesplicabile era
stato assente durante il combattimento, venne loro incontro: saltellando,
dimenando la coda, raggiante di soddisfazione. E gli animali udirono in
direzione dei fabbricati della fattoria il solenne rombo, del fucile.
«é si spara il fucile?» domandò Gondrano.
«Per celebrare la vittoria!» gridò Clarinetto.
«Quale vittoria?» insistette Gondrano.
Le sue ginocchia sanguinavano, aveva perduto un ferro, si era spaccato uno
zoccolo e una dozzina di pallottole gli si erano conficcate nelle gambe
posteriori.
«Quale vittoria, compagno? Non abbiamo scacciato il nemico dal nostro suolo, il
sacro suolo della Fattoria degli Animali?»
«Ma loro ci hanno distrutto il mulino. E vi avevamo lavorato due anni!»
«Che importa? Costruiremo un altro mulino! Costruiremo sei mulini, se ne avremo
voglia. Non apprezzate, compagni, le magnifiche gesta che abbiamo compiuto? Il
nemico occupava questo terreno su cui ora siamo. E adesso - grazie alla guida
del compagno Napoleon - ne abbiamo riconquistato ogni palmo.»
«Allora abbiamo conquistato quello che avevamo prima» disse Gondrano.
«Questa è la nostra vittoria» replicò Clarinetto. Zoppicando entrarono nel
cortile. Le pallottole sotto la pelle della gamba di Gondrano provocavano un
acuto dolore. Egli vide davanti a é la dura fatica di ricostruire il mulino
dalle fondamenta, e già con l'immaginazione tendeva le sue forze all'opera. Ma
per la prima volta gli venne in mente che aveva undici anni e che forse i suoi
potenti muscoli non erano più quelli che erano stati un tempo.
Quando però gli animali videro sventolare la bandiera verde e sentirono ancora
il rombo del fucile - sette colpi vennero sparati - e udirono il discorso di
Napoleon che si congratulava della loro condotta, sembrò loro di aver
conseguito, dopo tutto, una grande vittoria. Agli animali caduti in battaglia
furono resi solenni funerali. Gondrano e Berta tiravano il carro che serviva da
carro funebre, e Napoleon stesso camminava in testa alla processione. Due interi
giorni furono dedicati alla celebrazione. Vi furono canti, discorsi e altri
spari del fucile, e, quale dono particolare, ogni animale ricevette una mela,
ogni uccello un'oncia di grano e ai cani vennero dati tre biscotti per ciascuno.
Fu annunciato che la battaglia sarebbe stata chiamata "la Battaglia del Mulino"
e che Napoleon aveva creato una nuova decorazione, l'"Ordine della Bandiera
Verde", che aveva conferito a se stesso. Nella generale allegrezza lo sfortunato
affare delle banconote venne dimenticato.
Qualche giorno dopo questi avvenimenti, i maiali rinvennero nella cantina della
casa colonica una cassa di whisky che era sfuggita quando la casa era stata
occupata. Quella notte si udirono dall'edificio principale alti canti fra i
quali, con grande sorpresa di tutti, erano pure intercalate le strofe di Animali
d'Inghilterra. Verso le nove e mezzo Napoleon, con in testa un vecchio cappello
di feltro del signor Jones, fu visto distintamente precipitarsi fuori dalla
porta posteriore, fare un giro al galoppo attorno alla corte e sparire ancora
nell'interno. Ma, al mattino, un profondo silenzio regnava nella casa colonica.
Non si sentiva muovere un maiale. Erano quasi le nove quando Clarinetto
comparve, camminando lentamente e stancamente, l'occhio spento, la coda fra le
gambe, e con tutta l'apparenza di essere seriamente ammalato. Chiamò gli animali
a raccolta e disse loro che aveva una terribile notizia da comunicare: il
compagno Napoleon era morente!
Si alzò un grido di dolore. Fu distesa della paglia fuori dalla porta della casa
colonica e gli animali vi camminavano sopra in punta di piedi. Con le lacrime
agli occhi si chiedevano l'un l'altro che cosa avrebbero fatto se il loro Capo
fosse stato loro rapito. Corse voce che Palla di Neve era riuscito a mettere del
veleno nei cibi di Napoleon. Alle undici Clarinetto uscì per dare un altro
annuncio. Come suo ultimo atto sulla terra il compagno Napoleon aveva promulgato
un solenne decreto: chi beveva alcolici doveva essere punito con la morte.
Alla sera, tuttavia, Napoleon parve stare un po' meglio e al mattino seguente
poté comunicare agli animali che stava bene ed era in via di guarigione. La sera
dello stesso giorno Napoleon era tornato al lavoro e l'indomani si apprese che
aveva dato istruzioni a Whymper per l'acquisto a Willingdon di alcuni opuscoli
sul modo di fabbricare la birra e di distillare. Una settimana più tardi
Napoleon diede ordine che il piccolo recinto oltre il frutteto, che era prima
destinato a pascolo per gli animali che l'età aveva reso inabili al lavoro,
fosse arato. Fu detto che il pascolo era esausto e aveva bisogno di nuova
semina, ma si seppe ben presto che Napoleon intendeva coltivarlo a orzo.
Circa a quell'epoca avvenne uno strano incidente che quasi nessuno riuscì a
capire. Una notte, verso la mezza, si udì nel cortile un gran frastuono e gli
animali si affrettarono fuori dalle loro stalle. Era una notte di luna. Ai piedi
del muro in fondo al grande granaio dov'erano scritti i Sette Comandamenti
giaceva una scala a pioli rotta in due pezzi .
Clarinetto, tutto stordito, si contorceva accanto ad essa e, a portata di mano,
erano una lanterna, un pennello e un barattolo di pittura bianca rovesciato.
Subito i cani fecero circolo attorno a Clarinetto e lo scortarono alla casa
colonica non appena fu in grado di camminare. Nessuno degli animali poté farsi
un'idea di quello che ciò significasse, meno il vecchio Benjamin che scosse il
muso con aria di saperla lunga, e sembrò capire, sebbene non dicesse nulla.
Ma alcuni giorni dopo Muriel leggendo per proprio conto i Sette Comandamenti,
notò che ve n'era ancora uno che gli animali non ricordavano esattamente.
