Franco
Modigliani
La finanza si basa su pochissime leggi e per insegnarla
bastano pochi corsi
***
le lezioni alla
Sorbona che perdita di tempo
«La mia performance negli anni di scuola fu buona ma non eccellente. Poi, nel
1932, un trauma: mio padre morì sotto i ferri di un’operazione. Mi resi
improvvisamente conto di quanto lo amavo e lo ammiravo e, a 13 anni, il mio
mondo sembrò crollarmi attorno. Il mio rendimento a scuola ne soffrì, finché mi
trasferii al liceo Visconti, uno dei migliori licei di Roma; la sfida fu
salutare e rifiorii.
Mi sentii incoraggiato, decisi di saltare l'ultimo anno del liceo, passai il
difficile esame di maturità, ed entrai all'Università di Roma a 17 anni (due
anni prima dell’età normale).
La mia famiglia sperava che io continuassi sulle orme di mio padre, e avrei
fatto medicina. Fui preso dal dilemma per un certo tempo, ma finalmente decisi
per il “no”, dato il mio scarso livello di tolleranza per sangue e sofferenze.
Invece decisi di far legge: una scelta che, in Italia, apre varie possibilità di
carriera. Nel secondo anno partecipai a una competizione, sponsorizzata
dall’associazione degli studenti – i Littoriali della Cultura – in materia di
economia. Con mia sorpresa, vinsi il primo premio, e, benchè oggi esiterei a
raccomandare quel mio primo saggio come un significativo contributo alla scienza
economica, chiaramente servì a fondare i miei interessi correnti
nell’economia...
I Littoriali mi avevano messo in contatto con dei giovani antifascisti, e
cominciò allora la mia opposizione politica al regime. Contribuì anche un
coinvolgimento con la mia futura moglie, Serena, e il suo notevole padre,
Giulio, un antifascista di lunga data. Nel 1938 furono promulgate le leggi
razziali e, invitato dai miei futuri suoceri, li raggiunsi a Parigi dove, nel
maggio 1939, Serena ed io ci sposammo. Mi iscrissi alla Sorbona, ma le lezioni
non mi ispiravano; erano una perdita di tempo, e trascorsi le mie giornate
studiando da me e scrivendo la mia tesi nella Bibliothèque Sainte Geneviève. Nel
giugno 1939 ritornai brevemente a Roma per discutere la mia tesi di laurea. Poco
tempo dopo, temendo che presto l’Europa sarebbe stata trascinata in una guerra
sanguinosa, facemmo domanda di immigrazione in America e arrivammo a New York
nell'agosto 1939, pochi giorni prima dell’inizio della Seconda guerra mondiale».
Estratti dalle note autobiografiche di Franco Modigliani,
da lui redatte in occasione della consegna del Premio Nobel per l'economia nel
1985.
ilsole24ore.com - 2016
***
Intervista con
Franco
Modigliani
di Pietro Zullino
Se l'informazione è globale anche il mercato è più aperto
Le nuove tecnologie hanno creato uno spazio
planetario nel quale lo scambio di merci e servizi può avvenire senza alcun
limite; cadono i confini nazionali e presto le politiche monetarie delle banche
centrali non avranno più senso. Ne derivano grandi opportunità di investimento.
Com'è avvertita dai grandi economisti la mutazione telematica delle Borse e
degli altri mercati finanziari? Come un sorprendente ma in fondo normale
sviluppo del progresso tecnico o come un sobbalzo del tutto imprevisto e
probabilmente foriero di novità insidiose? E la velocizzazione degli spostamenti
di capitale, quali effetti potrà avere e sta già avendo sull'azione dei governi,
sugli assetti legislativi, sugli equilibri di potere a livello nazionale e
internazionale?