Avevano sempre creduto che il quinto comandamento dicesse "Nessun animale berrà
alcolici". Ma vi erano due parole che essi avevano dimenticato. In realtà il
comandamento diceva: "Nessun animale berrà alcolici in eccesso".
Capitolo IX
La spaccatura allo zoccolo di Gondrano fu lunga a guarire. Avevano
cominciato a riedificare il mulino il giorno seguente alla chiusura delle
celebrazioni della vittoria. Gondrano rifiutò di prendersi sia pure un giorno di
riposo e si fece un punto d'onore di non far scorgere la sua sofferenza. La sera
diceva in confidenza a Berta che lo zoccolo gli dava molto fastidio. Berta
curava la ferita con impiastri di erbe che essa preparava masticando, e tanto
lei quanto Benjamin esortavano Gondrano a lavorar meno. «I polmoni di un cavallo
non sono eterni» gli diceva Berta. Ma Gondrano non dava ascolto. Aveva ancora
un'unica ambizione, diceva: vedere il mulino a buon punto prima di raggiungere i
limiti d'età.
Da principio, quando le leggi della Fattoria degli Animali erano state
formulate, i limiti d'età per i cavalli e i maiali erano stati fissati a dodici
anni, quattordici per le mucche, nove per i cani, sette per le pecore e cinque
per le galline e le oche. Si erano pure approvate larghe pensioni per la
vecchiaia.
Nessun animale era fin allora andato in pensione, ma negli ultimi tempi
l'argomento era stato ancora assai discusso. Ora che il piccolo campo oltre il
frutteto era stato messo a orzo, si diceva che un angolo del grande pascolo
sarebbe stato chiuso da un recinto e destinato agli animali anziani. Per un
cavallo, si diceva, la pensione sarebbe stata di cinque libbre di grano al
giorno, e, in inverno, di quindici libbre di fieno con una carota o, forse, una
mela nei giorni di festa pubblica. I dodici anni di Gondrano cadevano alla fine
dell'estate dell'anno seguente.
Intanto la vita era dura. L'inverno era rigido quanto lo era stato quello
precedente, e i viveri erano anche più scarsi. Ancora una volta vennero ridotte
tutte le razioni, eccetto quelle dei maiali e dei cani. Una eguaglianza di
razioni troppo rigida, spiegava Clarinetto, sarebbe stata contraria ai principi
dell'Animalismo. In ogni caso egli non aveva difficoltà a dimostrare agli altri
animali che, nonostante l'apparenza, in realtà essi non soffrivano di scarsità
di cibo. Per il momento, certo, s'era trovato necessario venire a un nuovo
razionamento (Clarinetto parlava sempre di "razionamento", mai di "riduzione"),
ma in confronto ai tempi di Jones si stava enormemente meglio. Leggendo le cifre
con voce rapida e acuta, dimostrava loro minutamente che avevano più avena, più
fieno, più rape che non ai tempi di Jones, che lavoravano un minor numero di
ore, che bevevano acqua di miglior qualità, che vivevano più a lungo, che c'era
un'assai minore mortalità infantile, che avevano più paglia per il loro letto e
soffrivano meno per le pulci. Gli animali credevano a ogni parola. A dire il
vero, Jones e tutto quanto lo riguardava era quasi del tutto scomparso dalla
loro memoria. Sapevano che la loro vita presente era aspra e misera, che spesso
avevano fame e freddo e che quando non dormivano erano sempre al lavoro. Ma,
senza dubbio, doveva essere stato peggio nei tempi andati. Erano lieti di
credere così. Inoltre, allora erano schiavi e ora erano liberi, e qui stava
tutta la differenza, come Clarinetto non mancava mai di rilevare.
Ora vi erano molte più bocche da nutrire. In autunno le quattro scrofe avevano
partorito simultaneamente, dando alla luce, fra tutte, trentun porcellini. I
porcellini erano pezzati, e poié Napoleon era l'unico verro della fattoria, era
facile intuirne la paternità. Fu annunciato che in seguito, quando si fossero
acquistati mattoni e legname, si sarebbe costruita una scuola nel giardino della
casa colonica. Intanto i maialetti ricevevano la loro istruzione dallo stesso
Napoleon nella cucina della casa. Si esercitavano in giardino, ed erano dissuasi
dal giocare con gli altri giovani animali. Circa in quest'epoca fu imposta anche
la regola che quando un maiale e qualunque altro animale si incontravano per
via, l'altro animale doveva farsi da parte: e anche che tutti i maiali di
qualsiasi grado dovevano avere il privilegio di portare la domenica un nastro
verde sulla coda. La fattoria aveva avuto un'annata discreta ma vi era sempre
scarsità di danaro. Bisognava comprare mattoni, sabbia, calce per la scuola e
sarebbe stato necessario fare altri risparmi per l'acquisto del macchinario per
il mulino. Poi occorreva olio da lampada e candele per la casa, zucchero per la
mensa privata di Napoleon (lo proibiva agli altri animali é lo zucchero li
avrebbe fatti ingrassare), oltre ai soliti rifornimenti di utensili, chiodi,
corda, carbone, filo di ferro, rottami di metallo e biscotti per i cani. Un
covone di fieno e una parte del raccolto di patate vennero venduti e il
contratto per le uova venne aumentato a seicento la settimana, così che per
quell'anno le galline deposero uova in numero appena sufficiente a mantenere il
livello. Le razioni, ridotte in dicembre, vennero ulteriormente ridotte in
febbraio e furono vietate le lanterne nelle stalle per risparmiare olio. Ma i
maiali parevano passarsela abbastanza bene e infatti ingrassavano. Un giorno,
sulla fine di febbraio, un profumo caldo, squisito, appetitoso, quale gli
animali non avevano mai prima sentito, si sparse per il cortile dalla piccola
birreria che dal tempo di Jones era caduta in disuso e che era situata dietro la
cucina. Qualcuno disse che era odore di orzo cotto. Gli animali fiutarono l'aria
con espressione affamata e si chiesero se la calda mistura si stesse preparando
per la loro cena. Ma non comparve alcuna calda mistura e la domenica seguente
venne annunciato che l'orzo sarebbe stato riservato ai soli maiali. Il campo
oltre il frutteto era già stato seminato a orzo. E presto serpeggiò la notizia
che ogni maiale riceveva ora quotidianamente una pinta di birra; e Napoleon
invece mezzo gallone che gli veniva servito nella zuppiera Crown Derby.
Ma le privazioni che si dovevano sopportare erano in parte compensate dal fatto
che la vita aveva ora un'assai maggior dignità di prima. Vi erano più canti, più
discorsi, più parate. Napoleon aveva comandato che una volta la settimana fosse
tenuta una cosiddetta "Dimostrazione Spontanea" il cui scopo era di celebrare le
lotte e i trionfi della Fattoria degli Animali. All'ora stabilita, gli animali
dovevano lasciare il lavoro e fare un giro a passo di marcia attorno alla
fattoria in formazione militare; in testa venivano i maiali a cui seguivano i
cavalli, poi le mucche, poi le pecore e ultimo il pollame. I cani
fiancheggiavano lo schieramento e in testa a tutti marciava il gallo nero di
Napoleon. Gondrano e Berta sorreggevano una bandiera verde con lo zoccolo, il
corno e la scritta "Viva il compagno Napoleon". Seguivano declamazioni di
poesie, composte in onore di Napoleon e discorsi di Clarinetto, che davano
particolari sugli ultimi aumenti della produzione dei viveri, e in certe
circostanze veniva sparato un colpo di fucile. Le pecore erano le più entusiaste
partecipanti alle Dimostrazioni Spontanee, e se qualcuno si lamentava (come
qualche animale faceva quando non vi erano vicini né maiali né cani) di perdere
il proprio tempo e di stare esposto al freddo per nulla, era certo che le pecore
lo riducevano al silenzio col loro tremendo belato: «Quattro gambe, buono; due
gambe, cattivo!». Ma nel complesso gli animali godevano di queste celebrazioni.
Trovavano consolante che venisse loro ricordato che, dopo tutto, erano veramente
padroni di se stessi e che il lavoro che facevano era a proprio beneficio. Così,
coi canti, i cortei, le cifre di Clarinetto, il rombo del fucile, le note
squillanti del gallo, lo sventolio della bandiera, finivano col dimenticare,
almeno per qualche tempo, che il loro ventre era vuoto.
In aprile la Fattoria degli Animali venne proclamata Repubblica e fu necessario
eleggere un presidente. Vi era un solo candidato, Napoleon, che fu eletto
all'unanimità. Lo stesso giorno si seppe che erano stati scoperti altri
documenti che svelavano nuovi particolari sulla complicità di Palla di Neve con
Jones. Appariva ora che Palla di Neve non solo aveva tentato di far perdere con
stratagemmi la Battaglia del Chiuso delle Vacche, come gli animali avevano fino
allora creduto, ma che apertamente egli aveva combattuto a fianco di Jones. Era
lui infatti che in realtà aveva capeggiato le forze umane e caricato in
battaglia al grido di «Viva l'Umanità!»; le ferite sul dorso di Palla di Neve,
che ormai pochi animali ricordavano di aver visto, erano state inflitte dai
denti di Napoleon.
A mezza estate Mosè, il corvo, riapparve improvvisamente alla fattoria dopo
un'assenza di parecchi anni. Non era affatto mutato, continuava a non lavorare e
con lo stesso entusiasmo parlava, come sempre, del Monte Zuccherocandito. Si
appollaiava su un ceppo d'albero, batteva le ali e parlava per ore a chiunque lo
volesse ascoltare. «Lassù, compagni» diceva solennemente, puntando verso il
cielo il suo grosso becco «lassù, proprio al di là di quella nuvola nera che
vedete, là sta il Monte Zuccherocandito, quel felice paese dove i poveri animali
riposano per sempre delle loro fatiche!» Pretendeva anche di esservi stato in
uno dei suoi alti voli e di aver visto gli eterni campi di trifoglio e le torte
di seme di lino e le zollette di zucchero che crescevano sulle siepi. Molti
animali gli prestavano fede. La loro vita, ora, argomentavano, era fame e
fatica: non era giusto e irragionevole che un mondo migliore dovesse esistere in
qualche altro luogo? Una cosa difficile da definire era l'atteggiamento dei
maiali verso Mosè. Essi dichiaravano sprezzantemente che le sue storie sul Monte
Zuccherocandito, erano tutte menzogne; pure gli permettevano di rimanere nella
fattoria, di non lavorare, e gli concedevano un bicchiere di birra al giorno.
Quando lo zoccolo fu guarito, Gondrano riprese a lavorare più che mai. Veramente
quell'anno gli animali faticavano come schiavi. Oltre l'andamento regolare della
fattoria e la ricostruzione del mulino, vi era la scuola per i maialetti che fu
iniziata in marzo. Talvolta, col cibo insufficiente, le lunghe ore di lavoro
erano dure da sopportare. Ma Gondrano non esitò mai. In nulla che facesse o
dicesse vi era segno che la sua forza non fosse qual era sempre stata. Solo il
suo aspetto era un poco mutato: il suo mantello non era più così lucente e i
suoi grandi fianchi sembravano essersi contratti. Gli altri dicevano: «Gondrano
si rimetterà quando a primavera spunterà l'erba»; ma venne la primavera e
Gondrano non ingrassò affatto. Talvolta sul pendio che conduceva in cima alla
cava, quando tendeva i muscoli al peso di un gran masso, pareva che nulla lo
tenesse in piedi se non la volontà di andare avanti. Allora si vedevano le sue
labbra formare le parole: «Lavorerò di più»; non gli restava più voce. Ancora
una volta Berta e Benjamin lo esortarono ad aver cura della sua salute, ma
Gondrano non dava ascolto. Il suo dodicesimo compleanno si avvicinava. Non gli
importava di qualunque cosa accadesse, puré una buona riserva di pietre fosse
accumulata presso il mulino. In una tarda sera d'estate un'improvvisa voce che
qualcosa era accaduto a Gondrano corse per la fattoria. Era andato da solo a
trascinare un carico di pietre al mulino. E purtroppo la voce era vera. Pochi
istanti dopo due piccioni vennero in rapido volo con la notizia: «Gondrano è
caduto! E' sdraiato sul fianco e non riesce a rialzarsi!».