Ne parliamo con Franco Modigliani, vincitore nel 1985 del Premio Nobel per
l'economia. Per miglior chiarezza di alcuni passi dell'intervista dobbiamo
premettere che Modigliani, nato a Roma, si trasferì ventunenne negli Stati Uniti
per sottrarsi alla persecuzione razziale voluta dal regime fascista. Completò
con grande successo i suoi studi tra New York e Chicago, e dopo aver insegnato
in varie università divenne professore al Massachusetts institute of technology
di Boston. Per alcuni anni è stato consulente della Federal Reserve, la banca
centrale americana. Tra i suoi contributi alla scienza economica: l'elaborazione
della teoria del ciclo vitale in materia di risparmio e il teorema cosiddetto di
Modigliani-Miller secondo cui la struttura finanziaria di un'impresa è
irrilevante rispetto al suo comportamento sui mercati. Modigliani è autore di
numerosi saggi tradotti in tutte le lingue. L'ultimo, uscito in questi giorni, è Il miracolo possibile.
Un programma per l'economia italiana, scritto
insieme con Mario Baldassarri e Fabio Castiglionesi.
Professor Modigliani, che ne pensa della telematica applicata alle attività
finanziarie? Il mondo rimpicciolito, notizie che circolano alla velocità della
luce, decisioni che vanno a effetto subito, abolizione di vecchie procedure,
abolizione di fatto dei fusi orari, giornate operative che durano ventiquattr'ore,
capitali spostati da un settore all'altro in meno di un secondo, euforie o
depressioni istantaneamente contagiose da piazza a piazza. Dove ci porta tutto
questo?
Questa rivoluzione dell'informazione basata sulla rapidità ha senza dubbio
innescato un processo di profonda metamorfosi del sistema economico, nel senso
che stiamo marciando a grandi passi verso un'economia totalmente aperta. Per
andare all'osso del significato di economia aperta: si tratta di un'economia in
cui non c'è più il tasso d'interesse tedesco o francese, italiano o americano,
ma un solo tasso stabilito sui mercati mondiali, per cui il costo del denaro è
uguale per tutti. Proprio questo è il segno più evidente che il mondo diventa
sempre più piccolo e, contestualmente, l'iniziativa economica sempre più libera.
Qualcuno dirà che la direzione di marcia non può essere che questa, dal momento
che comunicazioni sempre più rapide forzano a una libertà sempre più completa
dei movimenti di capitale. Io dico: è vero. Ma attenzione: il fatto che linee
telematiche permettano decisioni istantanee e trasferimenti di soldi in tempo
reale, da solo vorrebbe dire poco. La condizione veramente essenziale è
un'altra, è che gli ordinamenti giuridici ammettano il libero movimento dei
capitali. Ebbene, per fortuna il libero movimento di capitali è oggi una realtà
in vaste zone del mondo: negli Stati Uniti e Paesi limitrofi, nel mercato comune
dell'Unione europea, anche in Italia quindi, e siamo già molto avanti lungo la
strada che porta a un sistema in cui le leggi stabiliranno, oltre che la libertà
e la rapidità dei movimenti consentite dalla telematica, un unico mercato
mondiale dei capitali.
Lei configura uno scenario in cui le autorità tradizionalmente preposte alla
vigilanza dei mercati, anzitutto di quello valutario, potrebbero perdere il
controllo della situazione. Che ne sarà, ad esempio, delle Banche nazionali
centrali?
Qui la risposta non è molto facile, perché, davvero, bisognerebbe poter
sapere se ci sarà l'unificazione monetaria, in quali termini, e in che limiti.
Pare che presto ci sarà relativamente a una zona abbastanza vasta, mi riferisco
all'Unione europea, mentre prevederne una ancora più vasta (che cioè includesse
gli Stati Uniti e una serie di altri Paesi) mi sembrerebbe per il momento
azzardato. Proviamo comunque a supporre che almeno all'unificazione monetaria
del vecchio continente si arrivi presto. Ebbene, dove c'è un sistema a moneta
unica accade che la massa monetaria è regolata dalla Banca centrale europea. E'
lei che decide i tassi d'interesse sui mercati internazionali, tassi che sono
totalmente aperti. In questa situazione, alla Banca centrale di un singolo Paese
resterebbe ben poco da fare. Ma, ripeto, cambi totalmente fissi su mercati
totalmente aperti: questa la condizione imperativa perché si abbia un sistema
valutario unificato.