Mezza fattoria corse all'altura ove sorgeva il mulino. Là giaceva Gondrano tra
le stanghe del carro, il collo allungato, incapace persino di sollevare la
testa. L'occhio era vitreo e i fianchi coperti di sudore. Un sottile filo di
sangue gli colava dalla bocca. Berta gli si inginocchiò accanto.
«Gondrano» gridò «come stai?»
«Sono i polmoni» disse Gondrano con voce flebile.
«Non importa. Credo che potrete finire il mulino senza di me. Vi è una buona
scorta di pietre in riserva. In ogni caso, avevo solo un mese davanti a me. A
dire il vero, aspettavo con grande desiderio il momento del mio ritiro. E forse,
poié anche Benjamin sta diventando vecchio, gli permetteranno di ritirarsi con
me e tenermi compagnia.»
«Bisogna cercar subito aiuto» disse Berta «Che qualcuno corra ad avvertire
Clarinetto di quanto è successo.»
Tutti gli altri animali corsero immediatamente alla casa colonica per dare a
Clarinetto la notizia. Solo Berta rimase, e Benjamin, che si coricò a fianco di
Gondrano e, senza parlare, gli allontanava le mosche con la lunga coda. Dopo
circa un quarto d'ora Clarinetto apparve, pieno di simpatia e di sollecitudine.
Egli disse che il compagno Napoleon aveva appreso col più profondo dolore la
disgrazia toccata a uno dei più leali lavoratori della fattoria e che stava già
combinando di mandare Gondrano in cura nell'ospedale di Willingdon. A questa
notizia un senso di inquietudine invase gli animali. Salvo Mollie e Palla di
Neve, nessun animale aveva mai lasciato la fattoria e il pensiero del loro
compagno ammalato nelle mani di esseri umani li turbava. Ma Clarinetto presto li
convinse che il chirurgo veterinario di Willingdon avrebbe potuto curare
Gondrano assai meglio di quanto non era possibile fare alla fattoria. E mezz'ora
dopo, quando si era un poco ripreso, Gondrano fu fatto alzare in piedi e
accompagnato alla stalla ove Berta e Benjamin gli avevano preparato un buon
letto di paglia. Durante i due giorni successivi Gondrano rimase nella stalla. I
maiali gli avevano mandato una grande bottiglia di una medicina rosa che avevano
trovato nell'armadietto farmaceutico della stanza da bagno, e Berta gliela
somministrava due volte al giorno, dopo i pasti. Laser si stendeva vicino a lui
e gli parlava, mentre Benjamin teneva lontane le mosche. Gondrano diceva di non
essere spiacente di quanto era avvenuto. Se guariva bene poteva sperare di
vivere altri tre anni e già pregustava i giorni tranquilli che avrebbe passato
nell'angolo del gran pascolo. Sarebbe stata la prima volta che avrebbe avuto
tempo per studiare e migliorare la propria mente. Era sua intenzione, diceva,
dedicare il resto della vita a imparare le rimanenti ventidue lettere
dell'alfabeto.
Tuttavia Benjamin e Berta potevano rimanere con lui solo dopo l'orario di
lavoro, e fu a metà del giorno che venne il furgone a portarlo via. Gli animali
erano tutti al lavoro, intenti a sarchiare le rape sotto la sorveglianza dei
maiali, quando con stupore videro Benjamin venire di galoppo dalla direzione dei
fabbricati ragliando con quanta voce aveva. Era la prima volta che vedevano
Benjamin eccitato, la prima volta che lo vedevano galoppare. «Presto, presto!»
gridava. «Venite subito! Stanno portando via Gondrano!» Senza aspettare ordini
dal porco, gli animali interruppero il lavoro e si precipitarono verso i
fabbricati. Nel cortile sostava un gran furgone chiuso, tirato da due cavalli un
furgone con iscrizioni sui fianchi e un uomo dall'aria astuta, con in testa un
berretto a visiera, seduto a cassetta. E il posto di Gondrano nella stalla era
vuoto.
Gli animali si affollarono attorno al furgone. «Addio, Gondrano!» gridarono in
coro. «Addio!»
«Pazzi, pazzi!» urlò Benjamin saltando attorno a loro e battendo la terra con
gli zoccoli. «Pazzi! Non vedete che cosa c'è scritto sui fianchi del furgone?»
Gli animali sostarono e vi fu un mormorio. Muriel cominciò a compitare le
parole, ma Benjamin la spinse da parte e fra un silenzio mortale lesse: «"Alfred
Simmons, Macelleria Equina e Fabbrica di Colla, Willingdon. Negoziante di cuoio
e d'ossa. Forniture per canili". Capite ciò che significa questo? Portano
Gondrano al macello!».
Un grido d'orrore uscì dal petto di tutti gli animali. In quel momento l'uomo a
cassetta frustò i suoi cavalli e il furgone uscì dal cortile a buon trotto.
Tutti gli animali lo seguirono gridando a gran voce. Berta forzò l'andatura per
portarsi innanzi. Il furgone acquistava velocità. Berta tentò di muovere al
galoppo le sue pesanti membra. «Gondrano!» gridò. «Gondrano! Gondrano! Gondrano!»
e proprio in quel momento, come se sentisse il frastuono esterno, il muso di
Gondrano, con la striscia bianca che gli scendeva lungo il naso, apparve alla
finestrella sul retro del furgone.
«Gondrano!» gridò Berta con voce terribile. «Gondrano, scendi! Scendi presto! Ti
portano alla morte!» Tutti gli animali raccolsero il grido: «Scendi, Gondrano,
scendi!». Ma il furgone andava sempre più veloce, portandolo via con é. Non era
certo che Gondrano avesse capito ciò che aveva detto Berta. Ma poco dopo il suo
muso disparve dalla finestrella e il rumore di un tremendo scalpitare si udì
nell'interno del furgone. Cercava a calci una via d'uscita. C'era stato un tempo
in cui pochi colpi di zoccolo di Gondrano avrebbero fatto a pezzi il furgone.
Ma, ahimè!, la forza lo aveva abbandonato e in pochi istanti i colpi si fecero
più deboli finé cessarono del tutto. Disperati, gli animali volsero le loro
invocazioni ai due cavalli che tiravano il furgone, pregandoli di fermarsi.
«Compagni, compagni!» gridavano. «Non conducete a morte vostro fratello!» Ma
quegli stupidi bruti, troppo ignoranti per rendersi conto di quel che stava
accadendo, non fecero che scuotere le orecchie e accelerare il passo. Troppo
tardi venne a qualcuno il pensiero di correre avanti e chiudere il grande
cancello; un istante dopo il furgone lo varcava e rapidamente spariva sulla
strada. Gondrano non fu visto mai più. Tre giorni dopo venne annunciato che egli
era morto nell'ospedale di Willingdon, a dispetto di tutte le cure che si
possono prestare a un cavallo. Fu Clarinetto che venne a partecipare agli altri
la notizia. Egli, disse, era stato presente alle ultime ore di Gondrano.
«Fu la cosa più commovente che abbia mai visto!» disse Clarinetto, sollevando la
zampa e asciugandosi una lacrima. «Fino all'ultimo istante sono stato vicino al
suo letto; all'ultimo, quasi troppo debole per parlare, egli bisbigliò al mio
orecchio che il suo solo dispiacere era di morire prima che il mulino fosse
ultimato. "Avanti, compagni!" sussurrò. "Avanti nel nome della Rivoluzione! Viva
la Fattoria degli Animali! Viva il compagno Napoleon! Napoleon ha sempre
ragione!" Furono le sue ultime parole, compagni.»
Qui il contegno di Clarinetto mutò ad un tratto. Tacque per qualche istante, e i
suoi piccoli occhi lanciarono sguardi sospettosi da un lato all'altro prima di
proseguire.
Aveva saputo, disse, che una voce tanto sciocca quanto malvagia era corsa al
momento del trasporto di Gondrano. Alcuni animali avevano notato che il furgone
che trasportava Gondrano portava la scritta "Macelleria Equina", e ne avevano
subito concluso che Gondrano era stato mandato al macello. Era quasi
incredibile, disse Clarinetto, che ci potessero essere animali tanto stolti.
Certo, gridò sdegnato, dimenando la coda e saltellando qua e là, certo essi
conoscevano il loro beneamato Capo, il compagno Napoleon. Ma la spiegazione era
semplicissima: il furgone era stato un tempo di proprietà di un macellaio ed era
stato comperato poi dal veterinario che non aveva ancora provveduto a cancellare
la vecchia iscrizione.
Ecco com'era sorto l'errore.
Gli animali a questa spiegazione provarono un grande sollievo. E quando
Clarinetto proseguì a dare i minuti particolari del letto di morte di Gondrano,
delle amorevoli cure che aveva ricevuto e delle costosissime medicine che
Napoleon aveva pagato senza badare a spese, i loro ultimi dubbi sparirono e il
dolore che provavano per la morte del loro compagno fu mitigato dal pensiero che
almeno era morto felice.
Napoleon stesso partecipò alla riunione della domenica seguente e pronunciò una
breve orazione in onore di Gondrano. Non era stato possibile, disse, riportare i
resti del loro compianto compagno é trovassero sepoltura nella fattoria, ma egli
aveva ordinato una grande corona composta con le foglie della pianta di alloro
del suo giardino, da deporre sulla tomba dello scomparso. Pochi giorni dopo era
intenzione dei maiali tenere un grande banchetto funebre in onore del defunto.
Napoleon terminò il suo discorso ricordando le due massime favorite da Gondrano:
"Lavorerò di più" e: "Il compagno Napoleon ha sempre ragione!", massime, egli
disse, che ogni animale avrebbe dovuto adottare come proprie.
Nel giorno stabilito per il banchetto un furgone da droghiere venne da
Willingdon alla fattoria a consegnare una grande cassa. Quella notte si udirono
fragorosi canti, seguiti da un frastuono come di violento litigio che termino
verso le undici con un tremendo frantumar di vetri. Nessuno si mosse nella casa
colonica prima del mezzogiorno dell'indomani, e corse voce che, non si sa come,
i porci avevano guadagnato danaro bastante all'acquisto di un'altra cassa di
whisky.
Capitolo X
Gli anni passarono. Le stagioni si susseguivano, fuggiva la breve
vita degli animali. Venne il tempo in cui più nessuno ricordava gli antichi
giorni prima della Rivoluzione, eccetto Berta, Benjamin, Mosè il corvo e alcuni
maiali.
Muriel era morta, Lilla, Jessie e Morsetto erano morti. Anche Jones era morto,
morto in una casa di alcolizzati in un'altra parte della contea. Berta era ora
una vecchia e grossa cavalla dalle giunture indurite e con tendenza a
un'infiammazione agli occhi. Da due anni aveva passato i limiti d'età, ma in
realtà nessun animale era stato messo a riposo. La questione di riservare un
angolo del gran pascolo agli inabili al lavoro da lungo tempo era stata lasciata
cadere. Napoleon era ora un vecchio verro di un quintale e mezzo. Clarinetto era
tanto grasso che a stento i suoi occhi trovavano uno spiraglio per vedere. Solo
il vecchio Benjamin era sempre lo stesso, un poco più grigio forse attorno al
muso e, dalla morte di Gondrano, sempre più triste e taciturno.
Nuovi esseri popolavano ora la fattoria, bené l'aumento non fosse quale i primi
tempi lasciavano prevedere. Erano nati molti animali per i quali la Rivoluzione
non era che una vaga tradizione passata di bocca in bocca, ed erano stati
comprati altri animali che prima del loro arrivo non avevano mai sentito parlare
della cosa. La fattoria possedeva ora tre cavalli oltre Berta. Erano begli
animali prestanti, volenterosi al lavoro e buoni compagni, ma molto stupidi.