Quali sono i vantaggi e i rischi connessi al cambiamento in corso? E che cosa
si devono aspettare gli investitori, gli operatori e le autorità preposte?
La telematica, come ho detto, crea una grande opportunità di avviarci a un
vero mercato mondiale dei capitali, con grandi vantaggi sul piano della
conoscenza dei fenomeni e quindi dell'impiego delle risorse (per un economista
poi, la possibilità di studiare i problemi su una scala non locale ma globale
rappresenta il massimo!). Contro questa grande opportunità si ergono tuttavia
ostacoli e pericoli che possono insidiare la regolarità e l'affidabilità dei
mercati, soprattutto nel periodo transitorio. Quando si passa da un sistema a
Paesi separati a un sistema unico con tassi fissi, un sistema insomma come lo
Sme (a proposito, speriamo che l'Italia possa rientrarvi presto), finché la
transizione non è compiuta ci sono pericoli. L'abbiamo visto chiaramente in
Italia, con le grandi fluttuazioni nei tassi di cambio e l'alta volatilità della
moneta. Le conseguenze che una tale incertezza può avere, fino alla sfiducia
internazionale verso il Paese che non riesce a tenere il passo, sono gravi. Alla
fine del governo Ciampi si poteva ancora credere che l'Italia stesse per tornare
nel gruppo dei Paesi di testa. Nell'anno del governo Berlusconi, invece, la
finanza italiana è stata letteralmente massacrata dalle troppo disinvolte
oscillazioni della lira. Nessuno voleva più investire. Si sa che i capitali
fuggono: la gente si sbarazza di una moneta e allora quella moneta va giù. Ma
ciò è potuto accadere perché si trattava di un periodo di transizione. In un
sistema già unificato e a cambi fissi, non sarebbe successo. Fino a che ci
saranno ancora Paesi singoli, potranno aversi disturbi in campo valutario, e
disturbi grossi; dopo no. La tecnologia avanzata è in ogni caso al servizio di
una grande speranza.
Secondo lei ci vorranno tempi brevi, medi o lunghi perché questa speranza
divenga realtà?
Ebbene, per quanto riguarda il sistema europeo prevedo tempi piuttosto
corti. La ragione fondamentale è che il sistema europeo è già oggi un sistema
con un unico tasso d'interesse e con una sola Banca centrale, de facto la
Bundesbank tedesca. Essendo di gran lunga la più forte, la Bundesbank detta
legge a tutte le altre banche centrali nazionali. Quando si passerà alla moneta
europea unica, ci sarà una Banca centrale europea in cui la Bundesbank avrà di
sicuro un potere molto rilevante. Non però il potere di fare tutto quello che
vuole. La Banca centrale non sarà più la banca che pensa ai tedeschi ma la banca
che pensa agli europei e quindi ai tedeschi solo in quanto europei. Il che andrà
nell'interesse di tutti ma specialmente dei non tedeschi... Si muovano dunque
con rapidità i francesi, gli italiani e via elencando: gli conviene.
E' ipotizzabile una tenace resistenza anche solo passiva dei vecchi interessi
costituiti, come le Banche centrali nazionali?
Quando si arriva a un sistema per cui il tasso d'interesse è unico per tutto
un vastissimo mercato (anche se esistono ancora monete separate; e anche se
esiste la moneta unica, poniamo l'Euro, ma la massa circolante d'un Paese
continua a esser provveduta dalla Banca centrale di quel Paese); quando si
arriva a un siffatto sistema cosa accade? Vediamo. Il tasso d'interesse è
fissato esogenamente, cioè dall'esterno, cioè sui mercati internazionali, e
quindi un po' tutti i prezzi sono formati, entro grossi termini, su quei
mercati. Anche il cambio è fisso. Allora, fissato il cambio, fissato il tasso
d'interesse, e fissato un goal di carattere economico o sociale (per esempio il
pieno impiego), la domanda di moneta è determinata da parametri tutti esogeni.