Nessuno di essi riuscì a leggere l'alfabeto oltre la b. Accettavano tutto quanto
si diceva loro sulla Rivoluzione e i principi dell'Animalismo, specialmente da
Berta per la quale nutrivano un rispetto filiale; ma era dubbio se capivano
qualcosa di quello che essa diceva. La fattoria era ora più prospera e meglio
organizzata. Era stata anche ampliata con due campi comperati dal signor
Pilkington. Il mulino era stato finalmente terminato con successo, la fattoria
possedeva in proprio trebbiatrice e montacarichi, e altri fabbricati erano stati
aggiunti. Whymper si era comperato una carrozzella. Il mulino non era però stato
usato per produrre elettricità, ma per macinare il grano, e rendeva belle somme
di danaro. Gli animali lavoravano accanitamente alla fabbrica di un altro mulino
ove, una volta finito, si diceva, si sarebbe impiantata la dinamo.
Ma dei lussi che Palla di Neve aveva fatto sognare agli animali, delle stalle
con la luce elettrica e l'acqua calda e fredda e dei tre giorni lavorativi per
settimana, di tutto questo non si parlava più. Napoleon ne aveva condannata
l'idea come contraria ai principi dell'Animalismo. La vera felicità, diceva, sta
nel lavorare molto e nel vivere frugalmente. Sembrava insomma che la fattoria
fosse diventata in realtà più ricca, senza per questo far più ricchi gli
animali, salvo naturalmente i maiali e i cani. Forse questo era dovuto in parte
al fatto che maiali e cani erano tanto numerosi. Non che questi esseri non
lavorassero a modo loro. Clarinetto non si stancava mai di spiegare quanto
enorme fosse il lavoro di sorveglianza e di organizzazione della fattoria. Molto
di questo lavoro era tale che gli altri animali, per la loro ignoranza, non lo
potevano capire. Per esempio, Clarinetto diceva loro che i maiali dovevano ogni
giorno faticare attorno a cose misteriose chiamate "schedari", "relazioni",
"registri". Erano, questi, grandi fogli di carta che dovevano venire
completamente coperti di scrittura e quando erano così compilati venivano poi
buttati nella fornace. Ciò era della massima importanza per il buon andamento
della fattoria, diceva Clarinetto. Tuttavia né i porci né i cani producevano
cibo, col loro lavoro; ed erano molti e il loro appetito era sempre ottimo.
Quanto agli altri, la loro vita, per quel che sapevano, era quale era sempre
stata: avevano fame, dormivano sulla paglia, bevevano alle, stagno, lavoravano
nei campi; in inverno soffrivano per il freddo, in estate per le mosche.
Talvolta i più vecchi si lambiccavano il cervello per ricordare se nei primi
tempi della Rivoluzione, quando ancora era recente l'espulsione di Jones, le
cose erano andate meglio o peggio. Ma non riuscivano a ricordare. Non avevano
nulla con cui confrontare la loro vita presente; non avevano nulla da
consultare, se non le colonne di cifre con cui Clarinetto invariabilmente
dimostrava che le cose andavano sempre meglio. Gli animali trovavano il problema
insolubile; a ogni modo avevano poco tempo per perdersi in simili pensieri. Solo
il vecchio Benjamin diceva di ricordare ogni particolare della sua lunga vita e
di sapere che le cose non erano mai state, né mai sarebbero state, né molto
meglio né molto peggio: la fame, la fatica, la delusione essendo, così egli
diceva, la i
nalterabile legge della vita.
Pure gli animali non cessavano di sperare. E inoltre non perdevano mai, sia pure
per un istante, il senso dell'onore e del privilegio di esser membri della
Fattoria degli Animali. Era ancora l'unica fattoria in tutta la contea - in
tutta l'Inghilterra! - posseduta e condotta da animali. Non uno di essi, neppure
il più giovane, neppure i nuovi venuti, comprati da fattorie distanti diverse
miglia, cessava di meravigliarsi di tale fatto. E quando udivano sparare il
fucile e vedevano la bandiera verde sventolare in cima all'asta, il loro cuore
si gonfiava di imperituro orgoglio e i discorsi volgevano sempre agli antichi,
eroici giorni, alla cacciata di Jones, alla scrittura dei Sette Comandamenti,
alle grandi battaglie in cui gli uomini invasori erano stati sconfitti. Nessuno
degli antichi sogni era stato abbandonato. La Repubblica degli Animali,
preconizzata dal Vecchio Maggiore, in cui i verdi campi d'Inghilterra non
sarebbero stati calpestati da piede umano, era sempre la loro fede. Sarebbe
venuta un giorno: forse non era imminente, forse nessuno degli animali ora
viventi l'avrebbe vista, ma sarebbe venuta. Persino l'aria di Animali
d'Inghilterra era qua e là segretamente cantata a bassa voce. Era un fatto che
tutti gli animali della fattoria la conoscevano, bené nessuno osasse cantarla
pubblicamente. Poteva darsi che la loro vita fosse dura e che non tutte le loro
speranze si sarebbero compiute. Ma avevano coscienza di non essere come gli
altri animali. Se avevano fame, non era per la tirannia dell'uomo; se lavoravano
duramente, lavoravano almeno per se stessi.
Non vi era fra loro creatura che andasse su due gambe. Nessun essere chiamava un
altro
essere "padrone".
Tutti gli animali erano uguali
Un giorno, al principio dell'estate, Clarinetto, ordinò alle pecore di seguirlo
e le condusse all'altra estremità della fattoria, in un ampio terreno invaso da
betulle. Le pecore passarono tutta la giornata a brucare le foglie sotto la
sorveglianza di Clarinetto. Questi se ne tornò la sera alla casa colonica; ma
poié faceva caldo, disse alle pecore di rimanere dov'erano. Finì che esse
rimasero là un'intera settimana durante la quale nessuno le vide.
Clarinetto si
tratteneva con loro quasi tutto il giorno: stava insegnando loro, diceva, una
nuova canzone per cui era necessario l'isolamento.
Dopo il ritorno delle pecore, in una deliziosa serata quando, finito il lavoro,
gli animali stavano rientrando alle loro stalle, un terribile nitrito di cavallo
risuonò nel cortile. Stupiti, gli animali si arrestarono.
Era la voce di Berta. Essa nitrì ancora e tutti gli animali irruppero a galoppo
nella corte. Videro allora ciò
che aveva visto Berta.
Un maiale stava camminando sulle gambe posteriori. Sì, era Clarinetto. Un po'
goffamente, come se non fosse abituato a portare in quella posizione il suo
considerevole peso, ma con perfetto equilibrio, passeggiava su e giù per il
cortile. Poco dopo, dalla porta della casa colonica uscì una lunga schiera di
maiali: tutti camminavano sulle gambe posteriori. Alcuni lo facevano meglio
degli altri, qualcuno era ancora un po' malfermo e sembrava richiedere il
sostegno di un bastone, ma tutti fecero con successo il giro del cortile.
Infine, fra un tremendo latrar di cani e l'alto cantar del gallo nero, uscì lo
stesso Napoleon, maestosamente ritto, gettando alteri sguardi all'ingiro, coi
cani che gli saltavano attorno. Stringeva fra le zampe una frusta.
Seguì un silenzio mortale. Stupefatti, atterriti, stringendosi assieme, gli
animali guardavano la lunga fila dei maiali marciare lentamente attorno al
cortile. Era come se il mondo si fosse capovolto. Poi venne il momento in cui,
passato il primo stordimento, nonostante tutto - nonostante il terrore dei cani,
l'abitudine sviluppata durante lunghi anni di non lamentarsi mai, di non
criticare mai - sentirono la tentazione di pronunciare parole di protesta. Ma in
quell'attimo stesso, come a un segnale dato, tutte le pecore ruppero in un
tremendo belato: «Quattro gambe, buono; due gambe, meglio! Quattro gambe, buono;
due gambe, meglio! Quattro gambe, buono; due gambe, meglio!».
Continuarono così per cinque minuti, senza soste. E, quando le pecore si furono
calmate, la possibilità di protestare era passata é i maiali erano rientrati
nella casa.
Benjamin sentì un naso strofinarsi contro la sua spalla. Guardò. Era Berta. I
suoi vecchi occhi erano più appannati che mai. Senza dir nulla, lo tirò
gentilmente per la criniera e lo portò nel grande granaio ove erano scritti i
Sette Comandamenti. Per qualche istante ristette fissando la parete scura e le
lettere bianche.
«La mia vista si indebolisce» disse infine. «Anche quando ero giovane non
riuscivo a leggere ciò che era scritto qui. Ma mi pare che la parete abbia un
altro aspetto. I Sette Comandamenti sono gli stessi di prima, Benjamin?»
Per una volta Benjamin consentì a rompere la sua regola e lesse ciò che era
scritto sul muro. Non vi era scritto più nulla, fuoré un unico comandamento.
Diceva:
.
TUTTI GLI ANIMALI SONO UGUALI
MA ALCUNI SONO PIU' UGUALI
DEGLI ALTRI
.
Dopo ciò non parve strano che i maiali che sorvegliavano i lavori reggessero
fruste nelle loro zampe. Non sembrò strano di apprendere che i maiali si erano
comperati per loro uso un apparecchio radio, che stavano impiantando un
telefono, che avevano fatto l'abbonamento al «John Bull», al «Tit-Bits» e al «Daily
Mirror».
Non sembrò strano vedere Napoleon passeggiare nel giardino della casa colonica
con la pipa in bocca; no, neppure quando i maiali presero dal guardaroba gli
abiti del signor Jones e li indossarono e fu visto Napoleon in giacca nera,
pantaloni e scarpe di cuoio, mentre la sua scrofa favorita vestiva l'abito di
seta che la signora Jones portava la domenica, neppur questo sembrò strano. Una
settimana dopo, nel pomeriggio, numerose carrozze giunsero alla fattoria. Una
deputazione di agricoltori del vicinato era stata invitata a fare un giro
d'ispezione. Fu mostrata loro tutta la fattoria, ed essi espressero grande
ammirazione per ciò che vedevano, specialmente per il mulino. Gli animali
stavano sarchiando il campo di rape. Lavoravano con attenzione, quasi senza osar
sollevare la testa da terra, non sapendo se avevano più paura dei maiali o dei
visitatori umani.
Quella sera alte risa e canti uscirono dalla casa colonica, e ad un tratto,
all'udir tutte quelle voci, gli animali si sentirono presi da curiosità. Che
cosa stava succedendo la dentro, ora che per la prima volta gli animali e gli
uomini si incontravano su un piede di eguaglianza? In un solo accordo, essi
cominciarono a strisciare silenziosamente nel giardino della casa colonica. Al
cancello si fermarono dubbiosi se entrare o no. Ma Berta aprì la strada. In
punta di piedi si portarono fin presso la casa e quelli che erano abbastanza
alti spiarono attraverso la finestra della sala da pranzo. Là, attorno alla
lunga tavola, sedevano una mezza dozzina di agricoltori e una mezza dozzina o
più di eminenti maiali. Napoleon occupava il posto d'onore a capo della tavola.
I maiali sembravano completamente a loro agio sulle seggiole. La compagnia stava
giocando una partita a carte, momentaneamente sospesa, evidentemente per un
brindisi. Circolava una grande anfora e i bicchieri venivano riempiti di birra.
Nessuno si accorse delle facce attonite degli animali che spiavano dalla
finestra.
Il signor Pilkington di Foxwood si era alzato reggendo il bicchiere. Fra un
istante, egli disse, avrebbe chiesto alla compagnia di fare un brindisi, ma
prima sentiva il dovere di pronunciare alcune parole. Era per lui motivo di
grande soddisfazione, disse - e, ne era sicuro, per tutti gli altri presenti -
di sentire che il lungo periodo di diffidenza e di incomprensione era finito.
C'era stato un tempo - non che lui o alcuno dei presenti avesse condiviso tali
sentimenti - ma c'era stato un tempo in cui i rispettabili proprietari della
Fattoria degli Animali erano stati guardati, non con ostilità, ma forse con
qualche sospetto dagli uomini del vicinato. C'erano stati disgraziati incidenti,
c'erano state incomprensioni. Si sentiva che l'esistenza di una fattoria tenuta
e governata da maiali era qualcosa di anormale e rischiava di avere un malefico
effetto sul vicinato. Troppi agricoltori erano convinti, senza prova alcuna, che
in quella fattoria dominava lo spirito di licenza e di indisciplina. Erano
inquieti per l'effetto che la cosa poteva avere sui loro animali e anche sui
propri impiegati umani.