La banca centrale nazionale, lungi dall'esser libera come una volta era di
decidere lei, dico per dire, la quantità di denaro circolante, non può fare
altro che all'altro (ad esempio il prezzo della stessa azione è diverso sui due
mercati) gli arbitrageurs fanno operazioni che muovono al ripristino
dell'equilibrio. Nel puro arbitraggio c'è insomma una persona che
simultaneamente compra e vende lo stesso titolo su due mercati dove i prezzi non
sono allineati. Questa è un'operazione per così dire fisiologica e sempre
stabilizzante, perché spinge i due prezzi verso un livello di equilibrio. Sotto
questo profilo, l'informatizzazione dei mercati internazionali certo aiuterà,
perché metterà gli arbitrageurs in condizione di notare immediatamente il
formarsi d'una divaricazione dei prezzi e di operare in conseguenza prima che la
forbice si allarghi troppo. E ciò creerà senz'altro dei problemi allo
speculatore d'azzardo. Esiste però un altro tipo di azione speculatoria che
provoca, invece, forti anomalie. Due prezzi di cose simili, ma non identiche,
divergono, e si pensa che andranno ad allinearsi: gli speculatori d'azzardo
tendono allora a vendere quello che, secondo loro, è sopravvalutato e a comprare
quello che è sottovalutato. Questa è un'operazione ben diversa da quella
descritta prima perché il momento nel quale la convergenza dei prezzi avverrà
può essere lontano e incerto e pertanto lo speculatore corre il rischio che i
due prezzi, prima di tornare in linea, divergano ancora di più, cioè che uno dei
titoli continui a sopravvalutarsi e l'altro a svalutarsi. Questo è un problema
particolarmente serio se l'operazione si basa su titoli derivati, quali opzioni
o compravendita a termine per i quali la posizione è valutata (almeno nel
sistema americano) quotidianamente (market to market) con l'obbligo di aumentare
il deposito o di liquidare la posizione, anche al momento più sfavorevole.
E i controlli pubblici contro le speculazioni disoneste non saranno anch'essi
più rapidi ed efficaci grazie alla telematica?
E' probabile. Non credo però che potranno mai essere evitati alcuni grossi
crack simili a quelli che abbiamo visto negli ultimi tempi e che sono dovuti o a
terribile imprudenza o a enorme disonestà.
Le trasformazioni in atto cambiano qualcosa nei concetti fondamentali della
scienza economica? Un'economia del villaggio globale sarà diversa da quella che
si è studiata fino a ieri?
La mia risposta è questa: esiste un mondo di economisti avanzati di cui io
ambisco far parte che sta già elaborando tutte le implicazioni della rivoluzione
telematica e spinge l'analisi economica in direzioni nuove. Ma più che una
analisi diversa è richiesta l'analisi di cose che prima nessuno analizzava
perché non esistevano o non erano materiali. La rielaborazione sta avvenendo a
cura di grandi maestri. Ho di recente assistito a una meravigliosa conferenza
del professor Robert Merton (che tra l'altro ha avuto un premio dell'Accademia
dei Lincei, qualche anno fa). E' uno dei pochi grandi uomini capaci di parlare
del ruolo futuro dei mercati e degli intermediari finanziari; un uomo che
possiede già le risposte. Da dove le ha tirate fuori? Dal passato. Per caso, una
delle basi di questa nuova scienza delle valutazioni mobiliari, e soprattutto
dei titoli cosiddetti derivati, o secondari, è il teorema di Modigliani e Miller,
il quale afferma che il valore dell'impresa intera, cioè il totale di azioni più
obbligazioni, è indipendente da come l'impresa sia finanziata; questo
fondamentale concetto sta ora alla base di tutte le nuove analisi, dei
cosiddetti titoli derivati. Direi, dunque: lo sviluppo dell'economia è nuovo;
nulla di nuovo, invece, nei suoi fondamenti: infatti le nuove analisi continuano
a presumere che l'uomo si comporti razionalmente e quindi tenda alla
massimizzazione dei profitti e alla minimizzazione dei costi. Questo principio
sta alla base della scienza economica fin dai tempi di Adamo Smith, rimane
invariato anche rispetto ai nuovi modelli dell'economia internazionale, rimarrà
invariato fino alla fine dei tempi.