Ma ogni dubbio era ora dissipato. Quel giorno assieme ai suoi amici aveva
visitato la Fattoria degli Animali, ne aveva ispezionato ogni palmo coi propri
occhi, e che cosa aveva trovato? Non solo i metodi più moderni, ma una
disciplina e un ordine da porre come esempio agli agricoltori di ogni dove.
Credeva di poter dire a ragione che gli animali inferiori della Fattoria degli
Animali facevano più lavoro e ricevevano meno cibo di tutti gli animali della
contea. In realtà assieme ai suoi amici visitatori aveva quel giorno osservato
molte cose che intendeva introdurre subito nella proprie fattorie.
Chiudeva la sua perorazione, disse, esaltando ancora i sentimenti di amicizia
che esistevano e dovevano esistere tra la Fattoria degli Animali e i suoi
vicini. Tra i maiali e gli uomini non vi era e non doveva esservi alcun
conflitto d'interessi. Le loro lotte e le loro difficoltà erano uniche. Non era
il problema del lavoro lo stesso ovunque? Qui parve che il signor Pilkington
stesse per lanciare qualche ben preparata arguzia sulla compagnia, ma per il
momento era troppo sopraffatto dal piacere per poterla pronunciare. Dopo molti
colpi di tosse durante i quali i suoi numerosi menti si fecero di bracia, riuscì
a metterla fuori: «Se voi avete i vostri animali inferiori contro cui lottare»
disse «noi abbiamo le nostre classi inferiori!». Questo bon mot fece scoppiare
dalle risa tutta la tavola; e il signor Pilkington ancora si congratulò coi
maiali per le razioni scarse, le lunghe ore di lavoro e la generale assenza di
sovrabbondanza che aveva osservato nella Fattoria degli Animali.
E ora, disse infine, chiedeva alla compagnia di alzare la zampa e assicurarsi
che il bicchiere fosse pieno.
«Signori» concluse il signor Pilkington «signori, brindo a voi e alla prosperità
della Fattoria degli Animali!»
Seguirono entusiastici applausi e battere di piedi. Napoleon era tanto
soddisfatto che si alzò dal suo posto e fece il giro della tavola per venire a
toccare il suo bicchiere con quello del signor Pilkington prima di vuotarlo.
Quando gli applausi si placarono, Napoleon, che era rimasto in piedi, annunciò
che aveva qualche parola da dire.
Come tutti i discorsi di Napoleon, anche questo fu breve ed esplicito. Anche
lui, disse, era felice che il periodo dell'incomprensione fosse finito. Per
molto tempo erano corse voci - messe in giro, aveva ragione di credere, da
qualche nemico maligno - che le direttive sue e dei suoi colleghi rivestissero
qualcosa di sovversivo e di rivoluzionario Erano stati accusati di suscitare la
ribellione fra gli animali delle vicine fattorie. Niente di più lontano dalla
verità! Il loro solo desiderio, ora come nel passato, era di vivere in pace e in
buone e normali relazioni con tutti i vicini. Questa fattoria che aveva l'onore
di controllare, aggiunse, era una specie di impresa cooperativa. Le azioni che
erano in suo possesso erano comune proprietà dei maiali.
Egli non credeva, disse, che alcuno degli antichi sospetti continuasse a
sussistere; ma alcuni cambiamenti, recentemente introdotti nelle consuetudini
della fattoria, dovevano aver l'effetto di promuovere un'ancor maggiore fiducia.
Fino ad allora gli animali della fattoria avevano avuto la sciocca abitudine di
chiamarsi l'un l'altro "compagni". Ciò doveva aver termine. C'era anche stato lo
strano costume, la cui origine era sconosciuta, di sfilare la domenica mattina
davanti al teschio di un verro posto su un ceppo nel giardino. Questo pure
sarebbe stato abolito, e già il teschio era stato sepolto. I suoi visitatori
avevano certo visto la bandiera verde spiegata in cima all'asta e avevano forse
notato che lo zoccolo e il corno dipinti in bianco, di cui prima era fregiata,
erano scomparsi. La bandiera, d'ora innanzi, sarebbe stata verde soltanto. Egli
aveva solo una critica, disse, da fare all'eccellente e amichevole discorso del
signor Pilkington. In esso il signor Pilkington si era sempre riferito alla
"Fattoria degli Animali". Non poteva sapere, naturalmente - é lui, Napoleon, lo
annunciava ora per la prima volta - che il nome "Fattoria degli Animali" era
stato abolito. Da quel momento la fattoria sarebbe ritornata "Fattoria
Padronale", quello cioè che, egli credeva, era il suo vero nome d'origine.
«Signori» concluse Napoleon «ripeterò il brindisi di prima, ma in forma diversa.
Riempite fino all'orlo i vostri bicchieri. Signori, ecco il mio brindisi: alla
prosperità della Fattoria Padronale!»
Come prima, vi furono calorosi applausi e i bicchieri vennero vuotati fino al
fondo. Ma mentre gli animali di fuori fissavano la scena, sembrò loro che
qualcosa di strano stesse accadendo. Che cosa c'era di mutato nei visi dei
porci? Gli occhi stanchi di Berta andavano dall'uno all'altro grugno. Alcuni
avevano cinque menti, altri quattro, altri tre. Ma che cos'era che sembrava
dissolversi e trasformarsi? Poi, finiti gli applausi, la compagnia riprese le
carte e continuò la partita interrotta, e gli animali silenziosamente si
ritirarono.
Ma non avevano percorso venti metri che si fermarono di botto. Un clamore di
voci veniva dalla casa colonica. Si precipitarono indietro e di nuovo spiarono
dalla finestra. Sì, era scoppiato un violento litigio. Vi erano grida, colpi
vibrati sulla tavola, acuti sguardi di sospetto, proteste furiose. Lo scompiglio
pareva esser stato provocato dal fatto che Napoleon e il signor Pilkington
avevano ciascuno e simultaneamente giocato un asso di spade.
Dodici voci si alzarono furiose, e tutte erano simili. Non c'era da chiedersi
ora che cosa fosse successo al viso dei maiali. Le creature di fuori guardavano
dal maiale all'uomo, dall'uomo al maiale e ancora dal maiale all'uomo, ma già
era loro impossibile distinguere fra i due.
BREVE Analisi e critica
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