Un'incursione nel filosofico a questo punto è quasi d'obbligo. La telematica
potrà, a lungo andare, rendere l'uomo migliore? Farà l'economia più morale?
No, secondo me la telematica è neutrale rispetto a questo. La telematica è
uno strumento, e io penso che gli strumenti non abbiano a che vedere con
l'etica, rendono l'azione umana più efficace, ma bisogna vedere l'uso che se ne
fa. Uno può adoperare l'utensile per forgiare un oggetto, un'altro può darselo
in testa. Con il computer si può contribuire al progresso del genere umano
oppure fabbricare grossi imbrogli. Naturalmente, come abbiamo già detto, anche
la vigilanza delle autorità nazionali e sovranazionali può avvalersi di
strumenti telematici per imporre il rispetto di una regolamentazione a sua volta
bene aggiornata. Per quanto riguarda la formazione del capitale umano che sarà
responsabile della moralità di questo nuovo universo finanziario, qui in America
esistono già delle business schools dove la gente impara il mestiere e dove si
fa un grosso sforzo per far luce sui problemi legati all'etica. E' parte
integrante dei programmi di studio la responsabilità etica di manager, agenti,
fiduciari e così via.
In conclusione, che ne
pensa dell'epoca che stiamo vivendo?
E' un'epoca affascinante in cui le cose si muovono così presto, al di là di
ogni immaginazione. Ciò che si pensava sarebbe avvenuto in qualche decina di
anni è avvenuto dall'oggi al domani. Mi secca di essere così vecchio. Ma forse
potrò vederne ancora molte. Quando poi mi si chiede se l'uomo sarà capace di
dominare tutta questa materia, io, che sono per natura ottimista, rispondo: come
non credo alle scienziato malvagio che studia il modo di rovinare il mondo, così
credo che più gli strumenti di nuova invenzione sono potenti, più forte è
l'incentivo a usarli in maniera appropriata. L'umanità, in fondo, non si è
ancora distrutta con la bomba atomica né pare abbia intenzione di farlo.
Bisognerà certo tenere gli occhi aperti e internazionalizzare la vigilanza, cosa
che del resto è parzialmente già in atto. Si deve andare avanti su questa strada
tenendo d'occhio un paio di obiettivi. Anzitutto bisogna garantire la segretezza
degli affari, contro i continui sforzi della malavita di penetrare nelle memorie
dei computer per appropriarsi di informazioni confidenziali. Poi si devono
impedire le indebite interferenze nelle operazioni altrui: interferenze che, a
causa delle misure di sicurezza ancora imperfette, possono tradursi, si è visto,
in comandi elettronici impropri, capaci di spostare somme da un conto a un
altro, ordini da una piazza all'altra e via dicendo. Vi sono insomma minacce
serie che debbono ancora essere sventate. E tuttavia non mi pare giustifichino
timori misoneisti.
fub.it/telema/TELEMA5/Modigli5.html
FRANCO MODIGLIANI
I was born in Rome, Italy, the
son of Enrico Modigliani and Olga Flaschel. My father was a leading pediatrician
in the city and my mother was a volunteer social worker.
My school performance in the early years was good though not outstanding. Then,
in 1932, a major trauma occurred. My father died as a consequence of an
operation. I suddenly realized how deeply I loved and admired him and at 13 my
whole world seemed to collapse. After this event my school performance for the
next 3 years became spotty until I moved to Liceo Visconti, the best high school
in Rome, and the challenge proved healthy and I seemed to blossom. Encouraged, I
decided to skip the last year of the Liceo, passed the required difficult exams
and entered the University of Rome at 17 (two years ahead of the norm).
My family hoped that I would follow in my father's steps, entering a career in
medicine. I was torn for a while, but finally decided against it because of my
low tolerance level for sufferings and blood. Instead I chose law which in
Italy, opens the way to many career possibilities. In my second year I decided
to enter a national competition sponsored by the student organization (I
Littoriali della Coltura) in the area of economics. To my surprise I won first
prize and, although now I would hesitate to recommend that first essay as a
significant contribution to economics, clearly, it served the purpose of
establishing my current interest in economics. Unfortunately, under fascism,
teaching in this field was dismal, and only with the advice of the few good
economists I knew personally, and especially of Riccardo Bachi, I began on my
own to read the English and Italian classics.
The Littoriali had put me in contact with young antifascists, and my political
opposition to the regime began then. My involvement with my future wife, Serena
Calabi, and her remarkable father, Giulio, who was a long standing antifascist
also contributed. In 1938 the Italian racial laws were promulgated and at the
invitation of my future in laws, I joined them in Paris where, in May 1939,
Serena and I were married. I enrolled at the Sorbonne but found the teaching
there uninspiring and a waste of time, so I spent my time studying on my own and
writing my thesis at the Bibliotheque St. Genevieve. In June 1939 I returned
briefly to Rome to discuss my thesis and receive my degree of Doctor Juris from
the University of Rome. Shortly after this, fearing that Europe was going to be
soon engulfed in a bloody war, we applied for an immigration visa for the U.S.
and arrived in New York in August 1939, a few days before the beginning of World
War II.
It became apparent that our stay in the U.S. would be a long one and I
immediately began thinking on how best to pursue my interest in economics. I had
the great luck of being awarded a free tuition fellowship by the Graduate
Faculty of Political and Social Science of the New School for Social Research,
an institution freshly created to give haven to the European scholars who were
victims of the three fascist dictatorships. Thus in fall 1939, I started on a
routine that was to last three years, of studying at night from 6 - 10, while
working during the day selling European books to support my family which soon
included our first son: Andre. I worked hard but, nonetheless, remember that
period as an exciting one, as I was discovering my passion for economics, thanks
also to excellent teachers, including Adolph Lowe and above all Jacob Marschak
to whom I owe a debt of gratitude beyond words. He helped me develop solid
foundations in economics and econometrics, some mathematical foundations,
introduced me to the great issues of the day and gave me, together with his
unforgettable kindness, constant encouragement. In particular I owe to him that
blend of theory and empirical analysis, theories that can be tested and
empirical work guided by theory - that has characterized a good deal of my later
work. Marschak also provided me with an experience that contributed to my
development, by inviting me to participate in an informal seminar which met in
New York around 1940-41, whose members included, among others, Abraham Wald,
Tjalling Koopmans and Oscar Lange.
I consider that my formal training ended in 1941 when Marschak left the New
School to join the University of Chicago, and I obtained my first teaching job
as an instructor at New Jersey College for Women. My first published article in
English, "Liquidity Preference and the Theory of Interest and Money",
Econometrica, Vol. 12, No. 1, January 1944, which is also, substantially, my
doctoral dissertation, and which I regard as one of my major contributions,
appeared some two years later. The result of discussions in Marschak's seminar
and of a running debate with Abba Lerner, it purports to integrate the
Keynesian
"revolution", then generally regarded as a total break with the past, with the
mainstream of classical economics.
In 1942 I became an instructor in economics and statistics at Bard College, then
a residential college of Columbia University, and came to appreciate the unique
qualities of life in an American college campus, especially the intimate
association with first rate students. In 1944 I returned to the New School as a
Lecturer and a Research Associate at the Institute of World Affairs where
together with Hans Neisser, I was responsible for a project whose results were
eventually published in National Income and International Trade. During
this period I also made my first contribution to the study of saving, which has
since come to be known as the Duesenberry-Modigliani hypothesis.
In fall 1948 I left New York, having been awarded the prestigious Political
Economy Fellowship of the University of Chicago as well as offered the
opportunity of joining, as a Research Consultant, the Cowles Commission for
Research in Economics, then the leading institution in its field. Shortly after
my arrival I accepted an attractive position at the University of Illinois as
director of a research project on "Expectations and Business Fluctuations".
However, I remained in Chicago through the academic year 1949-50, greatly
benefiting from my association with the Cowles Commission, staffed and visited
by people like Marschak, Koopmans, Arrow, Simon, at a time when the profession
was absorbing two important revolutions, one centering on the theory of choice
under uncertainty, initiated by von Neuman and Morgenstern, and the other on
statistical inference from non-experimental observations, inspired by Haavelmo.
My association with the University of Illinois lasted only till 1952 because of
internal strife. During that brief time, I befriended a brilliant young graduate
student, Richard Brumberg. With his collaboration we laid the foundations for
what was to become the "Life Cycle Hypothesis of Saving". It was elaborated in
1953 and 1954 in two papers, one dealing with individual behaviour and the other
with aggregate saving. After we had both left the University of Illinois,
Brumberg had gone to complete his Ph.D. at the John Hopkins University and I
joined Carnegie Institute of Technology, now Carnegie-Mellon University. The
"aggregate" paper was only published in 1980 in my Collected Papers
because the shock of Brumberg's untimely death in 1955 sapped my will to
undertake the revisions and condensation that would have been required for
publication in one of the standard professional journals. My
association with Carnegie, which lasted until 1960, was a very productive one.
In addition to completing the two basic papers setting the foundations for the
"Life Cycle Hypothesis", I collaborated on a book dealing with the problem of
optimal production smoothing, and wrote the two essays with Miller on the effect
of financial structure and dividend policy on the market value of a firm. I also
published a paper with E. Grunberg on the predictability of social events when
the agent reacts to prediction, which later was to provide one of the pillars
for the "theory of rational expectations". All of these contributions
represented, to some extent, the coming to fruition of seeds started during my
research on "Expectations and Business Fluctuations". In 1960
I was a isiting professor at the Massachusetts Institute of Technology, to which
I returned after a year at Northwestern University, and where I have remained
ever since. Supported by this unique institution and its unique colleagues, I
have pursued the interests developed earlier in macroeconomics, including
criticism of the monetarist positions, generalizations of the monetary mechanism
and empirical tests of the" Life Cycle Hypothesis". I have also branched out
into new areas and, in particular, international finance and the international
payment system, the effects of and cures for inflation, stabilization policies
in extensively indexed open economies, and into various fields of finance such
as credit rationing, the term structure of interest rates and the valuation of
speculative assets.
In the late sixties I also had a major responsibility for designing a large
scale model of the U.S. economy, the MPS, sponsored by the Federal Reserve Bank
and still utilized by it. Finally, I have participated actively in the debate
over economic policies both in Italy and the U.S., concentrating lately on the
deleterious effects of the huge public deficits.
nobelprize.org/prizes/economic-sciences/1985/modigliani/biographical
https://it.wikipedia.org/wiki/Franco_Modigliani
RENATO CAMURRI SPIEGA IL GRANDE ECONOMISTA
i principali nodi irrisolti del Bel Paese: dalla questione
tributaria alla riforma previdenziale, dalla disoccupazione al controllo della
spesa pubblica, dalla politica dei redditi al costo del lavoro.
ContattoNews.it
A partire dagli anni del boom
economico e per oltre quattro decenni, Franco Modigliani ha guardato dagli Stati
Uniti alle vicende dello sviluppo italiano e alle trasformazioni politiche e
culturali della nostra società, continuando a pungolare, con rigore e
indipendenza di giudizio, tanto le autorità economiche quanto il mondo politico.
Come documentano le quaranta "prediche" (utili) qui raccolte, sotto il suo
sguardo di riformatore scorrono tutti i principali nodi irrisolti del Bel Paese:
dalla questione tributaria alla riforma previdenziale, dalla disoccupazione al
controllo della spesa pubblica, dalla politica dei redditi al costo del lavoro.
L'ampio saggio introduttivo di Renato Camurri traccia un profilo inedito del
grande economista, presentato come l'esule che entra in contatto con un nuovo
mondo e riesce attraverso quest'esperienza a dare una svolta alla sua vita.
Senza mai rinunciare, però, alla funzione di osservatore e testimone delle
vicende economiche e sociali del suo paese d'origine.
webster.it - 2010
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